Competenza giurisdizionale: conta la residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda

In tema di affidamento di minori, ai fini della competenza giurisdizionale conta il luogo in cui il minore ha la residenza abituale al momento della proposizione della domanda introduttiva, non rilevando la sopravvenuta residenza del minore all’estero.

Così si esprime la Suprema Corte con l’ordinanza n. 15728/19, depositata l’11 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Brescia confermava la decisione del Tribunale che, ritenuta la giurisdizione del giudice italiano, nell’ambito di un giudizio vertente sullo scioglimento del matrimonio, disponeva l’affido esclusivo di una minore al padre. Avverso la suddetta decisione, propone ricorso per cassazione la madre, contestando, tra i motivi di ricorso, la giurisdizione del giudice italiano, facendo leva sul principio di residenza abituale della minore, da intendersi per tale quella fissata nel principato di Monaco, considerato che la ricorrente era stata autorizzata dall’autorità giudiziaria competente per la causa di divorzio a trasferirsi lì con la figlia. Il criterio della residenza abituale del minore. La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il motivo prospettato dalla ricorrente, osservando come la decisione della Corte d’Appello fosse poggiata sul carattere della provvisorietà del provvedimento giudiziario di autorizzazione al trasferimento, senza, però, assumere il principato di Monaco come luogo di residenza abituale della minore, dovendosi, dunque, far riferimento alla residenza in Brescia ai fini della giurisdizione, poiché al momento della domanda introduttiva di divorzio la piccola viveva in quel luogo. Nel valutare le argomentazioni a sostegno di tale pronuncia, la Suprema Corte richiama una sentenza già intervenuta tra le stesse parti, emessa dalle Sezioni Unite SS.UU., n. 32359/2018 , in materia di decadenza della potestà genitoriale, che ha statuito il principio in base al quale, nel caso in cui i genitori risiedano in Stati differenti, la competenza giurisdizionale va individuata con riferimento al criterio della residenza abituale al momento della proposizione della domanda, il cui accertamento può svolgersi anche in chiave prognostica direttamente dalla Corte di Cassazione sulla base degli elementi emergenti dal processo. Dopo aver richiamato il suddetto principio, gli Ermellini si soffermano sulla disposizione contenuta nell’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003, in tema di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, il quale dispone che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi , estendendo tale principio anche all’ipotesi di divorzio, ricorrente nel caso concreto. Tale estensione, specificano i Giudici, va però precisata, nel senso che, qualora nel giudizio di divorzio pendente di fronte al giudice italiano siano avanzate domande riguardanti la responsabilità genitoriale ed il mantenimento dei figli minori, il principio della residenza abituale si applica solo se i detti figli non siano al momento residenti abitualmente in Italia. Nel caso di specie, le allegazioni della parte ricorrente sono sempre state dirette nella direzione opposta, evidenziando che la residenza abituale della minore all’estero era sopravvenuta rispetto all’introduzione della domanda. Per questo motivo, dunque, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso in relazione a tale motivo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 maggio – 11 giugno 2019, n. 15728 Presidente Giancola – Relatore Terrusi Fatti di causa Il tribunale di Brescia, dopo aver pronunciato sentenza non definitiva di scioglimento del matrimonio tra O.O. e D.A. , dal quale matrimonio era nata la figlia Gloria classe 2006 , ritenuta la giurisdizione del giudice italiano disponeva, con sentenza definitiva del 312-2016, l’affido esclusivo della figlia al padre disponeva inoltre che la frequentazione tra la minore e la madre avvenisse solo con incontri protetti e poneva a carico della madre un assegno di mantenimento per la figlia. La decisione, impugnata dalla D. , veniva confermata dalla corte d’appello di Brescia con sentenza resa pubblica l’8-11-2017, avverso la quale la medesima D. propone adesso ricorso per cassazione in sei motivi. O. replica con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione I. - Coi primi tre mezzi, tutti relativi alla statuizione in punto di giurisdizione e per questo connessi e suscettibili di unitario esame, la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi a proposito i della residenza abituale della minore nel principato di Monaco a far data dal 2013, ii della ritenuta illiceità del mancato rientro di essa in Italia a seguito di provvedimento del giudice istruttore della causa di divorzio, nonché iii della violazione o falsa applicazione delle convenzioni dell’Aja del 1996 e del 1961 a proposito della competenza ad adottare misure urgenti per la protezione del minore e dei suoi beni. I motivi - incentrati sull’affermazione che la residenza abituale della minore era da intendere quella fissata nel principato di Monaco a partire dal mese di settembre 2013, quando la madre era stata autorizzata dal giudice istruttore della causa di divorzio a trasferirsi con la figlia - sono inammissibili e per alcuni tratti manifestamente infondati. II. - Va in parte corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la motivazione con la quale la corte d’appello