Per l’assegno di mantenimento non si deve considerare solo l’età del figlio ma anche il reddito del genitore

Infatti, il mantenimento della prole deve sempre ancorarsi alle possibilità reddituali concrete del genitore e non alle generiche esigenze della fase evolutiva del bambino, in quanto il parametro di riferimento è costituito non solo dalle esigenze dei figli, ma anche dalle sostanze e dai redditi, nonché dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge.

Lo afferma la Cassazione con la pronuncia n. 17089 del 10 luglio 2013. La vicenda . In una pronuncia di separazione personale, il Tribunale aveva affidato la figlia minorenne a entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, rigettando la domanda i addebito a carico di quest’ultima. Il padre proponeva appello addebitando la separazione alla madre, revocando l’assegno di mantenimento riconosciutole e riducendo l'importo dell'assegno dovuto per il mantenimento della figlia. Tuttavia, il giudice di seconde cure ha escluso che la condotta della madre giustificasse la revoca dell'affidamento condiviso della figlia e la modifica della disciplina del diritto di visita spettante al padre, osservando che il c.t.u. aveva espresso un giudizio positivo in ordine allo sviluppo della personalità della figlia minore ed ai suoi rapporti con i genitori. La Corte di appello, ha però reputato che i rischi cui la minore era esposta a causa della condotta disinvolta tenuta dalla madre nella sua vita di relazione consigliassero l'assoggettamento del loro rapporto ad una costante vigilanza da parte dei Servizi sociali. Inoltre, la Corte ha negato il riconoscimento dell'assegno di mantenimento alla madre, in considerazione dell'addebito della separazione, mentre ha ridotto l'assegno posto a carico del padre per il mantenimento della figlia, ritenendolo ingiustificato per le esigenze di una bambina di sei anni. La madre, pertanto, proponeva ricorso dinnanzi alla Cassazione. Gli atti contrari a norme di condotta inderogabili non possono giustificarsi come atti di reazione o ritorsione. In particolare, la madre ritiene che la pronuncia del giudice del gravame non avesse effettuato una valutazione complessiva del comportamento dei coniugi, per verificare se il fallimento dell'unione fosse dovuto in via esclusiva alla violazione dei doveri coniugali da parte di uno di essi, soffermandosi, esclusivamente, sulla condotta della madre. La Suprema Corte, in proposito, confermando la sentenza della Corte di appello, precisa che, per costante giurisprudenza, in tema di addebitabilità della separazione personale, nel caso in cui i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili non possono essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere. In altre parole, ai fini della pronuncia dell'addebito, anche se l'indagine del giudice di merito sull'intollerabilità della convivenza, provocata dal comportamento trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi, deve essere condotta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, a prescindere da qualsiasi comparazione i fatti accertati a carico di un coniuge che non possono in alcun modo essere giustificati come atti di reazione o ritorsione rispetto a comportamenti. dell'altro, in quanto si traducono nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, come l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale e la dignità dell'altro coniuge, così superando la soglia minima di solidarietà e di rispetto per la personalità del partner. Quando l’affidamento è condiviso? Il marito controricorrente, nel ricorso incidentale, lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 155 c 155-bis c.c., là dove la sentenza della Corte di appello ha confermato l'affidamento condiviso della figlia minore nonostante l'accertamento della condotta gravemente contraria ai doveri del matrimonio nel corso della convivenza e nella sua vita di relazione. Ai fini di una migliore comprensione della fattispecie, si ritiene opportuno rammentare che l’art. 155-bis c.c., introdotto con la legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso statuisce che Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma . Il criterio del best interest del figlio . Prima della legge sull’affidamento condiviso la giurisprudenza aveva individuato, quale criterio fondamentale che il giudice deve seguire nei provvedimenti che riguardano i figli, quello dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, affermando che occorresse privilegiare quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, adottando un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo. La giurisprudenza precisava che tale giudizio, ancorandosi ad elementi concreti, può basarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore in tal senso, ex multis , Cass. n. 14840/2006 e n. 6312/1999 . Anche con l’affidamento condiviso bisogna