«Cara ti sposo, ma non ti dico che ... soffro di impotentia generandi!»

Le bugie hanno le gambe corte e costano care mai come in questo caso si può dire che la saggezza popolare aveva ragione. Mentire o nascondere circostanze rilavanti prima del matrimonio può costare caro al coniuge reticente, soprattutto se tali riserbi minano la libera autodeterminazione dell’altra parte sulle scelte di vita futura e incidono sui diritti costituzionalmente garantiti e fondamentali della persona.

La fattispecie. Nel nostro caso il Tribunale ha riconosciuto fondata la domanda di risarcimento avanzata dalla ex moglie per il danno derivatole dalla reticenza del marito, prima e durante il matrimonio, in merito alla sua impotentia generandi già nota allo stesso ancor prima della celebrazione del vincolo coniugale. L’attrice, infatti, veniva a conoscenza, solo dopo aver contratto matrimonio e dopo essersi separata legalmente, nonché chiesto ed ottenuto l’annullamento del vincolo al Tribunale Ecclesiatico, che l’ex consorte, ancor prima del matrimonio, era già a conoscenza della propria gravissima patologia che lo rendeva quasi completamente sterile e che lo stesso, nonostante tale consapevolezza, non l’aveva volutamente informata. Tale reticenza ha impedito alla donna una libera autodeterminazione in merito alle sue scelte di vita e, anche se questa ha via via accettato lo stato di infertilità del marito, ha diritto ad ottenere un risarcimento per il danno cagionato alla sua sfera personale, alla sua libertà di scelta e di realizzazione, alle sue prospettive di vita e, in una parola, ai suoi diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Pertanto, la condotta illecita riconosciuta in capo al marito non è la grave patologia, appunto accettata strada facendo dalla moglie, quanto l’avere taciuto all’attrice, mediante un comportamento integrante quanto meno la colpa grave, attesa l’importanza dell’informazione, gli esiti egli esami sulla sua fertilità, impedendo in tal modo alla futura moglie una scelta consapevole di vita sul piano personale e familiare. L’obbligo di lealtà e di informazione sussiste prima del matrimonio. Nel pronunciare la condanna al risarcimento del marito per il danno causato dalla mancata informazione alla moglie del proprio consapevole stato di infertilità accertato prima del matrimonio, il tribunale si è richiamato ad una significativa pronuncia della Cassazione n. 9801/2005 che ha sottolineato molto bene come l’intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità e indisponibilità, non possono che riflettersi sui rapporti delle parti nella fase precedente al matrimonio, imponendo, pur in mancanza allo stato di fatto di un vincolo, un obbligo di solidarietà, correttezza, lealtà che si sostanza in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente alle proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto. La violazione di tale obbligo è quindi fonte di responsabilità aquiliana, purchè non si tratti di comportamenti di minima efficacia lesiva, ovvero volti a trovare composizione all’interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza. E’ necessario, quindi, che si tratti di comportamenti di una certa gravità che si pongano come aggressione e/o lesione ai diritti fondamentali alla persona che, in quanto tali, devono essere sempre riconosciuti e garantiti ad ognuno, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità. Nel caso di specie, la moglie ha visto violare il suo diritto alla libera autodeterminazione, ovvero, inconsapevole della sterilità del marito, ha contratto un matrimonio nella prospettiva di formare una famiglia e avere dei figli scelta che poteva essere diversamente ponderata con una corretta informazione a priori e che, allo stato di fatto, dato il trascorso degli anni, gli interventi invasivi subiti nella ricerca di un figlio e il tempo per il consolidarsi di una nuova relazione dopo l’avvenuta separazione, hanno in sostanza impedito all’attrice di diventare madre ad un’età diversa da quella attuale e da quella in cui è dimostrato, per nozione di comune esperienza, che non è infrequente che insorgano problemi per la donna ed il nascituro. Tutto quanto premesso, considerata l’importanza dell’impegno assunto con il matrimonio, la non disponibilità dei doveri che ne derivano e pertanto l’essenzialità di una informazione completa, almeno per quanto riguarda circostanze di un certo spessore che potrebbero incidere sui diritti fondamentali di un individuo e le sue legittime aspirazioni di vita, hanno determinato il Tribunale a riconoscere fondata la domanda risarcitoria della moglie per la mancata informazione circa circostanze pre-matrimoniali che, se rese note, avrebbero consentito alla donna di autodeterminarsi consapevolmente nelle future scelte di vita. La separazione e il divorzio costituiscono strumenti accordati dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo, senza che questi esauriscano la tutela del coniuge a fronte di comportamenti illeciti del partner. Il comportamento del coniuge, che costituisce causa della separazione o del divorzio, può integrare nel contempo gli estremi di un illecito civile ed essere fonte di responsabilità aquiliana. Infatti, la natura, la funzione e i limiti degli istituti previsti dal diritto di famiglia rendono evidente che gli stessi non sono strutturalmente incompatibili con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti e questi ultimi non possono ricevere una tutela diversa o addirittura inferiore a causa del particolare contesto e/o formazione sociale, ovvero familiare, in cui sviluppano o vengono violati. In definitiva, quindi, gli istituti del diritto di famiglia non esauriscono la possibilità di tutela dei diritti violati nel contesto domestico, potendo la parte lesa, anche in tale caso, utilizzare, non solo gli istituti tipici della separazione o del divorzio, ma anche, qualora vi sia una grave violazione della sfera della sua personalità, tutte le tipiche tutele civili riconosciute all’individuo in quanto tale e chiedere all’uopo un risarcimento del danno non patrimoniale subito.

