L’ex coniuge ha deciso di non lavorare più? Il giudice deve tenerne conto nel determinare l’assegno divorzile

L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi nella prima il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno

Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nell’art. 5 della legge 898 del 1970 che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza 2546 del 5 febbraio 2014. Il caso. Giunge in Cassazione la diatriba tra moglie e marito in merito alla quantificazione dell’assegno di divorzio. In appello il marito era riuscito ad ottenere una riduzione della misura dell’assegno da versare in favore della ex moglie facendo pesare la libera scelta di questa di non voler provvedere da sé al proprio mantenimento avendo ella rifiutato da sempre di riprendere a lavorare e trovare un impiego confacente alle proprie possibilità La donna ricorreva in Cassazione denunciando la contraddittorietà e l’illegittimità della decisione della Corte territoriale. Un’esegesi completa dei principi fondamentali in tema di diritto all’assegno di divorzio. L’assegno divorzile a differenza di quello di contributo al mantenimento stabilito nel giudizio di separazione ha un fondamento essenzialmente etico - sociale, di vera e propria solidarietà post-coniugale. Non a caso ha natura esclusivamente assistenziale. Prescinde quindi, in virtù dello scioglimento del matrimonio, dagli obblighi di mantenimento che permangono anche in regime di separazione e costituisce invece un vero e proprio effetto diretto della pronuncia di divorzio. Come indicato dagli Ermellini, è l’art. 5, legge 898/1970 il fulcro della decisione. Tale norma individua quali presupposti devono sussistere per la concessione dell’assegno di divorzio a favore di un coniuge e a carico dell’altro. Essi sono 1 La mancanza di mezzi adeguati 2 L’impossibilità oggettiva di procurarseli. L’adeguatezza dei mezzi è innanzitutto valutata con riferimento al tenore di vita tenuto durante il matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, considerate al momento del divorzio Cass. n. 24858/2008 . Tale tenore funge quindi da vero e proprio parametro di riferimento sul quale misurare” l’adeguatezza o meno delle risorse di cui dispone il coniuge richiedente l’assegno di divorzio. Al riguardo, occorre però considerare il tenore di vita potenziale e non quello eventualmente più basso” tollerato, subito o concordato nel corso del matrimonio. L’inadeguatezza dei mezzi però non deve necessariamente raggiungere lo stato di bisogno”, pertanto l’avente diritto all’assegno potrebbe anche essere economicamente autosufficiente. Infatti l’art. 5 della legge sul divorzio subordina la concessione dell’assegno non già ad una situazione di indigenza, bensì all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge a consentirgli il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio Cass. n. 15726/2005 . Superata positivamente la prima fase” di accertamento in astratto del diritto all’assegno di divorzio, occorre poi quantificare e liquidare in concreto l’ammontare dell’assegno. Per fare questo, l’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio individua diversi criteri tra cui le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi e la durata del matrimonio tenendo eventualmente conto anche della convivenza pre-matrimoniale . Accanto agli elementi indicati dal legislatore, ve ne sono poi altri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, come la rilevanza del godimento della casa coniugale ad esempio nella misura in cui costituisce un risparmio di spesa per il coniuge assegnatario , i cespiti di cui ciascun coniuge dispone patrimonio immobiliare, relativo trattamento fiscale e presumibile valore di realizzo , le elargizioni da parte dei familiari se costanti e contribuenti in misura continua - durante la convivenza - al ménage della famiglia, altri emolumenti di carattere straordinario, se percepiti con continuità. Come precisa la Suprema Corte nella sentenza in esame, non è necessario che il giudice prenda in considerazione puntualmente e contemporaneamente - in ogni singola fattispecie sottoposta al suo esame - tutti i criteri sopra individuati, l’importante è che però fornisca sempre adeguate motivazioni nella sentenza, soprattutto se sollecitato dalle parti sul punto. Da valutare le situazioni di entrambi i