considerare l’esclusivo interesse della prole . Dopo la suddetta legge che ha indicato quale soluzione da valutare in via prioritaria l'affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori, al fine di responsabilizzarli in ordine all'adempimento dei loro doveri verso la prole, la giurisprudenza ha comunque ritenuto che la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista dall'art. 155 c.c. con riferimento alla separazione personale dei coniugi, ed applicabile anche nei casi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l'interesse del minore , come nell’ipotesi in cui il genitore non affidatario si sia reso totalmente inadempiente all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore dei figli minori ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente. Nel caso in specie, la Corte applicando il principio della bigenitorialità alla base dell'istituto dell'affidamento condiviso, ha ritenuto, sulla scorta delle osservazioni del C.t.u., di escludere il turbamento attribuito alla minore per aver sorpreso la madre in rapporti intimi con un uomo diverso dal padre, e dunque di confermare l’affidamento condiviso. Per la determinazione dell’assegno di mantenimento occorre valutare l’alto reddito del padre. La Cassazione, invece, accoglie il ricorso principale là dove la moglie lamenta che, per la riduzione dell'assegno dovuto per il mantenimento della figlia, la Corte ha fatto esclusivamente riferimento alle esigenze della minore dell’età di sei anni, omettendo di valutare l'elevato reddito del padre. In proposito, la Cassazione con la sentenza in esame, ribadisce il principio secondo il quale in seguito alla separazione personale dei coniugi o al divorzio, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza cfr., ex pluribus , Cass. n. 6197/2005 . Questo principio è valido anche dopo la legge sull’affidamento condiviso, in quanto il nuovo art. 155 c.c. nell’imporre a ciascun coniuge l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli proporzionalmente al proprio reddito, individua quali elementi da considerare per la determinazione dell’assegno, sia le esigenze del figlio, sia il tenore di vita goduto dallo stesso e le risorse economiche dei genitori, sia i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti. Nella sentenza impugnata i suddetti criteri non possono ritenersi rispettati in quanto la Corte di appello ha apoditticamente definito ingiustificata in rapporto alle esigenze connesse all’età della figlia, la misura dell’assegno di mantenimento che il Tribunale aveva posto a carico del padre, astenendosi dal valutare il grado di soddisfazione di tali necessità di cui la minore aveva fruito nel corso della convivenza. Concludendo, bisogna considerare i redditi del genitore. In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso solo per quanto attiene la determinazione dell’assegno. Il giudice del gravame, infatti, non ha svolto alcuna indagine in ordine alle risorse patrimoniali e reddituali disponibili da parte dei coniugi ed alla loro capacità di lavoro, determinando l’assegno in una misura da essa astrattamente ritenuta congrua.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 marzo - 10 luglio 2013, n. 17089 Presidente Carnevale – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - Con sentenza del 28 giugno 2007, il Tribunale di Brescia pronunciò la separazione personale dei coniugi H.H. ed A P., rigettando la domanda di addebito a carico della H. affidò la figlia minore T. ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, disciplinando l'esercizio del diritto di visita spettante al padre, e pose a carico del P. l'obbligo di contribuire al mantenimento del coniuge e della figlia mediante il versamento di assegni mensili dell'importo rispettivamente di Euro 800,00 ed Euro 1.200,00, nonché mediante la partecipazione nella misura del 50% alle spese straordinarie, mediche e scolastiche, necessarie per la minore autorizzò infine l'espatrio di quest'ultima con la madre e l'iscrizione nel passaporto della stessa. 2. - Il gravame proposto dal P. è stato accolto dalla Corte d'Appello di Brescia, che con sentenza del 29 maggio 2008 ha rigettato l'appello incidentale proposto dalla H. , addebitando a quest'ultima la separazione, revocando l'assegno di mantenimento riconosciutole, riducendo ad Euro 1.000,00 l'importo dell'assegno dovuto per il mantenimento della figlia e mandando ai Servizi sociali del Comune di residenza della minore di vigilare sul rapporto di quest'ultima con la madre. A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il fallimento dell'unione fosse stato causato dalla condotta contraria ai doveri derivanti dal matrimonio, tenuta dalla H. fin dall'inizio della convivenza, osservando che l'aggressività reciprocamente manifestata dai coniugi nella fase successiva era stata verosimilmente determinata dalla reazione, sia