Riconoscimento della protezione umanitaria: il giudice non può limitarsi a valutazioni generiche

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire.

In accoglimento del ricorso proposto dallo straniero avverso il decreto con cui il Tribunale aveva respinto la sua domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria , nonché la richiesta del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25536/20, ha affermato nuovi principi di diritto . In particolare, la S.C. ha anzitutto chiarito che, in tema di protezione umanitaria, l’ orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto della situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato . Inoltre, prosegue la Corte, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda , la valutazione delle condizioni socio-politiche del paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa , tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire . In tal senso, è chiaro che il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte , in quanto la pronuncia emessa incorrerebbe inevitabilmente nel vizio di violazione di legge. Fondamentale è, dunque, il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate , attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta , quale dovere del giudice che potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dall’art. 3, comma 5, d.lgs. n. 251/2007 e dall’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 15 luglio – 12 novembre 2020, n. 25536 Presidente Frasca – Relatore Di Florio Rilevato che 1. J.O. , proveniente dal , ricorre affidandosi ad un unico motivo per la cassazione del decreto del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda da lui proposta per ottenere il riconoscimento dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria nonché, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in ragione del rigetto della relativa istanza avanzata, in via amministrativa, dinanzi alla competente Commissione Territoriale. 1.1. Per ciò che interessa in questa sede - in cui la censura è stata proposta esclusivamente con riferimento al rigetto della protezione umanitaria, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito in quanto lo zio - che, alla morte del padre, aveva sposato la madre e che era un soggetto violento, più volte detenuto e scarcerato per problemi di salute mentale - lo aveva selvaggiamente picchiato inducendolo alla fuga dal proprio paese, in quanto la polizia, alla quale aveva denunciato i fatti, non era intervenuta. 2. Ha aggiunto di essere arrivato in Italia dopo essere transitato per la Libia. 3. Il Ministero dell’Interno intimato non si è difeso. Considerato Che 1. Con unico motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Assume, al riguardo, che il Tribunale, nel respingere la domanda di protezione umanitaria, si era limitato ad escludere che ricorressero le ipotesi previste dall’art. 19 TUI - riguardanti i presupposti preclusivi dell’espulsione - omettendo del tutto di applicare i principi ormai consolidati affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di protezione umanitaria deduce, in sostanza, che il Tribunale aveva del tutto omesso di affrontare l’esame comparativo fra la sua condizione di vulnerabilità - derivante anche dal fatto che egli era sbarcato in Italia, dopo un doloroso transito in Libia caratterizzato da carcerazione e torture ancora minorenne -, il livello di integrazione raggiunto ed il rischio di subire un grave pregiudizio per la tutela dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio. 1.1. Più specificamente, con la censura in esame si lamenta che a il Tribunale aveva affermato erroneamente che le ipotesi che consentono di riconoscere la protezione umanitaria sono riconducibili all’art. 19 TUI che costituisce la base normativa principale per l’individuazione degli ulteriori impegni di protezione dei richiedenti asilo in Italia oltre alle due forme di c.d. protezione maggiore e che doveva comunque escludersi che, in caso di rientro in Gambia, sussistesse il rischio di esposizione a trattamenti lesivi dei diritti fondamentali cfr. pag. 3 penultimo cpv. e pag. 4 primo cpv. , senza tuttavia svolgere alcun accertamento al riguardo, attraverso l’acquisizione di fonti informative aggiornate b non erano stati affatto esaminati nè i profili di integrazione dedotti, puntualmente indicati nel ricorso tirocini, lavoro da pizzaiolo cfr. pag. 4, quarto cpv. con la specificazione che erano stati prodotti in primo grado i documenti che ne fornivano prova rinvenibili anche nel fascicolo d’ufficio del presente giudizio di legittimità nè la vulnerabilità allegata e desumibile dal racconto narrato dinanzi alla C.T., che includeva il trattamento disumano subito durante il suo transito in Libia cfr. pag. 6 del ricorso il cui verbale è stato prodotto anche in questa sede cfr. All. 2 . 