ha disatteso la questione. La corte d’appello ha insistito sul fatto che il trasferimento era stato autorizzato provvisoriamente e in via sperimentale e che con provvedimento di pochi mesi successivo del 9-6-2014 l’autorizzazione era stata revocata assieme alla revoca di ogni anteriore provvedimento in tema di affido, giacché la minore era stata affidata al padre ed era stato ordinato alla madre di consegnarla al genitore affidatario. Su tale base ha ritenuto che la minore, per effetto dell’autorizzazione a un trasferimento solo provvisorio e sperimentale, non avesse mai assunto una residenza abituale nel principato di Monaco donde si sarebbe dovuto far riferimento, ai fini della giurisdizione, alla residenza in Brescia, avuta al momento della domanda introduttiva del giudizio di divorzio. Ha aggiunto che, a seguito dell’inottemperanza al citato provvedimento del giugno 2014, il mancato rientro della minore era da considerare illecito, e dunque non suscettibile di esser posto a fondamento della pretesa dimora abituale nello stato monegasco. III. - Questa serie di considerazioni non possiedono una grande rilevanza. Quel che unicamente interessa osservare è che - come d’altronde la sentenza riferisce - la causa di scioglimento del matrimonio, nell’ambito della quale erano da assumere le statuizioni accessorie concernenti l’affidamento e la collocazione della minore, era già pendente al momento del trasferimento della madre e della minore all’estero. L’art. 5 c.p.c., pone la regola secondo la quale la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo . Poiché la domanda relativa all’affidamento e alla collocazione della figlia minore era stata proposta nel contesto del giudizio di divorzio instaurato in data 8-10-2012, lo stato di fatto rilevante onde determinare la giurisdizione non poteva che essere quello anteriore alla ripetuta ordinanza del giudice istruttore, che seppur provvisoriamente aveva autorizzato la D. a trasferire la residenza propria e della minore nel principato di Monaco. Questa Corte ha già puntualizzato, anche a sezioni unite e tale è la ragione per la quale, ex art. 374 c.p.c., la questione può essere decisa dalla sezione semplice , il senso del principio di irrilevanza delle sopravvenienze in tema di giurisdizione tale principio, tratto dall’art. 5 c.p.c., è diretto a favorire la perpetuatio iurisdictionis, non a impedirla sicché proprio esso trova applicazione nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito, a fronte invece del mutamento dello stato di diritto o di fatto comportante l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo al momento della proposizione della domanda cfr. Cass. Sez. U n. 18125-05, cui adde Cass. n. 21221-14 e molte altre . IV. - È appena il caso di aggiungere che, nella memoria, la ricorrente ha richiamato la sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 32359-18, sopravvenuta tra le medesime parti. Questa sentenza è di sicuro rilievo come si dirà , ma non per stabilire la giurisdizione. Testualmente emerge dalla motivazione che essa è stata pronunciata nell’ambito del giudizio de potestate introdotto da O. contro la moglie, nell’anno 2017, ai sensi dell’art. 330 c.c In quella sede, e in quel contesto, le sezioni unite hanno affermato il principio secondo il quale, in materia giustappunto di decadenza dalla potestà genitoriale, qualora i genitori risiedano in Stati diversi, la competenza giurisdizionale deve essere individuata con riferimento al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, il cui accertamento si risolve in una quaestio facti, con valutazione da svolgersi anche in chiave prognostica, che può essere effettuata direttamente dalla Suprema Corte sulla base dei dati emergenti dagli atti processuali. Hanno anche affermato che occorre così valorizzare circostanze quali la frequenza della scuola e il conseguimento di un ottimo rendimento scolastico in un determinato Stato, l’apprendimento della lingua, l’inserimento nel contesto sociale e anche la entusiasta volontà del minore di rimanere in un certo luogo, accertata mediante l’ascolto del minore medesimo. Ora la ricorrente assume che i principi costì espressi debbano essere applicati anche al caso di specie, ai fini del’accoglimento dei primi tre motivi di gravame . Non si avvede, però, che la fattispecie è del tutto diversa, essendo la questione di giurisdizione qui incentrata sulle domande di responsabilità genitoriale accessorie a quella di scioglimento del matrimonio, tutte formulate nel 2012. Proprio seguendo l’assunto della dianzi citata sentenza, il trasferimento e le propensioni manifestate nell’anno 2013 erano da considerate irrilevanti per modificare la giurisdizione già esistente, con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto al momento della precitata domanda. La specifica rilevanza della domanda ai fini indicati è invero confermata dalla sentenza n. 32359-18, ed è certo che la D. non ha mai dedotto, e non lo ha fatto neppure in questa sede, di non avere avuto essa come la figlia - la residenza in Italia al momento della proposizione del giudizio di divorzio L. n. 218 del 1995, art. 3 . V. - In base all’art. 8 del Regolamento CE n. 2201 del 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che ha abrogato il regolamento CE n. 1347/2000, le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi . Sempre le sezioni unite, con specifico riferimento alle domande proposte nel contesto del giudizio di separazione, hanno