L’accordo divorzile ha natura negoziale. Esperibile l’azione ordinaria per ottenerne l’annullamento

La natura negoziale dell’accordo divorzile porta all’applicabilità allo stesso delle norme generali che disciplinano la materia contrattuale nonché quella dei vizi della volontà.

Il Tribunale di Caltanissetta con sentenza emessa il 12 febbraio 2016 dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra le parti ritenendo inammissibile la revoca del consenso effettuata dalla parte resistente successivamente all’udienza presidenziale. Le motivazioni della revoca. La moglie resistente, revocando il consenso precedentemente prestato al divorzio congiunto, chiedeva la nomina del giudice istruttore al fine di proseguire il procedimento nelle forme del divorzio contenzioso. Ciò in considerazione del fatto di non esser stata sufficientemente edotta dei reali redditi del marito ricorrente e della sussistenza di una rilevante disparità reddituale delle parti. Quando l’accordo è valido. Per affrontare la questione dell’ammissibilità o meno della richiesta avanzata dalla parte resistente, il Tribunale afferma che momenti salienti del procedimento consensuale di divorzio sono l’accordo legittimamente manifestato dai coniugi ed il controllo del Tribunale sulla legittimità delle condizioni ivi contenute. Perché tale accordo venga ritenuto valido, la legge non richiede formalità particolari, essendo sufficiente che tale accordo venga confermato davanti al Presidente. L’accordo come atto pubblico. Nel caso di specie, l’accordo era stato trasporto a verbale e sottoscritto da entrambe le parti. Secondo la Corte di Cassazione, l’accordo di separazione o di divorzio in quanto inserito nel verbale di udienza assume la forma di un atto pubblico. La natura negoziale dell’accordo. Nella pronuncia in commento, il Tribunale riporta l’orientamento giurisprudenziale ritenuto assolutamente prevalente” che afferma la natura negoziale dell’accordo divorzile con la conseguente applicabilità delle norme generali in tema contrattuale e di vizi del consenso. L’azione ordinaria per inficiare l’accordo. Alla luce della natura negoziale dell’accordo di divorzio, i giudici ritengono esperibile l’azione ordinaria di annullamento ex art. 1441 c.c. e inammissibile una revoca del consenso già manifestato nel procedimento di divorzio. In particolare, si legge che l’errore di valutazione dedotto dalla resistente, che potrebbe integrare un’ipotesi di annullabilità dell’accordo, non è un elemento che può esser incidentalmente valutato dal giudice della famiglia, trattandosi di un fatto che consente l’esperimento di un’autonoma azione di annullamento rimessa al giudizio ordinario. Il controllo del Tribunale. Nel caso di specie, inoltre, in assenza di figli, il contenuto dell’accordo riguardava esclusivamente gli aspetti patrimoniali dei coniugi. A seguito dell’introduzione della negoziazione assistita, oggi in assenza di figli l’ordinamento prevede che il Tribunale possa non svolgere più alcun controllo, essendo quello del Procuratore della Repubblica limitato ad esame di mera regolarità, all’esito del quale viene rilasciato un nulla osta.

