Madre giovanissima e immatura, rapporto instabile col figlio. Non basta per l’adottabilità

Chiarezza sulle priorità in primo luogo, la valutazione dello stato di abbandono del minore. Questo fondamentale passaggio non può essere sostituito con le carenze caratteriali della donna, legate all’età.

Madre immatura, con personalità instabile e con comportamento altalenante nei confronti della prole. Eppure, questi elementi non possono essere sufficienti a sostenere l’adottabilità del figlio. Altrimenti si commette l’errore – sottolinea la Cassazione, nell’ordinanza numero 330, sesta sezione civile, depositata oggi – di sostituire la valutazione della figura materna alla delicata presa in esame del potenziale stato di abbandono del minore. Adottabilità? È una situazione familiare difficile, quella affrontata nella vicenda ora all’esame dei giudici della Cassazione da un lato, una madre giovanissima, e, dall’altro, un bambino – riconosciuto solo dalla madre –, bisognoso, come tutti i bambini, di cure e di attenzioni per uno sviluppo psico-fisico adeguato. Però proprio la giovanissima età della donna rappresenta, a causa della sua immaturità, della sua personalità ancora da definire e dei suoi comportamenti, un grosso punto interrogativo. Conseguenze? L’adottabilità del bambino, decisa dal Tribunale per i minorenni. A ribaltare la situazione, però, è la Corte d’Appello, che attesta l’insussistenza dell’abbandono del minore. Confusione? Come si spiega la pronuncia in Appello, contestata dal Procuratore Generale con ricorso ad hoc in Cassazione? Secondo i giudici, il Tribunale ha errato concentrando la propria analisi sulla personalità della madre e rischiando, così, di sostituire alla valutazione rigorosa dello stato di abbandono quella relativa alla personalità della giovane madre . Seguendo questo binario, secondo i giudici d’Appello, si arriva alla insostenibile equazione tra l’immaturità, anche incolpevole, del genitore e l’abbandono del figlio da parte del medesimo . Piuttosto, la visione alternativa proposta è quella di una relazione genitoriale tra la madre e il minore sì complessa e instabile e certamente bisognosa di sostegno , ma che non integra lo stato di abbandono e che, invece, richiede un intervento un’ opera di promozione e di sostegno della madre , per favorirne autonomia e maturazione anche nel rapporto col figlio. Madre-figlio salvi. Di tutt’altro avviso, invece, è il Procuratore Generale, che, nel ricorso in Cassazione, propone una lettura completamente diversa dei fatti, ovvero del ruolo e delle carenze della madre, e, di conseguenza, dei bisogni del figlio. Per i giudici della Cassazione, però, l’ottica corretta è quella dei giudici d’Appello. Se la decisione delicata è quella di attestare l’adottabilità del minore, come in questo caso, allora non ci si può limitare a valutare la personalità della madre, e a trarne conseguenze estreme. Snodo fondamentale, quindi, resta la ‘fotografia’ dello stato di abbandono questo l’elemento indispensabile – non evidenziato in questa vicenda, che si conclude col rigetto del ricorso del Procuratore Generale – per giungere all’adottabilità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 24 novembre 2011 – 12 gennaio 2012, n. 330 Presidente Luccioli – Relatore Schirò Fatto e diritto A rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori della controricorrente < < Il relatore, cons. Stefano Schirò, esaminati gli atti, OSSERVA 1. Il Tribunale per i Minorenni dì Roma, con sentenza 16 gennaio 2009, ha dichiarato lo stato di adottabilità del minore A.M., nato a Roma il 10 febbraio 2006, riconosciuto dalla sola madre, A. H La Corte di appello di Roma, con sentenza 16 giugno 2010,. ha accolto l'appello proposto da A. H., dichiarando l'insussistenza dello stato di abbandono del minore, revocando la sospensione della potestà della madre e la nomina del tutore provvisorio, nonché l'affidamento del minore al servizio sociale e la sua collocazione in casa famiglia. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, a cui resiste con controricorso A. H Le altre parti intimate non hanno svolto difese. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per essere rigettato per manifesta in fondatezza. 