Colf e portantina, per giunta part-time. All'ex moglie impossibile chiedere di svolgere altri lavori: le va riconosciuto l'assegno

Confermato l'assegno divorzile pesano non solo le differenti disponibilità economiche ma anche l'oggettiva difficoltà della donna a impegnarsi in ulteriori attività per aumentare i propri redditi.

Casalinga durante il matrimonio, poi collaboratrice domestica e 'portantina' dopo il divorzio. Tutto ciò per garantire a sé e alla figlia una condizione di vita dignitosa. Ma esiste un limite anche alle umane possibilità di trovare lavoro, e questo limite può avere un peso - come in questa vicenda, affrontata dalla Cassazione con la sentenza numero 21650, prima sezione civile, depositata ieri - per il riconoscimento 'contestato' dell'assegno a carico dell'ex marito. Matrimonio, divorzio e assegni. Sette anni di vita insieme, un capitolo che si chiude in maniera definitiva. E con qualche strascico Difatti, lo scioglimento del matrimonio civile, accettato dalla coppia, continua a creare motivi di scontro in ballo ci sono l'assegno di mantenimento per la figlia affidata alla madre e l'assegno divorzile, entrambi a carico dell'uomo. Per il Tribunale, però, legittimo solo il riconoscimento per la figlia, considerata non ancora autosufficiente economicamente , nonostante un'attività lavorativa. A cambiare le carte in tavola, invece, la Corte d'Appello, che obbliga l'uomo a corrispondere 250 euro mensili alla ex moglie e 200 euro mensili alla figlia. Tenore di vita La battaglia si trascina fino in Cassazione. A presentare ricorso è l'ex marito, che contesta innanzitutto il riconoscimento dell'assegno divorzile, legato alla valutazione del tenore di vita della coppia e alle differenti possibilità economiche degli ex coniugi. Sul primo punto, i giudici della Cassazione ricordano che in mancanza di prova specifica sul tenore di vita, può sopperire l'ammontare complessivo delle disponibilità economiche dei coniugi , fornendo quindi una presunzione sul tenore di vita pregresso . Sul secondo punto, centrale, vengono confrontate le condizioni economiche dell'uomo e della donna il primo vanta un reddito sui 25mila euro annui e la proprietà di un immobile non utilizzato come abitazione e quindi potenzialmente da dare in affitto la seconda, invece, riesce a mettere insieme solo 14mila euro all'anno, e deve far fronte anche al pagamento di un canone di locazione, senza dimenticare l'aver con sé la figlia. e possibilità di lavoro. Evidente la posizione subalterna della donna, chiarita dai giudici anche con una considerazione sul fatto che ella si è adattata allo svolgimento di umili attività collaboratrice domestica, 'portantina' , per giunta part-time. Più di tanto, però, non le si può chiedere a questo proposito, i giudici riconoscono, difatti, l'impossibilità , per la donna, di procurarsi ulteriori mezzi, per ragioni oggettive . Per questo motivo, il riconoscimento dell'assegno divorzile, a carico dell'ex marito, così come stabilito in Appello, deve essere confermato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1° luglio 19 ottobre 2011, n. 21650 Presidente Luccioli Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 22/1/2004, P.S. chiedeva al Tribunale di Roma pronunciarsi lo scioglimento del matrimonio civile nei confronti della moglie G.M., escludendosi ogni assegno a favore di quest'ultima e della figlia maggiorenne. Costituitosi il contraddittorio, la G. chiedeva disporsi assegno di mantenimento di € 300 mensili per la figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente economicamente, e assegno per sé per l'importo di € 400 mensili. Con sentenza non definitiva del 5/7/2004, il Tribunale di Roma dichiarava lo scioglimento del matrimonio tra le parti. Con sentenza definitiva del 22/7/2005, il predetto Tribunale rigettava la domanda di assegno divorzile, condannando peraltro il P. alla corresponsione di assegno di € 400 mensili per la figlia, maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente. Con ricorso depositato in data 19/11/2005, la G. interponeva appello avverso la predetta sentenza, chiedendo per sé l'assegno divorzile. Costituitosi il contraddittorio, il P. chiedeva rigettarsi l'appello e, in via incidentale, escludersi l'assegno per la figlia, ritenuta autosufficiente economicamente. La corte d'Appello di Roma, con sentenza 14/6-3/11/2007, condannava il P. a corrispondere alla G. assegno mensile divorzile di € 250 e la somma di € 200 mensili per il mantenimento della figlia. Ricorre per cassazione il P., sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la G. Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 5 l 858 del 1970, non sussistendo i presupposti dell'assegno divorzile. Il motivo va rigettato, in quanto infondato. La sentenza impugnata ha considerato i presupposti dell'assegno l'inadeguatezza dei mezzi della G. a conservare il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Giurisprudenza costante di questa Corte tra le altre, da ultimo Cass n. 18433 del 2010 chiarisce che in mancanza di prova specifica sul tenore di vita , può sopperire l'ammontare complessivo delle disponibilità economiche dei coniugi, che fornisce una presunzione sul tenore di vita pregresso. Rileva comunque il successivo miglioramento del reddito dell'onerato, quando esso costituisca uno sviluppo naturale e prevedibile della sua situazione reddituale tra le altre Cass n. 4758 del 2010 . Il giudice a quo esamina le condizioni economiche delle parti il P. impiegato presso la Confartigianato di Treviso, con un reddito netto di circa € 25.000 annui, è proprietario di immobile, non adibito a sua abitazione, e dunque suscettibile di produrre reddito da locazione, la G., casalinga durante la convivenza matrimoniale, dopo la separazione collaboratrice domestica e successivamente operatrice sanitaria, con un reddito di circa € 14.000, sostiene un rilevante esborso mensile per la casa in locazione. Dal contesto motivazionale della sentenza impugnata la G. dapprima casalinga, poi adattata allo svolgimento di umili attività collaboratrice domestica, portantina , ancorchè part time emerge l'impossibilità per l'odierna resistente di procurarsi ulteriori mezzi per ragioni obiettive. E' appena il caso di precisare che la convivenza matrimoniale, durata pacificamente sette anni, potrebbe incidere sul quantum, ma certo non sul diritto all'assegno. Il giudice a quo peraltro valorizza e la valutazione è insuscettibile di controllo in questa sede, in quanto sorretta da adeguata motivazione e non illogica il prevalente impegno assunto dalla G. nella cura della figlia, a lei affidata in via esclusiva e ancora con lei convivente. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, relativamente all'attività lavorativa svolta dalla figlia. Il motivo va dichiarato inammissibile, per assenza della sintesi, omologa al quesito di diritto, in relazione a vizio di motivazione al riguardo, tra le altre Cass 2694 del 2008 di cui all'art. 366 bis c.p.c., abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi. Conclusivamente, va rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1500 per onorari ed € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità e dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.