Tribunale di Caltanissetta, sez. Civile, sentenza del 12 febbraio 2016 Presidente Cammarata – Relatore Sole Motivi della decisione In via del tutto preliminare occorre valutare l’ammissibilità della richiesta avanzata da parte resistente, volta alla prosecuzione del procedimento nelle forme del divorzio contenzioso, in considerazione della revoca del consenso precedentemente prestato ad addivenire ad un divorzio congiunto, sulla base delle condizioni sopra indicate. In particolare, parte resistente deduce che all’udienza del 22 dicembre 2015 le parti non avrebbero manifestato un consenso, bensì solo un impegno informale, dovendo il consenso legittimamente manifestarsi all’udienza fissata innanzi al Collegio. Nel merito, deduce di non essere stata sufficientemente edotta dei reali redditi del ricorrente, nonché la sussistenza di una rilevante sperequazione tra le condizioni patrimoniali delle parti, che renderebbe iniquo l’accordo raggiunto. Tanto premesso, è opportuno svolgere qualche considerazione di carattere generale. Ebbene, il procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio può seguire, com’è noto, due differenti schemi può essere giudiziale ovvero congiunto. Il divorzio può essere pronunciato su domanda congiunta delle parti, allorché i coniugi siano concordi nel voler addivenire alla separazione ed abbiano raggiunto un accordo volto alla regolamentazione delle condizioni inerenti alla prole ed ai rapporti economici art. 4 comma 16 L. 898/70 . È contenzioso allorché un accordo manchi, e sia necessario pervenire ad una pronuncia giurisdizionale da parte del Tribunale. In ogni caso, anche in presenza di accordo, gli effetti dello stesso, unitamente alla regolamentazione relativa allo status, sorgeranno solo a seguito della pronuncia del Tribunale che provvede con sentenza. Momenti salienti del procedimento consensuale di divorzio sono, quindi, l’accordo legittimamente manifestato dei coniugi, ed il controllo effettuato dal Tribunale sulla legittimità – e cioè di non illiceità – delle intese, che si attua attraverso l’emissione della sentenza. Ebbene, il su richiamato comma 16 è chiaro nel riservare al Tribunale un controllo di merito dell’accordo limitatamente alla rispondenza dello stesso agli interessi della prole. E infatti, il Tribunale, valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi si applica la procedura di cui al comma 8” che prevede l’emissione di un’ordinanza con la quale, dati i provvedimenti temporanei e urgenti, avviene la nomina del giudice istruttore per la prosecuzione della causa. Inoltre, è pacifico che il procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio può iniziare secondo lo schema congiunto di cui all’art. 4 comma 16 L. 898/70, ovvero, pur essendo iniziato giudizialmente, divenire” consensuale allorchè l’accordo sopraggiunga in corso di causa. Occorre a questo punto interrogarsi, a prescindere dalla natura originaria o sopravvenuta della consensualità” del divorzio, sui caratteri formali che deve rivestire l’accordo per poter essere ritenuto valido. Ebbene, va anzitutto osservato che la legge non richiede alcuna formula sacramentale per la stipula di un valido accordo di divorzio. Né, d’altro canto, potrebbe ritenersi indefettibilmente necessaria la presenza di un ricorso” direttamente presentato dalle parti, come una frettolosa lettura dell’art. 4 comma 16 L. 898/70 potrebbe indurre a ritenere. Difatti, la disposizione in esame fornisce una regolamentazione processuale applicabile nel caso in cui il procedimento nasca ab origine in veste congiunta, ma non anche nel caso in cui, nel corso di un divorzio giudiziale, il giudice, preso atto dell’intervenuto accordo, disponga il mutamento del rito rinviando per l’adozione dei provvedimenti conseguenti. In altri termini, non può una disposizione avente natura meramente processuale, introdurre un limite formale alle disposizioni di natura sostanziale sull’accordo divorzile. Nel caso di specie, l’accordo è stato legittimamente trasposto a verbale, e debitamente sottoscritto dalle parti non può, quindi, esservi dubbio di sorta sulla validità dello stesso. Né la chiara esposizione della volontà delle parti contenuta nel verbale – al di là del refuso inerente alla erronea indicazione del procedimento da trasformarsi in separazione consensuale” – consente di ritenere la volontà delle stesse limitata ad una mera dichiarazione di intenti. Una conferma di ciò proviene da quanto autorevolmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato , assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 cod. civ.” così Cass. 4306/97 è appena il caso di rilevare come il principio di diritto possa essere esteso anche all’accordo divorzile . Ne consegue che l’accordo manifestato dai coniugi nel corso dell’udienza del 22 dicembre 2015 deve ritenersi perfettamente valido. Ciò posto, è opportuno sottolineare che per la giurisprudenza assolutamente prevalente, l’accordo divorzile ha natura negoziale cfr. Cass. n. 