Pochi incontri con il padre a causa dell’ostruzionismo della madre: condannata a risarcire il figlio

Per i Giudici è evidente la responsabilità della donna, che col proprio comportamento ha leso il diritto del figlio ad avere rapporti con entrambi i genitori. Consequenziale la sua condanna a versare al ragazzo ben 5mila euro a titolo di risarcimento.

Solo tre incontri padre-figlio in due anni e otto mesi. Sotto accusa la moglie che, secondo i Giudici, ha fatto ostruzionismo verso l’ex marito, anche a causa dei conflittuali strascichi legati alla separazione. Consequenziale è la condanna della donna a versare 5mila euro al figlio a titolo di risarcimento per i Giudici, difatti, è evidente la lesione del diritto alla bigenitorialità subita dal ragazzo Cassazione, ordinanza n. 13400, sezione prima civile, depositata oggi . Incontri. Centrale è il passaggio in Corte d’Appello. Lì i Giudici, rivedendo la decisione presa dal Tribunale, accolgono il ricorso proposto da un uomo, lamentatosi per i pochissimi contatti avuti col figlio minore, e rivedono ampliandole le modalità di incontro genitore-ragazzo. A corredo viene anche censurato il comportamento ostruzionistico tenuto dalla donna nei confronti dell’uomo, comportamento consistito, secondo i Giudici, nel rendere difficili i contatti tra l’ex marito e il figlio. E così si spiega la decisione con cui la donna viene condannata a pagare la somma di 5mila euro a favore del figlio a titolo di risarcimento dei danni a lui provocati per la lesione del diritto alla bigenitorialità subita dal minore e frutto del clima di conflittualità esistente tra i coniugi a seguito della separazione . A chiudere la vicenda provvede ora la Cassazione, ribadendo la colpevolezza della donna e ponendo in evidenza il fatto che il padre ha incontrato il figlio solo tre volte in due anni e otto mesi nonostante gli accordi intervenuti tra i genitori, accordi che prevedevano una più ampia frequentazione . Quest’ultimo dato viene collegato al comportamento ostruzionistico tenuto dalla donna, che ha condizionato, sottolineano i giudici, il corretto svolgimento delle modalità di affidamento del figlio minore , causandogli disagio e sofferenze . Logico, di conseguenza, obbligarla a risarcire il figlio versandogli 5mila euro.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 29 gennaio – 17 maggio 2019, numero 13400 Presidente Valitutti – Relatore Meloni Fatti di causa La Corte di Appello di Torino ha accolto parzialmente il reclamo proposto da So. Al. avverso il decreto del Tribunale di Biella con il quale erano state stabilite le modalità di frequentazione del padre con il figlio minore Ca., ampliando le modalità di incontro del minore con il padre e condannando la madre del minore al pagamento della somma di Euro 5.000,00 a favore del figlio ed a titolo di risarcimento dei danni a lui provocati in forza dell'art. 709 ter secondo comma nr. 2 c.p.c. per lesione del diritto alla bigenitorialità a causa del clima di conflittualità esistente tra i coniugi a seguito della separazione. Avverso tale decreto ha proposto ricorso in cassazione El. Ve. affidato a due motivi e memoria. Al. So. resiste con controricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 709 ter secondo comma numero 2 c.p.c. e 346 c.p.c. in riferimento all'art. 360 nr.3 c.p.c. per avere la Corte di Appello di Torino ingiustamente condannato la ricorrente al risarcimento del danno nei confronti del figlio in quanto responsabile della lesione del diritto del minore alla bigenitorialità mentre, al contrario, la ricorrente aveva sempre collaborato per rendere possibili gli incontri con il padre mentre era proprio il figlio Ca. a non voler vedere da solo il padre e pretendere in ogni incontro con il genitore anche la presenza della madre. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 101 c.p.c. e 2697 c.c. in tema di onere della prova in riferimento all'art. 360 comma 1 nr.3 c.p.c. in quanto il giudice di secondo grado non ha riformato la sentenza del Tribunale in riferimento alla censura di nullità della CTU che aveva illegittimamente ampliato l'indagine peritale oltre il quesito posto dal giudice ed aveva consentito a controparte di produrre irritualmente documenti in violazione dell'art. 183 c.p.c. ponendoli alla base delle sue valutazioni. Il ricorso è infondato e deve essere respinto in ordine ad entrambi i motivi. Quanto al primo motivo infatti il giudice di merito ha adeguatamente motivato l'esistenza dei presupposti della condanna ex art. 709-ter comma 2 c.p.c. in quanto dalla sentenza impugnata si evince che il padre dal dicembre 2010 al luglio 2013 ha incontrato il figlio solo tre volte nonostante gli accordi intervenuti tra i genitori che prevedevano una più ampia frequentazione. I comportamenti ostativi contestati alla ricorrente hanno condotto alla condanna di risarcimento a favore del figlio con l'intenzione di censurare proprio la mancata frequentazione tra il padre ed il figlio ed il ruolo svolto dalla ricorrente. Le misure sanzionatorie previste dall'art. 709-ter c.p.c. e, in particolare, la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, sono suscettibili, invero, di essere applicate facoltativamente dal giudice nei confronti del genitore responsabile di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento Cass. 16980/2018 . Nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto comprovato un atteggiamento ostruzionistico della madre ed il condizionamento al corretto svolgimento delle modalità di affidamento del minore p. 3 , nonché il disagio, le sofferenze ed i conflitti derivati al minore dall'atteggiamento della madre. Il motivo proposto contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili in quanto dirette a sollecitare una diversa interpretazione degli elementi probatori del processo e un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento Cass. 8758/2017 . Infine del tutto inconferente il richiamo all'art. 346 cod. proc. civ. rectius 345 , non avendo il giudice violato il principio del ius novorum, ma essendosi limitato a valutare, del tutto correttamente, trattandosi di giudizio su un rapporto, la situazione di inadempimento della madre al momento della pronuncia. Il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile per due ragioni. In primo luogo, va osservato che la nullità della consulenza tecnica d'ufficio - ivi compresa quella dovuta all'eventuale ampliamento dell' indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente - è soggetta al regime di cui all'art. 157 c.p.c. avendo carattere di nullità relativa, e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata Cass. 15747/2018 . Inoltre, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduca la nullità della consulenza tecnica d'ufficio causata dall'utilizzazione di documenti irritualmente prodotti, ha l'onere di specificare, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, il contenuto della documentazione di cui lamenta l'irregolare acquisizione e le ragioni per le quali la stessa sia stata decisiva nella valutazione del consulente tecnico d'ufficio Cass. 11762/2018 . Nella specie, la Corte d'appello ha accertato che la documentazione acquisita irregolarmente ha avuto una limitata incidenza sulla complessiva analisi della capacità genitoriale, e che, comunque, la decisione di primo grado non si era affatto fondata esclusivamente sulle risultanze della c.t.u. relativa a circostanze che non hanno inciso sul giudizio finale complessivo in ordine alla analisi effettuata della capacità genitoriale delle parti. Pertanto il ricorso risulta infondato e deve essere respinto con condanna alle spese del giudizio di legittimità. Non ricorrono i presupposti per l'applicazione del doppio contributo di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. 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