coniugi. Anche la sentenza in commento parla infatti di giudizio bilaterale e ponderato”, proprio per sottolineare l’elemento della comparazione complessiva, soppesando” le situazioni di entrambi i coniugi. Il duplice giudizio sopra brevemente riassunto viene applicato quindi nel caso deciso dalla Corte. Infatti dapprima – per così dire nella fase dell’ an dell’assegno – si accerta l’impossibilità per la moglie di ricostruire con i propri mezzi il livello di vita pregresso. Nell’ipotesi in esame tale deduzione era tratta dal fatto che la donna aveva 34 e non poteva più, anche solo per ragioni anagrafiche, tornare a svolgere il lavoro di indossatrice che aveva abbandonato durante il matrimonio per occuparsi della famiglia. Una volta però optato per la sussistenza del diritto, i giudici, con riferimento al quantum , non hanno potuto non considerare il carattere volontario del mancato reperimento da parte della signora di un’attività lavorativa remunerata sì da contribuire al proprio mantenimento . In pratica la donna, pur non potendo più svolgere lo stesso lavoro ante separazione era ancora in giovane età e ben avrebbe potuto trovare un nuovo e diverso impiego più confacente alle proprie possibilità. Tale elemento ha giustificato così una riduzione dell’importo complessivo dell’assegno di mantenimento con reiezione delle pretese di aumento avanzate dalla signora. Si tratta di un passaggio significativo e interessante che dimostra come la scelta di una delle parti di non contribuire da sé al proprio mantenimento – pur essendo ovviamente perfettamente libera e consentita – ben può incidere sulla determinazione dell’assegno divorzile, se non nella decisione in astratto del diritto al medesimo, almeno nella quantificazione concreta dello stesso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 giugno 2013 - 5 febbraio 2014, numero 2546 Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - D.S.L. impugnò la sentenza con la quale il Tribunale di Roma, nello stabilire le condizioni economiche conseguenti alla cessazione degli effetti civili del matrimonio dallo stesso contratto con P.A. , aveva posto a suo carico un assegno di Euro 800,00 mensili in favore della ex moglie, fissando il suo contributo per il mantenimento delle figlie minori R. e B. , affidate alla madre, nella misura complessiva di Euro 1500,00 mensili. 2.- La Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, per ciò che ancora rileva nella presente sede, rideterminò l'assegno divorzile in favore della P. nella somma mensile di Euro 500,00. Rilevato che il matrimonio fra i due, contratto nel 1988, si era concluso dopo dieci anni dalla celebrazione, sfociando in una separazione consensuale omologata dal Tribunale di Roma il 26 maggio 1998, e che la P. , di professione indossatrice prima del matrimonio, si era poi dedicata alla cura del marito e delle figlie, mentre il D.S. , appartenente ad una facoltosa famiglia che gestiva attività di giuoco e divertimento, aveva goduto, negli anni dell'unione, di partecipazioni in alcune delle società attraverso le quali si svolgeva tale attività, lavorando inoltre alle dipendenze di una di queste, la Corte di merito ritenne accertato sia l'elevato livello di vita goduto dai coniugi, sia la perdita di disponibilità economica per la P. conseguente alla fine della unione con il D.S. , e l'oggettiva impossibilità per la stessa di ricostituire con i suoi propri mezzi il livello di vita pregresso, considerando la negativa incidenza dell'età sulla possibilità di riprendere la professione di indossatrice e la mancanza di alcuna altra sua specifica formazione professionale. Del resto, la circostanza del versamento da parte del D.S. di una somma superiore a quella prevista nel verbale di separazione risultava indicativa della condizione di oggettivo disagio economico conseguita alla separazione per la P. . Ciò posto, sotto il profilo della quantificazione della somma da attribuire alla stessa, la Corte rilevò la indisponibilità della donna a contribuire da sé al proprio mantenimento impegnandosi in un'attività lavorativa confacente alle sue possibilità. Al di là delle opportunità offertele dallo stesso D.S. , in relazione alle quali andava considerata la condanna penale per falso riportata da quest'ultimo e dalla sua nuova compagna per l'artificiosa predisposizione di un invito per un colloquio di lavoro, all'epoca della separazione la donna aveva solo 34 anni, e quindi era nel pieno della sua capacità lavorativa. Tali considerazioni indussero il giudice di secondo grado a ridurre l'assegno divorzile posto a carico del D.S. , per renderlo compatibile con i mezzi di cui doveva ritenersi godesse costui, sulla base della quantificazione operata dal c.t.u. dei suoi redditi e della consistenza del suo patrimonio immobiliare, risultando inidonee al riguardo le sole risultanze delle denunce fiscali prodotte in giudizio. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la P. sulla base di due motivi. Il D.S. resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale. Il D.S. ha anche depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Deve, in via preliminare, precisarsi non esservi luogo a procedere in ordine alla istanza del controricorrente e ricorrente incidentale di essere rimesso in termini per rinnovare la notifica. Infatti, il controricorso e ricorso incidentale fu consegnato per la notifica tempestivamente, in data 12 marzo 2009. Detta notifica, tentata all'indirizzo del difensore del D.S. , non andò a buon fine, come emerge dalla relata, per l'intervenuto trasferimento dello stesso. Quindi, l'atto fu notificato presso il nuovo domicilio del difensore. Sicché, non si pone più un problema di rinnovazione della notifica. 2. - Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta falsa applicazione dell'art. 5, sesto comma, della legge numero 898 del 1970 per la errata applicazione del criterio della durata del matrimonio quale parametro per la quantificazione dell'assegno divorzile. Si osserva che secondo la giurisprudenza di legittimità l'elemento della durata del matrimonio deve essere considerato facendo riferimento alla durata del vincolo, che si esaurisce con la pronuncia di divorzio e non con la sola separazione personale. La Corte di merito, invece, ha fatto riferimento esclusivamente al periodo di dieci anni, dal matrimonio alla separazione consensuale dei coniugi D.S. - P. , senza tenere conto della rilevanza degli anni successivi alla separazione nella determinazione del quantum dell'assegno divorzile in favore della donna. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis Dica la Suprema Corte se, nella valutazione dei crateri di cui all'art. 5, comma 6, della legge numero 898/1970 ai fini della quantificazione dell'assegno periodico da riconoscere alla odierna ricorrente, la sentenza impugnata non abbia violato e/o falsamente applicato la norma richiamata, in relazione al criterio costituito dalla durata del matrimonio, per non aver tenuto conto del consolidato principio di diritto per il quale deve farsi riferimento, a tal fine, all'intera durata del vincolo, fino alla pronuncia di divorzio, in tal modo incorrendo nella violazione e falsa applicazione di cui all'art. 360 c.p.c., I comma, numero 3 ”. 3. - La doglianza risulta priva di fondamento. 3.1. - In tema di determinazione dell'assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, numero 898 nel testo modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, numero 74 v. Cass., sentt. numero 7601 del 2011, numero 9876 del 2006 , ovvero, deve aggiungersi, di tutti tali parametri nella medesima misura. 3.2. - Nella specie, la misura dell'assegno è stata ineccepibilmente determinata dal giudice di secondo grado prendendo in considerazione i criteri di legge, dando evidentemente prevalenza alla comparazione tra le condizioni economiche delle parti, in particolare apprezzando la deteriore situazione del coniuge avente diritto all'assegno, sia pure nel rilievo - che ha, infatti, determinato la decisione della Corte di merito di ridurre l'entità dell'assegno rispetto a quanto stabilito dal primo giudice - della indisponibilità mostrata dalla P. dopo la separazione dal coniuge a reperire un'attività remunerata tale da consentirle di contribuire al suo mantenimento. In tale contesto motivazionale, non appare di certo significativa la omessa considerazione, denunciata dalla ricorrente, del periodo intercorrente tra la separazione consensuale e la pronuncia del divorzio nell'ambito del criterio della durata del vincolo matrimoniale quale parametro per determinare il quantum dell'assegno divorzile in favore della P. . 