8010/04 n. 7450/08 . Il che rende applicabili le norme generali che disciplinano la materia contrattuale, nonché, in particolare, quella dei vizi della volontà. Ebbene, è evidente che per infirmare l’efficacia di un negozio legittimamente stipulato tra le parti non è sufficiente il venir meno del consenso di una di esse, occorrendo il mutuo dissenso di entrambe. Insomma, un mero ripensamento circa la convenienza o la giustizia” di un accordo, da parte di uno dei paciscenti non può far venir meno la forza del vincolo negoziale arg. ex art. 1372 c.c. . D’altro canto, la validità di un negozio può essere inficiata solo in presenza di una causa di nullità o annullabilità dello stesso. E in particolare, il codice consente alla parte che ritenga viziato il proprio consenso di esperire un’azione avente natura costitutiva volta all’annullamento del contratto artt. 1441 e ss. c.c. . Ciò che si vuol dire è che il dedotto errore di valutazione della B che secondo la prospettazione della stessa, potrebbe integrare un’ipotesi di annullabilità dell’accordo , non è elemento che può essere incidentalmente valutato da questo Tribunale nel corso del procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, trattandosi piuttosto di un fatto che consente l’esperimento di un’autonoma azione ex art. 1441 c.c. rimessa al giudizio ordinario così Cass. n. 7450/08 cit. . Inoltre, è pacifico che nel caso di specie il contenuto dell’accordo riguarda esclusivamente l’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, non venendo in rilievo l’interesse dei figli, il quale – solo – potrebbe giustificare un controllo di merito da parte del Tribunale. Tale opzione, già sufficientemente chiara in forza dell’art. 4 comma 16 cit., trova ulteriore conferma alla luce delle recenti modifiche introdotte dall’art. 6 del D.L. n. 132/2014, introduttivo dell’istituto della convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. E invero il comma 2 della disposizione appena citata è chiaro nel tracciare una diversa scansione procedimentale in relazione al nuovo istituto, a seconda che l’accordo raggiunto coinvolga, o meno, i diritti dei figli minori, maggiorenni ma non economicamente autosufficienti ovvero portatori di handicap. Difatti, solo in presenza di figli il Procuratore della Repubblica che ritenga l’accordo non rispondente al loro interesse trasmette gli atti al Presidente del Tribunale, che fissa la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”. Di contro, in assenza di figli, oggi l’ordinamento prevede che a il Tribunale possa non svolgere più alcun tipo di controllo b il controllo effettuato dal Procuratore della Repubblica si limiti ad un esame di mera regolarità, all’esito del quale viene rilasciato un nullaosta. In conclusione, il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per la prosecuzione della causa nelle forme del procedimento contenzioso. Ciò posto, la domanda delle parti, congiuntamente proposta all’udienza del 22 dicembre del 2015 e diretta alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio da loro contratto va accolta. Deve innanzi tutto evidenziarsi che sono stati rispettati termini e condizioni previsti dell’art. 3, n. 2 lett. b , l. 1° dicembre 1970, n. 898 come modificato dalla L. 55/ 2015 per farsi luogo alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio dei ricorrenti, posto che sono decorsi più di sei mesi dal giorno in cui le parti sono comparse innanzi al Presidente di questo Tribunale nella procedura di separazione consensuale promossa con ricorso poi omologato giusta decreto dell’8.3.1989. Deve inoltre ritenersi che da allora i coniugi abbiano ininterrottamente vissuto separati, non emergendo, dagli atti, alcuna indicazione contraria e non avendo nessuna delle parti formulato alcuna eccezione al riguardo. Tale stato di cose è inoltre sintomatico del fatto che tra le parti è pure cessata la comunione spirituale e materiale dei coniugi, e che non è realisticamente prevedibile che la stessa possa ricostituirsi art. 1 L. 898 cit. . Ricorrono, poi, anche le condizioni dettate dall’ultimo comma dell’art. 4 l. 898/70 per l’accoglimento della domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, posto che le parti hanno indicato compiutamente le condizioni inerenti ai propri rapporti economici - sopra integralmente trascritte – idonee a definire il presente procedimento. In accoglimento della domanda va dunque dichiarata la chiesta cessazione degli effetti civili del matrimonio degli odierni ricorrenti. In mancanza di una parte soccombente, infine, nulla deve statuirsi in ordine alle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto a in il da A , nato a l’, e B nata a l’, trascritto nel registro degli Atti di matrimonio del Comune di dell’anno , parte , serie , n. alle condizioni dai predetti indicate a verbale all’udienza del 22 dicembre 2015 ordina all’Ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della presente sentenza allorché la stessa diventerà definitiva.