Persecuzioni contro gli omessuali in patria: protezione possibile per lo straniero approdato in Italia

Riprende vigore la richiesta presentata da un cittadino nigeriano. Da non trascurare, secondo i Giudici, la possibile persecuzione in patria per il rapporto di lavoro con un uomo omosessuale e accusato di stupro.

Protezione possibile in Italia per lo straniero che è scappato dal proprio Paese per timore di essere perseguitato a causa del legame professionale – come autista – col suo datore di lavoro , risultato essere omosessuale e finito sotto accusa per stupro. Secondo i Giudici, difatti, non va esclusa a priori l’ipotesi di una persecuzione in patria anche per lo straniero, pur avendo spiegato di non essere omosessuale Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 9595/21, depositata il 12 aprile . Riflettori puntati sulla vicenda di un cittadino nigeriano , che, appena approdato in Italia, presenta domanda di protezione internazionale e spiega di essere fuggito dal suo Paese per il timore di essere imprigionato per essere stato l’autista di un uomo, omosessuale, ricercato dalla polizia quale responsabile di uno stupro e di temere di non ricevere un processo equo a fronte dell’ingiusta accusa . Il racconto fatto dall’uomo non convince né i membri della Commissione territoriale né i Giudici di merito. Ciò significa che gli viene negata ogni possibile forma di protezione. In particolare, in Appello si è affermato che non può ritenersi sussistere nei confronti dello straniero la persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza ad un determinato gruppo sociale . Ciò perché i fatti riguardano la sua vita privata, quand’anche considerati verosimili e comunque l’uomo stesso ha dichiarato di non essere omosessuale . Questa visione viene censurata dai Giudici della Cassazione, i quali ridanno speranza al cittadino nigeriano. Per i magistrati di terzo grado, difatti, il timore manifestato dallo straniero, cioè essere associato alle tendenze sessuali del datore di lavoro e perciò essere sospettato di essere anch’egli omosessuale e coinvolto nello stupro di cui era accusato il datore di lavoro , rappresenta un elemento non trascurabile, poiché consente di ipotizzare l’appartenenza dell’uomo a un determinato gruppo sociale – quello degli omosessuali – che può comportare la persecuzione in patria. Ciò significa che non può essere respinta a priori la richiesta di protezione presentata dal cittadino nigeriano, richiesta su cui dovranno nuovamente pronunciarsi i Giudici d’Appello, tenendo però presente l’osservazione messa nero su bianco dalla Cassazione, secondo cui ciò che rileva non è l’effettiva appartenenza al gruppo sociale, ma il fatto di essere perseguitato perché ritenuto appartenente ad esso .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 30 settembre 2020 – 12 aprile 2021, n. 9595 Presidente Cristiano – Relatore Casadonte Rilevato che - il processo trae origine dalla domanda di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della c.d. protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, proposta da G.S. , cittadino della - a sostegno della domanda egli ha allegato di essere fuggito dal suo paese per il timore di essere imprigionato con l’accusa di concorso in stupro per essere stato l’autista di un uomo, omosessuale, ricercato dalla polizia quale responsabile del fatto e perciò di temere di non ricevere un processo equo a fronte dell’ingiusta accusa - l’adito Tribunale di Roma ha respinto l’opposizione avverso diniego deciso dalla Commissione territoriale e la decisione è stata appellata dal ricorrente avanti la corte d’appello capitolina che ha confermato l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione - la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dal cittadino straniero con ricorso affidato a cinque motivi cui resiste con controricorso l’intimato Ministero dell’Interno. Considerato che - con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale omesso di pronunciare sullo specifico motivo di appello formulato con riferimento alla domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 - il motivo è fondato - infatti, posto che la fattispecie dell’omessa pronuncia ricorre allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto cfr. Cass. 4972/2003 id. 407/2006 , nel caso di specie la corte territoriale pur dando atto all’inizio di pag. 3 della domanda proposta dall’appellante di riconoscimento della protezione umanitaria, nessuna statuizione ha adottato sulla stessa - con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 e art. 8, comma 2, nonché la nullità della sentenza, per omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria là dove la corte d’appello ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato affermando che non può ritenersi sussistere nei confronti del richiedente asilo la persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale e per le opinioni politiche, dovendosi ritenere i fatti per i quali egli sostiene di essere fuggito dalla attinenti alla sua vita privata, quand’anche considerati verosimili la corte d’appello, evidenzia altresì il ricorrente, ha escluso il di lui diritto alla protezione rilevando che egli stesso ha dichiarato di non essere omosessuale - la censura è fondata - l’allegato timore di essere associato alle tendenze sessuali del datore di lavoro e perciò di essere sospettato di essere anch’egli omosessuale e coinvolto nello stupro di cui era accusato il medesimo datore di lavoro, costituiscono, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, fattori di individuazione integranti la fattispecie del particolare gruppo sociale la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d , configura una ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento della status di rifugiato cfr. Cass. 2875/2016 27437/2016 7438/2020 - l’allegata condizione comporta, pertanto, che non possa essere esclusa a priori la sussistenza della persecuzione per ritenuta appartenenza ad un particolare gruppo sociale, dovendo il giudice del merito procedere ad accertare la concreta ravvisabilità dello status domandato in definitiva, come già da questa Corte rilevato cfr. Cass. 2875/2018 ciò che rileva non è l’effettiva appartenenza al gruppo, ma il fatto di essere perseguitato perché ritenuto ad esso appartenente - con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b nonché la nullità della sentenza per omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, contestando l’erroneità del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, là dove non era stata riconosciuta la sussistenza dei gravi danni derivanti da tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente - con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, l’omesso esercizio de dovere di cooperazione istruttoria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 2, comma 1-bis per non avere la corte d’appello proceduto alla verifica della effettività del sistema giudiziario omissis e della reale possibilità di rivolgersi alla polizia - con il quinto motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c , nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e 27 con riguardo all’omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che le condizioni della , ed in particolare dell’area del omissis , non integrassero ipotesi di conflitto armato come delineato in premessa utile al riconoscimento della protezione sussidiaria nella forma prevista dall’art. 14 cit. - l’accoglimento del primo e del secondo motivo, in particolare, è assorbente rispetto all’esame del terzo, quarto e quinto mezzo, involgenti forme di protezione minore rispetto allo status di rifugiato - la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alle Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinché riesamini la domanda del ricorrente alla luce dei principi di diritto sopra enunciati e provveda altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie primo e secondo motivi, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.