L‘attribuzione di un bene indivisibile ad uno degli eredi costituisce una mera modalità di scioglimento della comunione

Se un immobile indivisibile viene attribuito ad uno degli eredi, ciò non ha natura negoziale ma costituisce soltanto una modalità con cui si attua lo scioglimento della comunione, non precludendo una successiva divisione del bene, realizzabile tramite vendita dello stesso.

Così si è pronunciata la Cassazione con l’ordinanza n. 3497/19, depositata il 6 febbraio. Ereditato un bene indivisibile. Il Tribunale di Treviso dichiarava il diritto di due sorelle a partecipare all’eredità lasciata dalla madre defunta per la quota di 1/6 ciascuna e, pronunciando lo scioglimento della comunione ereditaria, assegnava l’unico bene indivisibile al loro fratello, ponendo a carico di questi il pagamento del conguaglio in denaro in loro favore. Il fratello ricorreva innanzi alla Corte d’appello di Venezia chiedendo la vendita del bene ma la sua domanda veniva dichiarata inammissibile. Egli, dunque, ricorreva in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 720 c.c. per aver la Corte territoriale ritenuto inammissibile la richiesta di vendita del bene in luogo dell’originaria istanza di assegnazione, sostenendo che si trattasse non di istanza ma di una modalità attuativa di scioglimento della comunione. Inoltre il ricorrente lamentava che la Corte d’appello avesse erroneamente ritenuto tardiva la sua richiesta di vendita del bene indivisibile, rilevando che in primo grado il giudice aveva solo statuito sullo scioglimento della comunione senza che si fosse formato giudicato sulla possibilità o men di vendita del bene. Possibile la divisione seppur non in natura. La Corte, giudicando fondate le censure del ricorrente, rileva che la domanda di attribuzione di un immobile indivisibile non ha natura negoziale ma costituisce una modalità attuativa della divisione e si risolve nella era specificazione della pretesa introduttiva del processo rivolta a porre fine alla comunione, e come tale formulabile anche in appello. La Corte poi, chiarisce che l’istanza di assegnazione di un immobile indivisibile non si configura come una domanda e che la rinuncia anche implicita ad una potestà è sempre consentita. Inoltre, l’indivisibilità di un bene non impedisce che si compia la divisione che, pur se non eseguibile in natura, può essere attuata con mezzi indiretti quali il pagamento di conguaglio o la vendita. Per i motivi sopra esposti, la Cassazione accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 6 luglio 2018 – 6 febbraio 2019, n. 3497 Presidente Matera – Relatore Falaschi Ritenuto che - il Tribunale di Treviso, con sentenza n. 786 del 29 aprile 2011, in accoglimento della domanda proposta da M.A. e V. nei confronti del fratello M.C. , accertava la lesione di legittima compiuta con la disposizione testamentaria della de cuius Z.A. e per l’effetto dichiarava il diritto delle attrici di partecipare all’eredità in ragione di un sesto ciascuna pronunciando, altresì, lo scioglimento della comunione ereditaria assegnava l’unico bene al convenuto, ponendo a suo carico la condanna al pagamento del conguaglio in denaro in favore delle sorelle, oltre alle spese processuali - sul gravame interposto dal M. , con il quale lamentava che l’unico cespite della comunione ereditaria era stato sovrastimato, oltre ad avere errato il giudice di prime cure nel riconoscere le rispettive partite di dare ed avere fra le parti, non accogliendo le domande riconvenzionali, la Corte d’appello di Venezia, nella resistenza delle appellate, dichiarata inammissibile la richiesta dell’appellante di mettere in vendita il bene formulata in sede di precisazione delle conclusioni a lui assegnato a seguito di richiesta e non intervenuta impugnazione sul punto , in parziale accoglimento dell’impugnazione e in parziale riforma della decisione del giudice di primo grado, riduceva l’importo dei conguagli a favore delle appellate di Euro 1.440,00 per ciascuna, da riferire ai costi di Telecom ed acqua sostenute dalla de cuius nonostante fossero del figlio, per complessivi Euro 2.880,00, essendo stata la relativa domanda tardivamente formulata dalle appellate, confermata per il resto la decisione impugnata - per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Caltanissetta ricorre il M. sulla base di quattro motivi - le sorelle intimate resistono con controricorso. Atteso che - con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 720 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto inammissibile la richiesta di vendita del bene, in luogo dell’originaria istanza di assegnazione, non costituendo siffatta istanza una domanda in senso proprio, ma una modalità attuativa dello scioglimento della comunione, e tale ben può essere avanzata anche in grado di appello, con la conseguenza che è irragionevole sottoporre a diversi termini di preclusione processuali la rinuncia ad un diritto già esercitato. Con il secondo mezzo è lamentata la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 329 e 336 c.p.c., artt. 2909 e 720 c.c., in quanto - ad avviso del ricorrente - non poteva essergli richiesto di interporre impugnazione avverso la statuizione del giudice di prime cure di assegnazione del bene, trattandosi di semplice modalità attuativa dell’unica vera domanda giudiziale comune alle parti, ovverosia lo scioglimento della comunione, per cui non si era formato alcun giudicato sulla disposizione di assegnazione. Né vi era una soccombenza del ricorrente su detto capo della pronuncia. Appare