Accertabile l'esistenza della comunione ereditaria a fronte della domanda fondata sulla comunione ordinaria

Non sussiste violazione tra il chiesto e il pronunciato qualora il giudice, a fronte di una controversia avente ad oggetto la domanda di restituzione di somme depositate su un conto di deposito cointestato la accolga rilevando che tali somme debbano essere restituite poiché cadute in ragione della metà in successione .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9002/18, depositata l’11 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Torino, accogliendo il motivo di gravame proposto dall’appellante avverso la decisione del Giudice di prime cure che lo aveva condannato a restituire ai suoi fratelli i 2/3 delle somme presenti sul conto di deposito cointestato, rilevava che, derivando il rapporto oggetto di gravame da un precedente conto corrente acceso dall’appellante e dal padre defunto, tali somme fossero cadute per metà in successione, pertanto i fratelli dell’appellante avevano diritto alla restituzione dei 2/3 di detta metà. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’appellante ricorre per cassazione denunciando come la domanda proposta dai fratelli non avesse ad oggetto la divisione ereditaria bensì il mero accertamento della contitolarità del conto di deposito e che, in ogni caso, sussisteva vizio di motivazione della sentenza impugnata circa tale contitolarità. Contitolarità e successione. Il Supremo Collegio sottolinea, preliminarmente, che la qualificazione della fattispecie è compito esclusivo che l’ordinamento affida al giudice investito della domanda, il quale non è vincolato all’impostazione adottata dalle parti nel ricostruire i termini fattuali della vicenda e nel dare di essa la corrispondente trasposizione in diritto, potendo infatti procedere ad una ricostruzione di essa o potendo imprimervi connotazioni giuridiche diverse ed autonome rispetto a quelle a cui si siano riportate le parti nella loro esposizione, con il solo limite rappresentato dal divieto di alterare gli elementi che concorrono a definirne l’identità dell’azione esercitata . Ciò posto, la Suprema Corte rileva come non vi sia stata alcuna violazione tra il chiesto ed il pronunciato. Parimenti, la Corte d’Appello non è incorsa nella denunciata violazione se analoga contitolarità abbia riconosciuto in conseguenza della loro successione nel patrimonio paterno . Relativamente al vizio di motivazione, i Giudici di legittimità precisano che questo si sostanzia, di fatto, in una comune contestazione motivazionale , non sollevabile con il ricorso per cassazione. La Corte dunque respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 dicembre 2017 – 11 aprile 2018, n. 9002 Presidente Ambrosio – Relatore Marulli Fatti di causa 1. N.P. ricorre a questa Corte onde sentir cassare l’impugnata sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1659/12 del 18.10.2012, con la quale il giudice adito, pur accogliendo il primo motivo del gravame da egli proposto avverso la decisione di primo grado che lo aveva condannato a restituire ai fratelli M. e S. i due terzi delle somme relative ad un conto di deposito di cui erano cointestatari insieme al fratello, aveva tuttavia ritenuto che, derivando il rapporto in parola da un precedente conto acceso a nome di P. e di C. , padre dei litiganti, le somme corrispondenti, al decesso di C., fossero cadute in ragione della metà in successione, di modo che i germani M. e S. avevano diritto alla loro restituzione in ragione di due terzi di detta metà. Per la cassazione di questa decisione N.P. si affida a due motivi di ricorso illustrati pure con memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Non hanno svolto attività difensiva gli intimati N.M. e S. . Ragioni della decisione 2.1. Con il primo motivo del ricorso N.P. lamenta tra l’altro per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. poiché, sebbene la domanda inizialmente introdotta da N.M. e S. fosse intesa ad accertare la contitolarità del conto di deposito in discussione e a conseguire la restituzione dei due terzi delle somme correlate, il giudice d’appello, pur riformando in parte qua l’accoglimento decretato in primo grado, aveva invece ritenuto di riconoscere il diritto degli attori in relazione alle somme cadute in successione, in tal modo violando la norma richiamata, posto che i predetti non avevano proposto la domanda in termini di divisione ereditaria, ma bensì in termini di divisione/scioglimento della comunione ordinaria . 2.2. Il motivo è infondato. 2.3. Ricordando più in generale che la previsione costituzionale di un processo giusto impone al giudice di non limitarsi alla meccanica e formalistica applicazione di regole processuali astratte, ma di verificare sempre e quindi ogni volta se l’interpretazione adottata sia necessaria ad assicurare nel caso concreto le garanzie fondamentali in funzione delle quali le norme oggetto di interpretazione sono state poste Cass., Sez. U, 15/06/2015, n. 12310 , giova osservare, di contro alla tesi che l’aver accolto la domanda in ragione di una preesistente comunione ereditaria piuttosto che di una preesistente comunione ordinaria abbia portato il giudice d’appello a violare l’art. 112 cod. proc. civ., come questa Corte ha più volte precisato, che il potere di qualificazione della fattispecie è compito esclusivo che l’ordinamento affidata del giudice investito della domanda, il quale nel compiere questa attività non è vincolato all’impostazione adottata dalla parti nel ricostruire i termini