pure esasperata, del P. all'infedeltà ed alle aggressioni fisiche della moglie. Quest'ultima, infatti, pur confermando la correttezza della condotta del marito e la serenità e l'armonia del rapporto coniugale, in una lettera scritta ai propri genitori pochi mesi dopo il matrimonio, aveva ripetutamente abbandonato la casa familiare, instaurando una relazione sentimentale con un altro uomo, il quale, due mesi prima della proposizione della domanda di separazione, aveva preso in locazione un appartamento con l'espressa intenzione di destinarlo ad abitazione propria, della donna e della figlia della stessa. La Corte ha peraltro escluso che la condotta della H. giustificasse la revoca dell'affidamento condiviso della figlia e la modifica della disciplina del diritto di visita spettante al padre, rilevando che il c.t.u. nominato in primo grado aveva espresso un giudizio positivo in ordine allo sviluppo della personalità di T. ed ai suoi rapporti con i genitori, e che la stessa minore si era dichiarata contraria alla coabitazione con il padre. Ha tuttavia ritenuto che i rischi cui T. era esposta a causa della condotta disinvolta tenuta dalla madre nella sua vita di relazione consigliassero l'assoggettamento del loro rapporto ad una costante vigilanza da parte dei Servizi sociali, i quali avrebbero dovuto riferire periodicamente al giudice tutelare se ed in quale misura la minore potesse essere coinvolta e risentire negativamente degli effetti dei predetti comportamenti. La Corte ha infine negato il riconoscimento dell'assegno di mantenimento alla H. , in considerazione dell'addebito della separazione, mentre ha ridotto l'assegno posto a carico del P. per il mantenimento della figlia, ritenendo ingiustificato per le esigenze di una bambina di sei anni l'importo liquidato in primo grado. 3. - Avverso la predetta sentenza la H. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il P. resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 143 e 151 cod. civ. nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini dell'addebito della separazione, ha omesso di procedere ad una valutazione complessiva del comportamento dei coniugi, per verificare se il fallimento dell'unione fosse dovuto in via esclusiva alla violazione dei doveri coniugali da parte di uno di essi. La Corte d'Appello si è infatti soffermata esclusivamente sulla condotta di essa ricorrente ed ha liquidato quella del P. come una mera reazione giustificata, trascurando la differenza di età esistente tra le parti ed il disagio causato in essa ricorrente dalla maggiore anzianità del coniuge, che aveva esercitato nei suoi confronti poteri coercitivi, limitando la sua libertà ben oltre i limiti connessi al dovuto rispetto dei doveri coniugali. Nell'addebitarle l'inizio dei comportamenti aggressivi, la Corte ha omesso precisi riferimenti temporali, indispensabili per l'individuazione del nesso causale tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi familiare, trascurando la prova degli episodi di violenza e dei soprusi ascrivibili al marito e della sua incapacità di gestire i rapporti familiari. La Corte è infine incorsa in contraddizione laddove, pur attribuendo ad essa ricorrente una condotta immorale, ha riconosciuto la sua idoneità a tenere presso di sé la figlia minore per consentire la prosecuzione della sua opera educativa, in ordine alla quale non era stata sollevata alcuna censura. 1.1. - La censura è infondata. Nell'addebitare la separazione alla ricorrente, la Corte d'Appello si è infatti correttamente attenuta al principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pronuncia dell'addebito postula l'accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, oggettivamente contraria ai doveri nascenti dal matrimonio, e quindi della sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati a ciascuna delle parti e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, che costituisce il presupposto necessario per la pronuncia della separazione. Tale accertamento, implicando una valutazione globale e comparativa della condotta dei coniugi, volta a stabilire la misura in cui ciascuno di essi ha concorso a determinare il fallimento dell'unione, richiede necessariamente che il comportamento riprovevole dell'uno non sia esaminato isolatamente, ma sia posto anche in relazione con quello tenuto dall'altro, e ciò al fine di verificare se l'inosservanza dei doveri coniugali ascrivibile ad uno dei coniugi possa eventualmente trovare giustificazione come reazione al comportamento inadempiente o provocatorio dell'altro, ovvero se essa sia configurabile come effetto, anziché come causa della frattura coniugale, in concreto già verificatasi cfr. Cass., Sez. I, 5 agosto 2004, n. 15101 14 novembre 2001, n. 14162 . A tale verifica la Corte d'Appello non si è affatto sottratta, avendo preso in esame non solo il comportamento della H. , ritenuto