avuto modo di considerare che la giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli e al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 Cass. Sez. U n. 30646-11 . Il principio va esteso anche all’ipotesi di divorzio. Ma nello specifico senso che, ove nel giudizio di divorzio introdotto innanzi al giudice italiano siano avanzate domande inerenti alla responsabilità genitoriale relative all’affidamento o al diritto di visita e al mantenimento di figli minori, solo se i detti figli non siano al momento residenti abitualmente in Italia soccorre il criterio della residenza abituale dei minori, col fine di salvaguardare l’interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonché di realizzare, così, la tendenziale concentrazione di tutte le azioni li riguardano. Poiché tanto non risulta esser stato mai neppure prospettato, e anzi poiché le allegazioni di parte ricorrente sono sempre state nel senso opposto - che cioè la residenza del minore all’estero era sopravvenuta rispetto alla formulazione della domanda - ne segue che i primi tre motivi vanno dichiarati inammissibili. VI. - Anche il quarto e il quinto motivo possono essere esaminati unitariamente. Col quarto motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame di fatto decisivo a proposito del formulato giudizio di carente capacità genitoriale di essa madre, ai fini del regime di affidamento della figlia e delle conseguenze economiche. Col quinto motivo la ricorrente ulteriormente denunzia l’omesso esame di fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dell’art. 6 della omologa convenzione di Strasburgo, non avendo la corte d’appello tenuto conto della espressa volontà della figlia di rimanere con la madre nel principato di Monaco, nonché della capacità di discernimento della minore, né avendo ritenuto di ascoltarla. Il quinto motivo è fondato, e tanto determina l’assorbimento del quarto. VII. - Come noto v. per tutte Cass. Sez. U n. 22238-09 , l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano e, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003 ne segue che l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità di riconoscimento del suo diritto fondamentale a essere informato e a esprimere le proprie opinioni nei procedimenti suddetti, nonché un elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse ex aliis Cass. n. 6129-15 . Nel caso specifico, risulta dalla sentenza che G. oggi ultradodicenne era stata sentita solo dall’autorità giudiziaria del principato di Monaco, nel contesto - peraltro - del procedimento de potestate. La corte d’appello ne ha criticamente valutato le dichiarazioni, osservando che in quel momento la bimba aveva appena dieci anni e che le dichiarazioni erano state fatte in un ambito peculiare di esclusione del padre segnatamente ne ha disconosciuto l’affidabilità per essere l’ascolto avvenuto in un contesto di massima ingerenza della madre e di esclusione del padre . Tuttavia non ha provveduto a riascoltarla, onde avere conferme o smentite di quanto a suo tempo dichiarato, anche al fine di poter stabilire fino a che punto la volontà manifestata fosse decisa e costante sulla base di una visione non alterata della realtà. Codesta omissione non è giustificabile, poiché l’ascolto non è alfine mai avvenuto dinanzi al giudice del divorzio, con riferimento alla questione dell’affidamento intraneo alla controversia. Giova rammentare che rispetto alla controversia sul divorzio la posizione del minore v. ancora Cass. Sez. U n. 22238-09 è quella di soggetto portatore di interessi diversi se non in qualche caso contrapposti a quelli dei genitori. Ed è importante sottolineare che risulta dalla già citata sentenza n. 32359-18 delle sezioni unite di questa Corte, in forza di un accertamento direttamente svolto in quella sede tra le medesime parti, la cui rilevanza si impone anche nel presente giudizio quanto alla effettività e storicità dei fatti, che la minore si era radicata a Monaco assieme alla madre almeno dal 2016 e che la stessa aveva affermato, dinanzi al giudice monegasco, non solo di esser felice di vivere lì con la madre , ma anche e soprattutto di volervi rimanere. Con chiara manifestazione, cioè, di una volontà avversa alla convivenza col padre. Di tanto la corte d’appello non avrebbe potuto non tener conto. La sua decisione è intervenuta a novembre del 2017, e l’ascolto rappresenta una modalità di riconoscimento del diritto di ogni minore di esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano. Ne consegue che l’impugnata sentenza va in questa specifica prospettiva cassata, dovendo il giudice del rinvio - che si designa nella medesima corte d’appello di Brescia, seppure in diversa composizione provvedere ad ascoltare la bambina proprio allo scopo di appurarne la libera volontà. A tal fine dovrà essere svolta un’attività informativa pertinente e appropriata, con riferimento all’età e al grado di sviluppo della bambina stessa, onde verificare se sia ancora attuale la già resa opzione per il suo collocamento. VIII. - Resta assorbito il sesto motivo, in ordine alla sorte delle spese processuali. Difatti le spese del giudizio di merito dovranno essere oggetto di nuova regolazione da parte del giudice del rinvio, il quale peraltro provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quinto motivo e dichiara assorbiti gli altri cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Brescia. Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.