Tribunale di Latina, sez. II Civile, sentenza 22 febbraio 2012 Giudice istruttore dott.ssa Rosaria Giordano Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, M.P.D.P.conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale G.D.C. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per l’omessa informazione da parte del convenuto, prima e nel corso del matrimonio tra esse parti, circa una diagnosi di gravissima infertilità già effettuata prima delle nozze, condotta da ritenersi illecita ed idonea a concretare la lesione di diritti fondamentali della persona umana, ai fini della risarcibilità del danno, ai sensi degli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. Con comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata si costituiva in giudizio G.D.C. contestando il contenuto dell'atto introduttivo e chiedendo l'integrale rigetto delle domande dell’attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto ed assolutamente destituite di fondamento probatorio il convenuto proponeva altresì domanda riconvenzionale nei confronti della D.P. onde ottenere il risarcimento del danno esistenziale subito a causa della violazione del dovere di mutua assistenza e solidarietà coniugale da parte dell’attrice, anche in ragione delle numerose azioni instaurate nei suoi confronti successivamente alla separazione. La causa veniva istruita mediante acquisizione di documenti e prova orale quindi, all’udienza del 15.11.2011, la causa stessa, sulle conclusioni precisate dalle parti, veniva trattenuta in decisione, previa concessione alle parti di termini ordinari ai sensi dell’art. 190, primo co., c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. L’eccezione preliminare di prescrizione sollevata da parte convenuta è infondata e deve essere disattesa. Invero, a fronte della deduzione di M.P.D.P.in ordine al rinvenimento del certificato medico, antecedente la celebrazione del matrimonio con G.D.C. - documento sulla non previa conoscenza del quale da parte della moglie si fonda, in sostanza, la presente azione risarcitoria – soltanto nella data del 21 aprile 2003, data posta quale dies a quo per la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione per la proposizione della domanda di risarcimento dei danni per cui è processo, deduzione confermata dalla teste Malandruccolo e corroborata dal deposito soltanto successivo del documento in questione nel corso del giudizio volto all’accertamento della nullità del matrimonio dinanzi alla giurisdizione ecclesiastica, alcuna prova è stata fornita dal convenuto circa un’eventuale diversa decorrenza del termine in questione, i.e. in ordine alla conoscenza da parte della D.P. dell’esistenza del certificato in un momento antecedente a quello indicato. A riguardo, infatti, non è superluo ricordare che, secondo l’insegnamento della S.C., in tema di prescrizione nell’individuazione del dies a quo entra in gioco l’ordinario regime della prova, nel senso che compete a chi eccepisce la prescrizione l’onere di provare il momento in cui chi agisce abbia assunto l’adeguata e ragionevole percezione del danno subito e della sua ingiustizia cfr. Cass. 2 febbraio 2007 n. 2305 . In particolare, infatti, la dimostrazione della differente decorrenza del termine di prescrizione non potrebbe, in primo luogo, essere fondata sulle dichiarazioni della teste Williamson, madre del convenuto, la quale si è limitata a dichiarare che il figlio aveva cercato il certificato in questione rilasciato dal dottor D.E anche prima della separazione, nell’anno 1994, senza che ciò possa peraltro far ritenere ex se che la moglie fosse a conoscenza di tale ricerca. Né, sotto un distinto profilo, è stata dimostrata in alcun modo la circostanza, dedotta nelle memorie di replica, per la quale l’esistenza del certificato era stata resa nota alla D.P. nel medesimo periodo nel quale i coniugi stavano svolgendo accertamenti medici in Svizzera nel tentativo di avere un figlio. Nel merito, la domanda risarcitoria formulata da M.P.D.P.nei confronti del convenuto è fondata e deve essere accolta per le ragioni ed entro i limiti di seguito indicati. Su un piano generale, non è superfluo ricordare, a riguardo, che, in accordo con la più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità, idoveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti danni cfr. Cass. 15 settembre 2011 n. 18853 . Inoltre, non può trascurarsi che in una fattispecie, distinta da quella in discussione in questa sede, afferendo alla fattispecie dell’ impotentia coeundi, fattispecie peraltro assolutamente analoga quanto ai principi applicabili per l’accertamento della sussistenza della responsabilità, la stessa S.C. ha evidenziato che la separazione ed il divorzio costituiscono strumenti accordati dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo, precisando che, nondimeno, il comportamento di un coniuge che costituisca causa della separazione o del divorzio non esclude che esso possa integrare gli estremi di un illecito civile, atteso che la natura, la funzione e i limiti degli istituti previsti dal diritto di famiglia rendono evidente che essi non sono strutturalmente incompatibili con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti,non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire, ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale, la concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di responsabilità aquiliana. Nell’affermare tale generale principio la S.C. ha opportunamente precisato, al contempo, che non possono venire in rilievo ai fini dell’azione risarcitoria nell’ambito delle relazioni familiari comportamenti di minima efficacia lesiva, suscettibili di trovare composizione all’interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza,ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona. Fondamentale è, inoltre, evidenziare – essendo anche sotto tale profilo analoga la fattispecie in esame - che nella stessa decisione la Corte di Cassazione ha sottolineato che l’intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, che si sostanzia anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente le proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto cfr. Cass. 10 maggio 2005 n. 9801, la quale ha ritenuto che, di conseguenza, l'avere sottaciuto al partner, prima del matrimonio, la propria impotentia coeundi costituisce un fatto illecito, astrattamente fonte di danno tanto patrimoniale che non patrimoniale, ove possa ritenersi che l'altro coniuge avrebbe evitato il matrimonio, qualora avesse conosciuto la realtà . Orbene, ciò posto, nel caso concreto qui in esame, lo stesso convenuto G.D.C. ha dichiarato in sede di interrogatorio formale, con la relativa valenza confessoria di detto fatto a sé sfavorevole, di non aver parlato alla futura moglie M.P.D.P.degli esiti dell’esame di cui al certificato a firma del dottor D.E. del 23 novembre 1987, data antecedente di qualche settimana quella del matrimonio tra le parti, certificato con diagnosi di oligoastenospermia grave”. Il convenuto ha, in particolare, giustificato tale condotta assumendo di essere stato rassicurato dal medico circa la non definitività degli esiti dell’esame attesa l’opportunità evidenziata dallo stesso medico di effettuare ulteriori accertamenti al momento dell’eventuale decisione dei coniugi di procreare. Peraltro, se sotto tale profilo, le dichiarazioni del D.C. possono far ritenere escluso, almeno inizialmente, un vero e proprio dolo omissivo, è pur vero che, ai fini della sussistenza della responsabilità aquiliana invocata in questa sede, è sufficiente anche la mera colpa grave, stato soggettivo che deve per converso ritenersi senza dubbio esistente in capo al convenuto il quale, pur avendo, con ogni evidenza proprio in ragione della prossimità di tale evento volto alla costituzione di una famiglia, effettuato un delicato esame presso un centro di sterilità nelle settimane immediatamente precedenti le nozze con l’attrice non abbia poi parlato con la stessa dei relativi esiti che, comunque, non potevano ritenersi – al di là dell’ordinaria opportunità di accertamenti più approfonditi proprio, tuttavia, per la gravità della diagnosi – rassicuranti in ordine alla possibilità di procreare, in tal guisa minando il diritto della D.P. al compimento di scelte consapevoli sul proprio futuro, nell’esercizio del proprio diritto di autodeterminazione costituzionalmente tutelato ex art. 2 Cost. Peraltro, a riguardo, appaiono fondamentali anche le dichiarazioni rese dal teste D.E il quale, pur non ricordando specificamente il colloquio avuto con il D.C., nel ritenere conforme alla prassi la deduzione di quest’ultimo circa l’evidenziata necessità da parte di esso teste quale medico al paziente di ulteriori accertamenti, ha al contempo dichiarato che in situazioni gravissime come quella accertata nel convenuto – situazioni, invero, al limite della sterilità assoluta come affermato dallo stesso D.E nel corso dell’istruttoria orale espletata nel corso del presente giudizio –è prassi raccomandare al paziente di informare della patologia diagnosticata la propria moglie o compagna. In effetti, la condotta illecita posta in essere dal convenuto non è sicuramente costituita da tale patologia che, anzi, nel corso del matrimonio, l’attrice ha via via accettato sino a scegliere di rimanere accanto al coniuge cercando di avere un bambino con la fecondazione in vitro, prima, e con quella eterologa poi in conformità alla legge francese , quanto dall’aver taciuto all’attrice, mediante un