Protezione sussidiaria: su quali elementi deve essere condotta l’indagine del giudice?

In tema di protezione sussidiaria, all’allegazione del richiedente relativa alla situazione attuale in Italia ed a quella che conseguirebbe al rientro deve seguire un’indagine officiosa volta a verificare se, per via della complessiva condizione in cui verrebbe a trovarsi il ricorrente nel Paese di origine, egli possa andare incontro ad una compressione radicale dei diritti umani, tale da impedirgli la conduzione di una vita dignitosa.

Così si esprime la Suprema Corte con l’ordinanza n. 19017/20, depositata il 14 settembre. La Corte d’Appello di Torino rigettava la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da un cittadino straniero, a causa della rilevata non credibilità del racconto di quest’ultimo. Egli, pertanto, propone ricorso per cassazione, denunciando, tra i diversi motivi, il fatto che la Corte non abbia valutato la sussistenza di una situazione di vulnerabilità in cui lo stesso si trovava, non svolgendo alcuna indagine relativa alle condizioni del Paese d’origine sotto il profilo della mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa. La Suprema Corte accoglie la doglianza del ricorrente, osservando come il Giudice di merito, nonostante avesse rilevato la presenza di una situazione di compromissione dei fondamentali diritti umani a causa dell’instabilità politica del Paese di origine, non abbia svolto nessuna indagine d’ufficio al riguardo, limitandosi ad evidenziare che tutta l’Africa è in una condizione di estrema povertà . Inoltre, una tale indagine non è stata svolta nemmeno in relazione alla domanda di protezione sussidiaria . A tal proposito, i Giudici di legittimità affermano che l’accertamento richiesto per verificare la sussistenza della condizione di vulnerabilità conseguente alla valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto in Italia e la situazione esistente allo stato attuale nel Paese d’origine del richiedente circa la garanzia del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale non può svolgersi senza una verifica delle condizioni oggettive del Paese d’origine . Queste ultime, però, non possono limitarsi alla riscontrata presenza di una situazione di violenza indiscriminata interna, ma richiedono un’indagine rivolta alla comparazione e al grado di violazione dei diritti umani correlati al livello di integrazione che l’istante ha raggiunto in Italia. Proprio a tal fine, i Giudici affermano che all’allegazione della parte relativa alla situazione attuale in Italia ed a quella che conseguirebbe al rientro, deve seguire un’ indagine officiosa specificamente rivolta a verificare se, nel paese di origine, la situazione nella quale verrebbe a trovarsi il ricorrente, in relazione alla sua complessiva condizione soggettiva ed oggettiva [] sia idonea a determinare non un mero peggioramento della migliore condizione di vita goduta nel nostro paese, ma una compressione radicale dei diritti umani correlati al profilo del richiedente, che lo privi della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale . Essendo nel caso di specie mancata del tutto la suddetta indagine officiosa, la Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso, cassa e rinvia gli atti alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 24 gennaio – 14 settembre 2020, n. 19017 Presidente Cristiano – Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione 1. La Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta dal cittadino gambiano S.A. . Quest’ultimo ha dichiarato di aver lavorato come addetto al carico di containers di legnami esportati in Cina di aver utilizzato per il suo lavoro un computer, per mezzo del quale si collegava a Radio Freedom e consultava articoli del giornalista oppositore del regime del omissis di essere stato arrestato e costretto a lavorare forzatamente nel giardino del Presidente di essere scappato di aver raggiunto la Libia, di essere stato rapito e liberato dopo il pagamento di un riscatto da parte della madre di aver successivamente raggiunto l’Italia. 2. La Corte d’Appello ha in primo luogo rigettato la richiesta di audizione dell’appellante perché le dichiarazioni già rese dovevano ritenersi del tutto esaurienti. È stata dichiarata inammissibile la richiesta di escussione di una teste. Nel merito, la Corte ha confermato il giudizio di non credibilità, espresso dal Tribunale, in relazione alla genericità dei riferimenti a Radio Freedom al giornalista oppositore del regime ed alla contraddittorietà delle affermazioni dell’appellante che ha prima dichiarato di non svolgere attività politica e nello stesso tempo ha affermato di ascoltare in orario di lavoro trasmissioni radiofoniche di opposizione. Sono state pertanto escluse, a causa della rilevata non credibilità soggettiva, sia il rifugio politico che la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b . Quanto alla lett. c , è stato escluso che in Gambia vi sia una condizione di violenza generalizzata in quanto la vittoria alle elezioni presidenziali del leader dell’opposizione ha portato speranza per un miglioramento dei diritti umani e per lo Stato di diritto . fonte Human Rights Watch, 2017 . In ordine alla domanda di protezione umanitaria deve escludersi, secondo la Corte d’Appello, che sussistano gravi controindicazioni al rimpatrio dell’appellante a causa della situazione d’instabilità politica in Gambia. Non assume rilievo la condizione di estrema povertà del Gambi,, in quanto comune all’intero territorio africano e non tra le più preoccupanti. Irrilevante è stato ritenuto il percorso d’integrazione in quanto dovuto alle norme sull’accoglienza. 