contrario ai doveri di fedeltà, convivenza e reciproco rispetto, ma anche quello del P. , escludendo, in virtù del positivo apprezzamento espresso dalla stessa ricorrente nella lettera spedita ai suoi genitori a pochi mesi di distanza dal matrimonio, che egli si fosse a sua volta reso responsabile della violazione dei propri doveri nella prima fase della vita coniugale, e ritenendo giustificata, alla luce del comportamento infedele e provocatorio tenuto dalla donna, l'aggressività da lui manifestata nei confronti della stessa nell'ultimo periodo della convivenza. La sottolineatura della condotta antidoverosa della ricorrente non contrasta in alcun modo con la collocazione presso la stessa dell'unica figlia nata dal matrimonio, avendo la Corte opportunamente valutato il movimentato regime di vita della H. sotto due distinti profili, attinenti rispettivamente ai rapporti con il coniuge ed a quelli con la figlia, ed avendo escluso che la violazione dei doveri di fedeltà e rispetto nei confronti del P. si fosse tradotta anche in un pregiudizio per l'interesse della minore, nuocendo al suo corretto sviluppo psico-fisico o compromettendo il suo rapporto con la madre. La ricorrente censura la valutazione compiuta dalla Corte territoriale, lamentando l'omesso esame di circostanze comprovanti sia il comportamento violento e prevaricatore tenuto dal marito nei suoi confronti, sia le cause del disagio da lei manifestato attraverso il reiterato abbandono della casa coniugale, ma si astiene dall'indicare specificamente gli elementi di prova asseritamente trascurati dalla Corte territoriale, limitandosi ad insistere nel proprio assunto, contrario a quello emergente dalla sentenza impugnata. In tal modo, essa dimostra di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione dell'apprezzamento compiuto dalla Corte d'Appello, non consentito in questa sede, nella quale non può procedersi al riesame del merito, ma solo al controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, della valutazione compiuta dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza, nonché di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi cfr. ex plurimis, Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162 3 agosto 2007, n. 17076 . 2. - La conferma della sentenza impugnata, nella parte riguardante l'addebito della separazione, impone, ai sensi dell'art. 156, primo comma, cod. civ., anche il rigetto del terzo motivo d'impugnazione, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 143 e 153 cod. civ., nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione, chiedendo il ripristino dell'assegno di mantenimento nella misura prevista dalla sentenza di primo grado. 3. - Logicamente prioritaria, rispetto all'esame del quarto motivo, risulta poi l'analisi dell'unico motivo del ricorso incidentale, con cui il controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 155 e 155 bis cod. civ., nonché l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato l'affidamento condiviso della figlia minore, nonostante l'accertamento della condotta gravemente contraria ai doveri derivanti dal matrimonio tenuta dalla ricorrente nel corso della convivenza, nonché del comportamento disinvolto da lei tenuto nella sua vita di relazione. 3.1. - In proposito, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che individua, quale criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice della separazione nell'adozione dei provvedimenti riguardanti la prole, quello dell'esclusivo interesse morale e materiale della stessa, il quale impone di privilegiare, nell'affidamento dei figli, la soluzione più idonea ad evitare o ridurre i danni derivanti dalla dissoluzione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità dei minori, consentendo a questi ultimi di crescere ed essere educati nel contesto di vita più adeguato a soddisfare le loro esigenze materiali, morali e psicologiche, e ciò sulla base di un giudizio prognostico in ordine alla capacità di ciascuno dei genitori di far fronte a tali esigenze nella nuova situazione determinata dalla separazione cfr. Cass., Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14840 22 giugno 1999, n. 6312 . L'applicabilità di tale principio non è venuta meno a seguito dell'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che nel modificare l'art. 155 cod. civ. ha espressamente confermato il predetto criterio, indicando peraltro, quale soluzione da valutare in via prioritaria, l'affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori, al fine di responsabilizzarli in ordine all'adempimento dei loro doveri nei confronti della prole, e consentendo quindi di disporre l'affidamento ad uno solo di essi soltanto nell'ipotesi in cui il giudice ritenga motivatamente che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse dei minori art. 155-bis cod. civ. . Alla stregua di tali disposizioni, che configurano l'affidamento condiviso non più come evenienza di carattere residuale, ma come regola alla quale può derogarsi soltanto in presenza di un interesse contrario del minore, l'affidamento esclusivo si pone come una soluzione eccezionale, alla quale può farsi ricorso soltanto quando risulti, nei confronti di uno dei genitori, una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque una situazione tale da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il figlio cfr. Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 24256 Cass., Sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26587 18 giugno 2008, n. 16593 . Nella specie, l'eventualità che il corretto sviluppo psico-fisico della minore sia messo a repentaglio dallo stile di vita della madre è stata espressamente presa in considerazione dalla Corte d'Appello, la quale ha ampiamente ridimensionato la portata di detto rischio sulla base di indagini specificamente compiute dal c.t.u., che avevano consentito non solo di escludere il turbamento attribuito alla minore per aver asseritamente sorpreso la H. in rapporti intimi con un uomo diverso dal padre, ma anche di verificare la conformità della soluzione adottata alle esigenze ed alla stessa volontà della piccola T. . La congruenza logica dell' iter argomentativo seguito dalla sentenza impugnata non può ritenersi compromessa dalla scelta, contestualmente compiuta, di assoggettare il rapporto tra la ricorrente e la figlia alla vigilanza dei servizi sociali comunali e, indirettamente, del giudice tutelare, testimoniando anzi proprio tale provvedimento lo sforzo profuso dalla Corte territoriale nella ricerca della soluzione più idonea a contemperare l'applicazione del principio della bigenitorialità, del quale costituisce espressione l'istituto dell'affidamento condiviso, con la salvaguardia delle esigenze educative della minore. 4. - È invece fondato il secondo motivo del ricorso principale, con cui la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147, 148 e 155 cod. civ., nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione, osservando che, ai fini della riduzione dell'assegno dovuto per il mantenimento della figlia, la Corte ha fatto riferimento esclusivamente alle esigenze della minore, omettendo di valutare gli altri elementi indicati dalla legge, ed in particolare l'elevato reddito del padre, titolare di un cospicuo patrimonio, nonché l'indisponibilità di redditi da parte di essa ricorrente. 4.1. - A seguito della separazione personale, continua infatti a trovare applicazione l'art. 147 cod. civ. che, imponendo ai genitori il dovere di mantenere, i-struire ed educare i figli, obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale ed all'opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Poiché, peraltro, lo standard di soddisfazione di tali esigenze è correlato anche al livello economico-sociale del nucleo familiare, il parametro di riferimento, ai fini della quantificazione del concorso nei predetti oneri, è costituito non soltanto dalle esigenze dei figli, ma anche dalle sostanze e dai redditi, nonché dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, che, rappresentando l'insieme delle risorse economiche a disposizione della famiglia, consentono di valutare il tenore di vita dalla stessa goduto nel corso della convivenza, al quale dev'essere rapportato il contributo in esame cfr. Cass., Sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197 19 marzo 2002, n. 3974 . Questo principio, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in epoca anteriore all'entrata in vigore delle modifiche introdotte dalla legge n. 54 del 2006, trova conferma nel nuovo testo dell'art. 155 cod. civ., come sostituito dall'art. 1 della predetta legge, il quale, nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti. Tali criteri non possono ritenersi rispettati dalla sentenza impugnata, la quale ha apoditticamente definito ingiustificata, in rapporto alle esigenze connesse all'età della figlia, la misura dell'assegno di mantenimento che il Tribunale aveva posto a carico del padre, astenendosi dal valutare il grado di soddisfazione di tali necessità di cui la minore aveva fruito nel corso della convivenza la Corte d'Appello non ha svolto alcuna indagine in ordine alle risorse patrimoniali e reddituali disponibili da parte dei coniugi ed alla loro capacità di lavoro, determinando l'assegno in una misura da essa astrattamente ritenuta congrua, e trascurando anche la portata del contributo personale e domestico fornito dalla ricorrente in conseguenza del confermato collocamento della minore presso di lei. 5. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Brescia, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese relative al giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Brescia, anche per la liquidazione delle spese processuali.