comportamento integrante almeno colpa grave, attesa l’importanza dell’informazione in questione ai fini della scelta di costituire una nuova famiglia con la celebrazione del matrimonio, gli esiti dell’esame effettuato qualche settimana prima delle nozze, finendo con l’impedire alla D.P. di modulare consapevolmente le proprie scelte future, sia sul piano personale che su quello lavorativo considerato che la normale esigenza di coabitazione tra i coniugi ha indotto l’attrice a lasciare la propria iniziale occupazione ed a trasferirsi all’estero accanto al marito . In ordine al quantum del danno risarcibile a parte attrice in ragione della descritta condotta illecita dell’ex coniuge, occorre evidenziare, su un piano generale, che la relativa determinazione non può che essere effettuata secondo parametri equitativi. A riguardo, peraltro, la valutazione del danno subito dalla D.P. può essere compiuta tenendo conto dei seguenti elementi, che si traggono dalla documentazione in atti e che sono stati confermati nel corso dell’istruttoria orale espletata l’attrice ha modificato completamente i propri progetti di vita, anche sul piano professionale, come già evidenziato, per seguire il marito il quale aveva ottenuto un impiego all’estero dopo pochi anni dall’inizio del matrimonio, nel 1991 circa, la coppia ha cercato di avere un figlio e si è sottoposta ad una serie di accertamenti e, quindi, in particolare l’attrice, di cure sino alla fine dell’anno 1996, quando è intervenuta la separazione, senza che il D.C. riferisse alla moglie di essere già a conoscenza almeno di una propria patologia nel procreare il passare degli anni nella descritta situazione, l’intervenuta separazione ed il trascorrere di altri anni per il consolidarsi di una nuova relazione, hanno in sostanza impedito all’attrice in via definitiva di diventare madre in un’età diversa da quella in cui può ritenersi dimostrato secondo una nozione di comune esperienza che non insorgano problemi per la donna ed il nascituro. In considerazione degli elementi richiamati e del forte desiderio di M.P.D.P.di diventare madre, almeno dopo qualche anno dall’inizio del rapporto coniugale, desiderio confermato concordemente dai testi di parte attrice escussi nel presente giudizio e reso peraltro evidente dalle cure invasive cui l’attrice si è sottoposta nel corso del matrimonio, il danno subito dalla stessa deve quantificarsi in via equitativa, tenendo conto anche della giurisprudenza in tema di responsabilità medica per interventi errati che abbiano eliminato o ridotto la fertilità del danneggiato, nella somma di € 150.000,00. Pertanto G.D.C. deve essere condannato al pagamento in favore di M.P.D.P.della somma di € 150.000,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Non può per converso trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno proposta da G.D.C. nei confronti di M.P.D.P.in quanto i dedotti pregiudizi sul piano esistenziale correlati alle azioni – di separazione con addebito, di annullamento del matrimonio concordario e di risarcimento del danno – intentate dall’attrice verso lo stesso non sono derivate dalla mancata assistenza materiale e morale della moglie nei confronti del marito a fronte della impotentia generandi dello stesso bensì, soprattutto, dalla scoperta che il coniuge aveva già prima del matrimonio se non piena consapevolezza almeno un ragionevole dubbio, suffragato da un esame medico autonomaente effettuato dallo stesso, circa la propria capacità di procreare. Né, sotto un distinto profilo, può considerarsi condotta assunta in violazione dei doveri coniugali ex art. 143 c.c. la scelta dell’attrice, poco prima dell’intervenuta separazione, di accettare in Italia un incarico annuale di insegnamento in quanto finalizzata – come, peraltro, quella sin dall’inizio compiuta dal marito con il trasferimento a Ginevra che aveva impedito per i primi anni del matrimonio una vera e propria convivenza coniugale – ad una stabilizzazione della propria situazione lavorativa, da intendersi anche in funzione dell’interesse superiore della famiglia. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo avendo riguardo, nella determinazione ex art. 2233 c.c., in mancanza di usi, alle abrogate tariffe forensi e tenuto conto, peraltro, del decisum . P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa e reietta, così provvede condanna G.D.C. al pagamento in favore di M.P.D.P.della somma di € 150.000,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo rigetta la domanda riconvenzionale proposta da G.D.C. condanna parte convenuta a rimborsare a parte attrice le spese sostenute per il presente giudizio che liquida in € 1.300,00 per esborsi, € 2.700,00 per diritti ed € 4.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.