Finisce la convivenza dell’ex moglie con un altro uomo, ma l’assegno divorzile non aumenta

L’assegno divorzile, precedentemente ridotto per la convivenza more uxorio dell’ex moglie con un altro soggetto, non può essere riportato all’importo originariamente previsto in base alla sola evenienza della cessazione di tale rapporto di convivenza. In sede di rivalutazione del contributo dovuto dall’ex marito, assumono difatti rilevanza i complessivi cambiamenti intervenuti nelle condizioni economiche di entrambi i soggetti coinvolti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10192/15 depositata il 19 maggio. Il caso. In sede di divorzio, veniva imposto all’ex marito di versare all’ex moglie un assegno divorzile per un ammontare, ridotto dopo un procedimento di revisione su richiesta dall’ex marito, di € 1.300,00 mensili. Successivamente, l’ex moglie adiva nuovamente il Tribunale sostenendo che fosse cessata la regione della riduzione, in quanto ella non era più convivente more uxorio con altra persona, chiedeva dunque la rideterminazione del quantum dell’assegno divorzile in ragione dal maggiore importo di circa € 3.000. L’ex marito resisteva alla pretesa chiedendo in via riconvenzionale la revoca della contribuzione per il deterioramento della sue condizioni economiche – conseguenti alla cessazione dell’attività professionale – ed il miglioramento di quella dell’ex moglie per successione ereditaria. La pronuncia di prime cure accoglieva la richiesta di aumento dell’assegno divorzile con decreto, parzialmente riformato in sede di gravame dalla Corte d’appello che fissava in € 1.500,00 la somma da versare all’ex moglie, la quale ricorre per la cassazione del provvedimento. Vicende sentimentali e risolvi economici. La ricorrente censura la motivazione del provvedimento impugnato con rilievi critici non meritevoli di apprezzamento, essendo in parte assiomatici e non sufficienti. La Corte di merito ha difatti argomentato in modo puntuale e logicamente motivato in merito ai complessi eventi che hanno caratterizzato la vita sentimentale delle parti ed i conseguenti risvolti economici influenti sull’assetto giuridico del divorzio. Corretta si rivela la valutazione dell’evento sopravvenuto della cessazione della convivenza more uxorio dell’ex moglie con altro soggetto, che in precedenza aveva giustificato la riduzione dell’assegno divorzile, rendendo in tal modo infondata la censura della violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato dedotta dalla ricorrente per l’esorbitanza dell’indagine fattuale compiuta dai giudici di merito. Tale condizione s’inseriva infatti in un contesto più ampio, relativo al complessivo mutamento delle condizioni economiche delle parti con relativa comparazione, in ragione all’incontroversa proposizione della domanda riconvenzionale da parte dell’ex marito di esonero dal contributo per la cessazione dell’attività professionale, ceduta in quote ai figli dopo aver raggiunto l’età anziana. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali a favore dell’ex marito.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 marzo – 19 maggio 2015, n. 10192 Presidente Luccioli – Relatore Giancola Fatto e diritto La Corte, osservato e ritenuto con motivazione semplificata che - con sentenza di divorzio resa nel 2003 tra i coniugi F.L. ed Z.A. , veniva a quest'ultimo imposto di versare alla prima l'assegno divorzile che, a seguito di un primo procedimento di relativa revisione, veniva ridotto ad Euro 1.300,00 mensili, con provvedimento del 17-22.05.2007 del Tribunale di Vicenza - successivamente la F. adiva nuovamente il medesimo Tribunale di Vicenza, assumendo che era cessata la ragione della riduzione disposta col decreto del 2007, costituita dalla sua convivenza more uxorio con altra persona, e chiedendo che l'assegno in questione fosse rideterminato nel maggiore importo stabilito nella pronuncia di divorzio, ossia in Euro 3.021,00 mensili, attualizzati in base ISTAT - lo Z. si costituiva ed in via riconvenzionale instava per la revoca della contribuzione, adducendo il peggioramento delle sue condizioni economiche, conseguito anche alla cessazione dell'attività professionale, ed il miglioramento, invece, di quelle della F. , per successione ereditaria e divisione di beni immobili - il Tribunale di Vicenza con decreto dell'11-22.03.2010 accoglieva il ricorso della F. , aumentando ad Euro 3.000,00 mensili l'importo dell'assegno divorzile in suo favore - lo Z. proponeva reclamo avverso questo decreto, dolendosi dell'asserita incongruenza del sillogismo operato dal Tribunale, laddove la stessa controparte aveva sempre negato la propria convivenza more uxorio, ed altresì ribadendo che l'ex moglie aveva cospicue disponibilità personali, per successione ereditaria e comunque in conseguenza della divisione giudiziale del patrimonio immobiliare comune, mentre egli, di 66 anni, aveva cessato l'attività professionale ceduta in quota ai figli, aveva da tempo costituito una nuova famiglia ed istituito un trust dei propri beni, mantenendo in disponibilità personale la pensione mensile d'importo inferiore all'assegno divorzile da ultimo riconosciuto all'ex moglie - con decreto del 31.05-6.09.2010 la Corte di appello di Venezia, nel contraddittorio