3. A fondamento della propria decisione la Corte di appello ha ritenuto che il primo giudice ha concentrato la propria analisi sulla personalità della A., rischiando così di sostituire alla valutazione rigorosa dello stato di abbandono del piccolo M. quella - non determinante ai fini della dichiarazione di adottabilità - relativa alla prognosi negativamente apprezzata di evoluzione della personalità della giovane madre, sul postulato dell'insostenibile equazione tra l'immaturità anche incolpevole del genitore e l'abbandono del figlio da parte del medesimo. La Corte di merito, inoltre, escluse condizioni psicopatologiche della madre, ha posto in evidenza che la relazione genitoriale tra la madre e il minore, complessa c instabile e certamente bisognosa di sostegno e accompagnamento, non integra lo stato di abbandono, come ritenuto dagli stessi operatori qualificati che si sono occupati del caso, inclusi il pubblico ministero in primo grado e il curatore del minore, tutti favorevoli all'esclusione dello stato di adattabilità e alla continuazione, invece, dell'opera di promozione e di sostegno della madre anche con un eventuale affidamento etero familiare. La corte territoriale ha altresì rilevato che, se nel passato si è riscontrata una condotta materna altalenante tra eccessiva dedizione al figlioletto e arbitraria delega della funzione genitoriale per la necessità anche della giovanissima madre di crescere e maturare, restando comunque ingiustificata l equazione tra la riscontrata discontinuità di cura genitoriale e il più grave stato di abbandono del minore, il tempo successivo alla sentenza di primo grado ha rafforzata l'erroneità della diagnosi di irrecuperabile identità materna da parte della A. formulata dal primo giudice, come confermato dalla consulenza tecnica espletata in secondo grado, che ha riscontrato che il processo di autonomia e di maturazione della A. sta procedendo con esiti positivi, grazie non soltanto all'impegno suo e del compagno di vita, ma anche al lungo e faticoso lavoro di assistenti sociali, neuropsichiatri, educatori e responsabili della comunità di accoglienza, i quali hanno dato un fondamentale sostegno alla diade madre-figlio, consentendo al minore di assorbire senza eccessivo disagio le intemperanze comportamentali della madre, certamente turbolenta anche per il suo difficilissimo passato e a volte delegante, ma mai abbandonica verso il proprio figlio, che infatti, come osservato dagli operatori specializzati che lo hanno seguito, è un bambino sereno, sorridente, senza alcun problema psico-fisico ed evolutivo, profondamente legato alla madre come la stessa a lui. 4. Con l'unico motivo di ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, critica la decisione impugnata, senza però censurare il nucleo centrale e portante di tale decisione fondato sulle considerazioni che precedono, ma frammentando e isolando dal contesto complessivo della motivazione singoli passaggi argomentativi e concentrando la critica su aspetti marginali o comunque non decisivi del percorso motivazionale, riuscendo in tal modo, più che a evidenziare vizi di motivazione su punti decisivi, a prospettare una diversa valutazione delle risultanze di causa e a sostituire all'appezzamento dei fatti compiuto dalla corte di appello un differente apprezzamento, ritenuto preferibile, di circostanze differenti da quelle prese in considerazione dal giudice di secondo grado, secondo un percorso logico-giuridico non consentito nel giudizio di legittimità. Alla stregua di quanto osservato al precedente punto 3., la decisione impugnata si fonda su di una motivazione esauriente ed immune da vizi logici, che si sottrae alle censure, in parte inammissibili e in parte infondate, dell'ufficio ricorrente> > B osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti ritenuto che, alla stregua delle argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che tuttavia nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, in quanto, con riguardo ai procedimenti in cui è parte, l'ufficio del P.M. non può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell'ipotesi di soccombenza, trattandosi di un organo propulsore dell'attività giurisdizionale, che ha la funzione di. garantire la corretta applicazione della legge, con poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti, esercitati per dovere di ufficio e nell'interesse pubblico Cass. 2010/824 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del d. lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.