4. - Con il secondo motivo si deduce contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte di merito avrebbe errato nell'affermare, da un lato, che la signora P. non aveva possibilità di reperire una nuova e idonea attività lavorativa, poiché l'età non le consentiva più di riprendere l'attività di indossatrice, perché non aveva una specifica formazione e perché la prolungata assenza dal mondo del lavoro riduceva gravemente, ormai, i suoi margini di inserimento lavorativo, e che ciò le rendeva impossibile ricostituire con i propri mezzi il livello di vita pregresso e dall'altro, contraddittoriamente, che il fatto che la stessa non si fosse attivata per reperire una idonea occupazione aveva contribuito ad aggravare la sperequazione della sua condizione economica rispetto a quella dell'ex coniuge, e che tale profilo di volontarietà incideva sulla valutazione in ordine alla misura dell'assegno in suo favore da porre a carico del D.S. . La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto Dica la Suprema Corte se non sia contraddittoria la motivazione della Corte di merito secondo la quale la sperequazione della condizione economica della sig.ra P. nei confronti dell'ex marito si sarebbe aggravata per non essersi la stessa attivata per reperire un'attività remunerata, dopo che la stessa Corte aveva accertato e dichiarato, in un precedente passo della motivazione, che esisteva una oggettiva impossibilità, per l'appellata, di ricostituire con i suoi mezzi il livello di vita pregresso, a causa della negativa incidenza dell'età sulla possibilità di riprendere la professione di indossatrice svolta prima del matrimonio, della mancanza di alcun'altra sua specifica formazione professionale e della prolungata assenza dal mondo del lavoro, dovuta all'essersi dedicata alle cure della famiglia negli anni dell'unione, in tal modo incorrendo nella violazione di cui all'art. 360 c.p.c., I comma, numero 5 ” Dica la Suprema Corte se non sia insufficiente la motivazione della Corte di merito per aver ritenuto accertata l'indisponibilità della moglie a contribuire da sé al proprio mantenimento, senza aver indicato sulla base di quali prove ha fondato il proprio convincimento e se, pertanto, non abbia, in tal modo, nuovamente violato l'art. 360 c.p.c., I comma, numero 5 ”. 5. - La censura non è meritevole di accoglimento. 5.1. - Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, numero 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, numero 74, l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione v., ex plurimis, Cass., sentt. numero 15611 del 2007, numero 18241 del 2006 . 5.2. - Ebbene, nella specie, quella che la ricorrente denuncia come motivazione contraddittoria altro non è che appunto la duplice operazione compiuta dalla Corte capitolina secondo il richiamato indirizzo giurisprudenziale. Ed infatti, essa ha dapprima, nell'accertamento dell' an dell'assegno, fatto riferimento alla oggettiva impossibilità, in atto, della signora P. di ricostituire con i suoi propri mezzi il livello di vita pregresso, per le ragioni già indicate quindi, una volta accertata la sussistenza del diritto in capo alla stessa, il giudice di secondo grado, nella determinazione della misura di tale assegno, ha dato rilievo anche al carattere volontario del mancato reperimento da parte della P. di un'attività lavorativa remunerata si da contribuire al proprio mantenimento affermazione, quest'ultima, che la Corte ha ritenuto suffragata proprio dal mancato impegno della donna, nel periodo immediatamente successivo alla separazione - in cui ella aveva un'età che le avrebbe ancora consentito di dedicarsi al lavoro più confacente alle sue possibilità - in alcuna attività retribuita. Resta, dunque, esclusa ogni contraddittorietà ed insufficienza nella motivazione della sentenza impugnata. 6. - Le suesposte argomentazioni danno conto altresì della infondatezza del primo motivo del ricorso incidentale, speculare a quello appena trattato, in cui infatti si lamenta la contraddittoria ed insufficiente motivazione circa il medesimo presunto contrasto tra le affermazioni della Corte di merito sulla impossibilità oggettiva e quelle sulla indisponibilità della P. al reperimento di un'attività lavorativa, contrasto denunciato, questa volta, sotto il profilo della dipendenza di detta impossibilità da quella indisponibilità. 