3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno. 4. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, dal momento che la Corte d’Appello ha ritenuto con credibili le dichiarazioni del ricorrente senza valutare le precisazioni ed integrazioni contenute nell’atto di appello e nel ricorso di primo grado ed in particolare le ragioni del mancato supporto documentale alle dichiarazioni stesse, nonostante il racconto fosse stato molto circostanziato. Sono stati, in conclusione, violati i criteri di valutazione della credibilità contenuti nell’art. 3. La censura è inammissibile sia perché non è centrata la ratio decidendi della valutazione di non credibilità, non fondata sulla carenza documentale ma sulla contraddittorietà ed inverosimiglianza intrinseca del racconto, sia perché mirante a sostituire al giudizio valutativo espresso insindacabilmente dalla Corte d’Appello, una lettura alternativa delle dichiarazioni rese. 5. Nel secondo notivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte d’Appello valutato la sussistenza di una situazione di vulnerabilità sulla base dei parametri comparativi indicati nella sentenza n. 4455 del 2018, ignorando per un verso la situazione d’integrazione sociale e non svolgendo alcun esame della condizione del paese sotto il profilo della mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza ove non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, qual quelle riguardanti il proprio sostentamento e il raggiungimento di standards minimi per il conseguimento di un livello di vita dignitoso. In particolare, con riferimento alla situazione generale del Gambia sotto il profilo della possibilità concreta per il ricorrente di condurre un’esistenza che non si ponga al disotto del nucleo imprescincibile del rispetto della dignità personale, viene sottolineato che nel provvedimento impugnato ci si limita ad affermare che l’estrema povertà affligge tutto il paese africano. 6. La censura è fondata. La Corte d’Appello, pur evidenziando che era stata dedotta ed allegata una situazione di compromissione dei più elementari diritti umani dovuta all’instabilità politica del paese d’origine del ricorrente, non ha svolto alcuna indagine officiosa al riguardo, limitandosi a rilevare che tutta l’Africa è in una condizione di estrema povertà. Nè tale approfondimento risulta svolto in relazione all’esame della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c . Con riferimento a quest’ultima, nel provvedimento impugnato si afferma soltanto che dopo le elezioni presidenziali che hanno portato alla Presidenza della repubblica, il leader dell’opposizione, può sperarsi per un migliorato rispetto dei diritti umani e per lo Stato di diritto . 6.1 Tuttavia l’accertamento richiesto al fine di verificare la sussistenza della condizione di vulnerabilità derivante dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto in Italia e la situazione riscontrabile all’attualità nel paese di origine in ordine alla garanzia quanto meno del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale Cass. 4455 del 2018 S.U. 29459 e 29460 del 2020 , non può essere svolto senza una verifica delle condizioni oggettive del predetto paese, non limitate però alla sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata interna requisito posto a base della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c ma rivolte specificamente all’indagine sulla comparazione da svolgere, ovvero sul grado di violazione o di rispetto dei diritti umani correlati alla condizione d’integrazione che il ricorrente ha raggiunto nel nostro paese. All’allegazione della parte relativa alla situazione attuale in Italia ed a quella che conseguirebbe al rientro, deve seguire un’indagine officiosa specificamente rivolta a verificare se, nel paese di origine, la situazione nella quale verrebbe a trovarsi il ricorrente, in relazione alla sua complessiva condizione soggettiva ed oggettiva, età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale, grado d’integrazione sociale e lavorativa raggiunta, etc. sia idonea a determinare non un mero peggioramento della migliore condizione di vita goduta nel nostro paese, ma una compressione radicale dei diritti umani correlati al profilo del richiedente, che lo privi della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale. 6.2 Tale giudizio comparativo deve riguardare ove sia allegata anche la condizione economico sociale del paese di origine, dovendosi verificare se vi sia una situazione, dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente e di conseguente impossibilità, sempre in relazione alla situazione in cui versa la parte, di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere, anche in questa ipotesi, configurabile, la violazione dei diritti umani al di sotto del loro nucleo essenziale. Nella specie, è mancata del tutto l’indagine officiosa sopra illustrata da porre in correlazione con il grado d’integrazione raggiunto dal ricorrente, illegittimamente ritenuto privo di rilievo dalla Corte territoriale. All’accoglimento del secondo motivo, segue la cassazione con rinvio alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, perché nell’esame della domanda avente ad oggetto la protezione umanitaria si attenga ai principi indicati nei paragrafi 6.1 e 6.2 P.Q.M. Accoglie il secondo motivo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.