delle parti ed in parziale accoglimento del reclamo, disponeva che, con decorrenza dalla seconda domanda di revisione, lo Z. versasse all'ex moglie l'assegno mensile di Euro 1.500,00 - premesso che col reclamato decreto il Tribunale di Padova aveva accolto l'istanza della F. , disponendo che, in conseguenza dell'emersa cessazione della sua convivenza con il compagno, l'assegno divorzile dovesse esserle ripristinato nella maggior misura di Euro 3,000,00 mensili, considerati gli intervenuti aggiornamenti, la Corte distrettuale riteneva che a alle vicende sentimentali delle persone coinvolte nel giudizio, vere o simulate che fossero, non era dato attribuire automatiche ripercussioni economiche che non superassero la soglia della mera presunzione b dai documenti e dalle visure in atti, oltre che dai provvedimenti giudiziali pronunziati nel corso degli anni, emergeva che entrambe le parti erano titolari di sostanze immobiliari e non costrette a fare affidamento unicamente sulla pensione, risultando a vantaggio di ciascuna l'intestazione di numerosi cespiti immobiliari potenzialmente produttivi e forse anche in concreto, mancando la prova del contrario nonché disposta la ripartizione di redditi da locazione o affitto di immobili, accantonati nel corso della causa di divisione dei beni in loro comproprietà, in cui erano stati definiti due lotti da assegnare a ciascun condividente, di valore approssimato agli Euro 400.000,00, relativamente ai quali ognuno dei due poteva assumere, anche per le vie legali, le iniziative più idonee alla conservazione del valore capitale ed all'utilizzo e gestione delle rendite c ciò nonostante, rispetto al reclamante la F. era svantaggiata dalla mancanza di un'attività professionale produttiva paragonabile a quella volontariamente dismessa dall'ex marito e dalla necessità di attingere a rendite del personale patrimonio ereditario immobiliare, in attesa dell'assegnazione in via definitiva anche della quota del patrimonio già in comune con l'ex marito d in rapporto alla situazione personale e patrimoniale delle parti, considerate le relazioni parentali intervenute, con i relativi impegni economici e in mancanza di documentate necessità attuali, che non fossero meramente riferite all'ammontare dell'assegno divorzile risalente al 2003, sulla base di circostanze affatto diverse, era congrua la definizione di un assegno divorzile, rapportato all'attualità, di Euro 1500,00 mensili, annualmente rivalutabili. - contro questo provvedimento la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e notificato il 14.03.2011 allo Z. , che il 20.04.2011 ha resistito con controricorso e depositato memoria - a sostegno del ricorso la F. denunzia Contraddittorietà, illogicità manifesta della motivazione, solo apparente e determinante l'ingiusta decisione, in relazione all'art. 360 n. 5 del c.p.c. - Ultra ed extra petizione. . Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Le censure che la F. pone, previo sufficiente richiamo delle controverse vicende, si risolvono prevalentemente in inammissibili meri rilievi critici, in parte anche assiomatici e non autosufficienti, avverso la decisione assunta dalla Corte di appello di Venezia, essenzialmente incentrati sulle argomentazioni poste a sostegno dell'impugnato provvedimento, che, invece, si rivela aderente alle domande svolte dalle parti nonché puntualmente e logicamente motivato in doveroso rapporto ai dati normativi ed ai sopravvenuti accadimenti d'indole non solo personale ma anche economica, con ineccepibile valorizzazione di quelli influenti sul precedente assetto giudiziario ed atti a consentirne la legittima revisione, nonché all'esito della rinnovata valutazione anche comparativa delle modificate condizioni patrimoniali in cui versavano le due parti, desunta dalle emerse risultanze istruttorie, che per converso non giustificava la soppressione dell'apporto in questione, come seppure implicitamente ritenuto dai giudici di merito - in particolare infondata si rivela pure la censura di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c., dedotta dalla F. sul presupposto dell'esorbitanza dell'indagine compiuta dai giudici d'appello dal limite insito nella sua domanda di aumento dell'assegno divorzile ancorata all'unica sopravvenienza costituita dalla cessazione del suo rapporto di convivenza more uxorio, che in precedenza aveva giustificato la riduzione del medesimo apporto. La ricorrente non considera che il thema decidendum era ben più ampio e non limitato alla valutazione della circostanza da lei dedotta ed apprezzata dai giudici di merito, giacché la rinnovata delibazione delle sopravvenute situazioni economiche delle parti, con relativa comparazione, s'imponeva in ragione dell'incontroversa proposizione da parte dello Z. della domanda riconvenzionale di esonero dalla contribuzione in questione e del successivo reclamo dallo stesso proposto, ancorati ai mutamenti delle rispettive condizioni personali e patrimoniali. Conclusivamente il ricorso della F. deve essere respinto, con sua condanna per soccombenza al pagamento in favore dello Z. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la F. al pagamento, in favore dello Z. , delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.