6.1. - Il quesito di diritto posto alla Corte è il seguente Dica la Suprema Corte se la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria laddove afferma che la sig.ra P. si sarebbe trovata nella oggettiva impossibilità di ricostituire con i suoi propri mezzi il livello di vita pregresso, considerando la negativa incidenza dell'età sulla possibilità di riprendere la professione di indossatrice svolta prima del matrimonio nonché la mancanza di alcuna altra sua specifica formazione professionale oltre che la prolungata assenza dal mondo del lavoro dovuta all'essersi dedicata alle cure della famiglia negli anni dell'unione, con quanto successivamente affermato, sul medesimo punto, in ordine all'età della ricorrente, attribuendo rilievo alla accertata indisponibilità della sig.ra P. a contribuire da sé al proprio mantenimento impegnandosi in un'attività lavorativa confacente alle sue possibilità, considerato anche che la separazione risale al 1998, quando ella, sebbene non più giovanissima, era a trentaquattro anni ancora nel pieno della capacità lavorativa, così incorrendo nella violazione di cui all'art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c. ”. 6.2. - Come chiarito sub 4.2., la Corte di merito ha ineccepibilmente dato conto - con le affermazioni tacciate tanto dalla ricorrente principale che dal ricorrente incidentale, da angolazioni contrapposte, di contraddittorietà - del percorso logico che la ha convinta della sussistenza del diritto della P. alla corresponsione dell'assegno divorzile e la ha condotta alla determinazione della entità dello stesso. Quanto alla indisponibilità mostrata in precedenza dalla stessa P. ad impegnarsi in un'attività lavorativa confacente alle sue attitudini, denunciata quale causa della impossibilità della donna di mantenere con i propri mezzi un tenore di vita analogo a quello che contraddistinse la vita matrimoniale, essa non esclude che, all'epoca della decisione impugnata, la disparità delle condizioni economiche delle parti era obiettivamente tale da legittimare la attuale ricorrente alla richiesta dell'assegno. 7. - Tali argomentazioni danno conto, infine, anche della non fondatezza del secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5, sesto comma, della legge numero 898 del 1970, nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Avrebbe errato la Corte di merito nel confermare la debenza dell'assegno divorzile a favore della P. nonostante avesse accertato che costei non si era mai attivata per reperire una occupazione lavorativa, circostanza emergente dal rifiuto di due offerte di lavoro provenienti dal D.S. ciò che aveva costituito la causa della sperequazione economica tra le parti. 7.1. - La illustrazione del motivo si conclude con la enunciazione dei seguenti quesiti di diritto Dica la Suprema Corte se la sentenza impugnata comporti violazione e falsa applicazione della norma dettata dall'art. 5, comma 6, L. 898/1970 nella parte in cui, riconoscendo ad uno dei coniugi l'assegno divorzile, non attribuisce rilevanza alla circostanza che detto coniuge non si sia in alcun modo attivato per trovare una attività remunerata, in assenza delle ragioni oggettive previste dalla suddetta norma, così incorrendo nella violazione dell'art. 360 c.p.c., I comma, numero 3 ” Dica la Suprema Corte se la Corte d'appello abbia omesso la motivazione nella sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che nessun dato utile di valutazione può ricavarsi al proposito dalla circostanza che essa la sig.ra P. non abbia coltivato le possibilità in tal senso fornitele dal D.S. senza spiegare le ragioni di tale conclusione cui la stessa è pervenuta, così incorrendo nella violazione dell'art. 360, I comma, numero 5, c.p.c. ”. 7.2. - Il nucleo fondamentale della censura, come anticipato, è incentrato ancora sulla indisponibilità della P. a reperire una idonea attività ma, per le ragioni già chiarite, esso si infrange contro l'ordito della sentenza impugnata, che, nello scindere, come dovuto, le operazioni di accertamento del diritto della donna all'assegno divorzile e di determinazione del relativo importo, ha - legittimamente, per le ragioni esposte sub 4.2. e 5.2. - attribuito rilievo solo sotto tale secondo profilo alla circostanza denunciata. 8. - Conclusivamente, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. Nella reciproca soccombenza le ragioni della compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, art. 52.