1.2. Il motivo è fondato. Il Tribunale, infatti, nell’esaminare la domanda di protezione umanitaria, si è limitato a richiamare le ipotesi previste dall’art. 19 TUI, in materia di divieto di espulsione e di categorie vulnerabili, affermando che la vicenda narrata dal ricorrente non rientrava nei casi elencati la statuizione risulta, in relazione a ciò, riduttiva ed erronea in quanto la norma che riguarda il divieto di espulsione ha dato concretezza al principio di non refoulemont predicato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dall’art. 4 del Prot. addizionale CEDU, ma non vale a restringere la previsione di una norma a compasso largo come l’art. 5, comma 6 TUI, in relazione alla quale può essere riconosciuto il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie per ipotesi individualizzate ma non circoscrivibili a casi tassativi e vale solo la pena di rilevare che anche l’art. 19 TUI è governato, comunque, dall’apertura del non respingimento predicato al comma 1, ed è stato interpretato, in relazione a fatti sopravvenuti o ignorati nel procedimento di protezione internazionale, imponendo anche al giudice di pace, competente a pronunciarsi nella fase espulsiva, il dovere di cooperazione istruttorio cfr. Cass. 4230/2013 Cass. 33166/2019 , con esclusione, pertanto, della possibilità di ridurre ad una casistica tassativa le vicende in cui lo Stato ospitante deve comunque farsi carico del dovere di protezione. 1.3. Il Tribunale, dunque, ha errato. Infatti, da una parte ha rigettato la domanda di protezione umanitaria, escludendo, in motivazione, che il ricorrente rientrasse nelle categorie di cui all’art. 19 TU Immigrazione per le quali è vietata l’espulsione ed ha affermato che non residuano spazi per la valutazione della ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria non essendo individuabili, in questo specifico caso, ulteriori obblighi internazionali assunti dall’Italia , con ciò contraddicendo i principi ormai consolidati affermati da questa Corte in punto di protezione umanitaria cfr. Cass. 4455/2018 Cass. SU 29459/2019 e, dall’altra, ha statuito apoditticamente che la mera integrazione del ricorrente non rappresentava elemento sufficiente per il riconoscimento del diritto invocato, dovendo necessariamente concorrere con la verifica del rischio specifico che il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo della dignità personale , rischio escluso per la situazione complessiva del paese di origine prima descritta cfr. pag. 4 secondo cpv. decreto impugnato in tal modo, risulta violato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nell’interpretazione ormai consolidata espressa da questa Corte cfr. Cass. 4455/2018 e Cass. S.U. 29456/2019 sopra richiamate Cass. 1104/2020 , secondo cui il giudizio di comparazione postula una circostanziata valutazione degli elementi allegati e delle relative prove a sostegno dell’integrazione del richiedente asilo fra cui, in primis, l’attività lavorativa svolta nonché un esame della sua vulnerabilità e del rischio che andrebbe a correre in caso di rimpatrio in relazione al livello di tutela dei diritti umani esistente nel paese di origine, desumibili dall’acquisizione delle C.O.I. fondate su fonti ufficiali attendibili ed aggiornate al momento della decisione. 1.4. Tale regola procedimentale è rimasta inosservata dal Tribunale che, da una parte, ha omesso del tutto di esaminare la documentazione prodotta a sostegno del livello di integrazione raggiunto cfr. doc. all. 3 fasc. primo grado versati in atti e, dall’altro, ha escluso il rischio di privazione dei diritti umani in modo del tutto generico e senza alcun riferimento a fonti ufficiali aggiornate, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5 applicabile anche alla fattispecie in esame , disattendendo in tal modo anche il dovere di cooperazione istruttoria. Il decreto, pertanto, deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione per il riesame, in parte qua, della controversia alla luce dei seguenti principi di diritto 1. secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire 2. il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge 3. il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 . 2. Il Tribunale dovrà altresì provvedere alla decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Roma, Sezione Specializzata Immigrazione, in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.