opportuno l’esame congiunto delle censure perché aggrediscono, seppure sotto diversi profili, la medesima statuizione del giudice di appello. Esse sono fondate. La Corte territoriale ha ritenuto tardiva la istanza del ricorrente formulata solo in sede di impugnazione - di procedersi alla vendita dell’unico bene indivisibile, dopo avere chiesto in primo grado l’assegnazione dell’intero, non potendo tale volontà essere modificata ha poi evidenziato che il M. non aveva neanche impugnato il capo della decisione di prime cure con riferimento alle modalità di attuazione della divisione, per cui proponendo siffatta istanza nel corso del giudizio di appello aveva abbandonato implicitamente le precedenti impostazioni incompatibili con quelle successive. Tale convincimento non è condivisibile. Al riguardo occorre anzitutto osservare che, in realtà, la domanda di attribuzione di un immobile indivisibile, lungi dal rivestire natura negoziale, secondo l’orientamento costante di questa Corte, costituisce una modalità attuativa della divisione e si risolve nella mera specificazione della pretesa introduttiva del processo rivolta a porre fine allo stato di comunione, come tale invero formulabile anche in appello Cass. 2 giugno 1999 n. 5392 Cass. 14 maggio 2008 n. 12119 . Deve poi evidenziarsi l’infondatezza dell’ulteriore statuizione che muove dalla premessa che l’istanza di assegnazione di un immobile indivisibile si configuri come una domanda è infatti agevole replicare che la rinuncia ad una potestà, anche implicita, è sempre consentita, che normalmente implica una presunzione di abbandono o di rinuncia alla stessa Cass. 26 gennaio 2007 n. 1754 , come del resto affermato da questa Corte proprio con espresso riferimento alla rinuncia anche tacita alla attribuzione di un immobile indivisibile, intesa appunto come una eccezione, quando, proposta una prima volta, risulti superata da successive richieste incompatibili della stessa parte Cass. 1 marzo 1995 n. 2335 . Né d’altra parte tale convincimento poteva comportare la necessità di impugnare la pronuncia sul capo dell’assegnazione onde pervenire poi alla rinuncia della relativa istanza. In altri termini, la indivisibilità di un bene non impedisce che si compia la divisione, sebbene questa, non essendo possibile il frazionamento del bene, debba avvenire con le diverse modalità prescritte dalla legge, tra cui l’assegnazione, nel rispetto del principio comunemente accettato del favor divisionis che, da un lato, non impedisce che si compia la divisione in qualunque tempo artt. 713 e 1111 c.c. e, dall’altro, non presuppone inderogabilmente la tutela del diritto dei singoli partecipanti alla comunione a ricevere, con riferimento all’oggetto, una porzione in natura, venendo ciascun condividente tutelato, in caso di indivisibilità del bene, con mezzi indiretti quali il pagamento di conguaglio o la vendita. È, dunque, comunemente accettato in giurisprudenza che l’attribuzione del bene indivisibile ad uno o più condividenti costituisce pur sempre una modalità attuativa della divisione. È, altresì, pacifico che la richiesta di assegnazione non è una domanda ma una eccezione Cass. n. 1754 del 2007 cit. ex aliis, Cass. n. 319 del 1999 Cass. n. 763 del 1988 Cass. n. 6195 del 1987 . Vere, dunque, essendo le premesse di cui sopra, risulta chiaro che la domanda di attribuzione - che, in aderenza alla lettera dell’art. 720 c.c., u.p., meglio sarebbe definire richiesta - può essere fatta solo con riferimento ad un bene sancito come indivisibile, non potendosi, ovviamente, porre il problema dell’assegnazione di un bene comodamente divisibile, in tal caso avendo vigore il favor divisionis ne consegue che non può esserci giudicato sulla disposizione di assegnazione ovvero di vendita. Ed allora, se la richiesta di assegnazione viene proposta in primo grado, è chiaro che l’unica questione definita è la indivisibilità del bene, con tutto ciò che ne consegue - il terzo motivo - con il quale viene denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia il valore attuale del bene, che è stato oggetto di discussione fra le parti, da cui conseguirebbe la nullità della sentenza e/o del procedimento, per non avere la corte territoriale tenuto conto della richiesta del ricorrente di un doveroso aggiornamento della stima del compendio immobiliare oggetto di divisione, nonostante il notevole decorso del tempo tra la consulenza effettuata in primo grado 2009 ed il momento della pronuncia, avvenuta peraltro in un momento di forte crisi del mercato immobiliare. Aggiunge il ricorrente che le argomentazioni della corte di merito al riguardo integrerebbero una mera apparenza di motivazione - ed il quarto mezzo - con il quale è lamentata la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 720 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto costituire onere della prova imputabile all’appellante il calo del valore dell’immobile oggetto di divisione sono assorbiti dall’accoglimento delle prime due censure, dal momento che la richiesta di vendita paralizza la disposta attribuzione, la quale paralizza anche la relativa disposizione del giudice, che è meramente consequenziale alla accertata indivisibilità, ed, ovviamente, la ulteriormente consequenziale fissazione del prezzo. In conclusione, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà al riesame dell’appello alla luce dei principi sopra illustrati. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio art. 385 c.p.c., u.p. . P.Q.M. La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.