fattuali della vicenda e nel dare di essa la corrispondete trasposizione in diritto, potendo infatti procedere ad una ricostruzione di essa o potendo imprimervi una connotazione giuridica diverse ed autonome rispetto a quelle a cui si siano riportate le parti nella loro esposizione, con il solo limite rappresentato dal divieto di alterare gli elementi che concorrono a definirne l’identità dell’azione esercitata. Si è così affermato, proprio con riguardo allo specifico vizio lamentato dall’istante, che il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi , sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione petitum o causa petendi , emetta un provvedimento diverso da quello richiesto petitum immediato , oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso petitum mediato , così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori Cass., Sez. III, 24/09/2015 n. 18868 . 2.4. In questa cornice la sollevata doglianza si rivela priva di obiettiva consistenza. Invero, benché il deducente si sia limitato ad allegare la generica violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, lo specifico addebito che egli muove alla decisione impugnata, lamentando segnatamente che questa abbia accolto la domanda degli attori, non arrestando il proprio sindacato una volta che era stata negata la contitolarità del conto, si risolve nel denunciarne la nullità per essere essa andata ultra o extra petita. Ma poiché un vizio siffatto sussiste solo se il decidente, alterando i termini obiettivi dell’azione, abbia accordato agli istanti più di quanto richiesto o un bene della vita diverso da quello impetrato, la declinata doglianza nella specie è affatto riscontrabile. Posto, infatti che la domanda inizialmente introdotta dai germani N.M. e S. era intesa a conseguire insieme al riconoscimento della contitolarità del conto di deposito aperto anche a loro nome dal fratello P. , la restituzione delle somme perciò di loro pertinenza, il petitum mediato richiesto ovvero il bene della vita che ne era oggetto non risulta affatto alterato dalla decisione della Corte d’Appello che, accogliendo la domanda, ha ritenuto sussistente il diritto degli istanti alla restituzione delle somme reclamate ed ha così conseguentemente statuito. Tanto era stato chiesto e tanto è stato pertanto accordato dal decidente di secondo grado, in ciò determinandosi coerentemente con l’azione esercitata dagli attori. 2.5. Né per vero contrasta questa conclusione la circostanza che la domanda, in luogo di essere stata accolta secondo i termini articolati dagli attori, sia stata accolta sul presupposto, giustificato fattualmente da quanto emerso nel corso del giudizio, che le somme giacenti sul conto erano divenute parzialmente comuni a seguito della successione apertasi per il decesso di N.P. , padre dei litiganti e dante causa pro quota degli odierni intimati. In disparte dalla considerazione che il fatto in questione integra un presupposto della fattispecie e non un elemento qualificante di essa, essendo inconferente ai fini della identificazione della domanda quali vicende ante atte ne abbiano determinato il profilo causale, l’obiezione non sposta il dato inoppugnabile che pur in conseguenza della vicenda successoria, parimenti, gli attori siano divenuti, eppur in una misura più contenuta, contitolari del conto nello stesso modo in cui se ne erano dichiarati tali nell’introdurre del giudizio, in ogni caso determinandosi e sussistendo una comunione. E, dunque, così come potevano ritenersi legittimati a chiedere la restituzione di quanto loro spettante in base alla contitolarità dedotta inizialmente, la Corte d’Appello non è incorsa nella denunciata violazione se analoga contitolarità abbia riconosciuto in conseguenza della loro successione nel patrimonio paterno. 3.1. Con il secondo motivo N.P. lamenta per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. vizio di erronea e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta contitolarità delle somme in capo ai resistenti a titolo di successione ereditaria, insufficienza e contraddittoria motivazione in relazione alla denegata proprietà in via esclusiva in capo ad esso ricorrente delle somme predette, erroneità della motivazione in relazione alla disconosciuta efficacia presuntiva dei documenti prodotti da esso ricorrente a conforto della rivendicata proprietà in via esclusiva delle somme in questione. 3.2. Il motivo, ancorché articolato in più voci, solleva una comune contestazione motivazionale, che, tuttavia, per i termini in cui è declinata non è più denunciabile quale vizio che legittima il ricorso per cassazione, atteso che per effetto della novellata disposizione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., applicabile alla specie ratione temporis, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione rende possibile sollecitare il controllo di logicità, quando il vizio logico non decampi nel quadro della violazione di legge, nei soli limiti dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, con esclusione perciò di ogni diversa doglianza che abbia ad oggetto la motivazione del provvedimento impugnato e, segnatamente, di quelle intese a denunciare vizi di erroneità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione. 4. Il ricorso va dunque respinto, ma nulla è dovuto per le spese stante il difetto di costituzione avversaria. 5. È dovuto viceversa il doppio contributo previsto dall’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. Respinge il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.