Violenza domestica in patria: protezione possibile. Illogico parlare di mera vicenda privata

Riprende vigore la richiesta avanzata da una cittadina albanese, approdata in Italia per scappare alle violenze del fidanzato. Necessario per i Giudici approfondire i dettagli della vicenda, e tenere bene a mente che la violenza di genere non può essere derubricata a mero fatto privato.

La violenza di genere subita da una straniera in patria non può essere derubricata a mero fatto privato”. Di conseguenza, è plausibile la sua richiesta di protezione in Italia. Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 18803, depositata il 10 settembre . Riflettori puntati sulla delicata vicenda vissuta da una cittadina di origini albanesi. Una volta approdata in Italia, ella presenta domanda di protezione, spiegando di essere stata vittima per diverso tempo di violenza domestica ad opera del compagno. I dettagli della storia non convincono però né i membri della Commissione territoriale né i giudici del Tribunale consequenziale il no all’ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale in favore della straniera. Quest’ultima però non si arrende e tramite il proprio legale propone ricorso ad hoc in Cassazione, lamentando il fatto che in Tribunale non si è apprezzata correttamente la società albanese, con particolare riferimento alla condizione delle donne . Entrando poi nei dettagli della propria vicenda, la straniera racconta di esser stata segregata in casa dal proprio compagno, rivelatosi violento dopo l’inizio della convivenza, e di aver subito insulti, violenze e minacce, rispetto alle quali non aveva ricevuto tutela dalla polizia nonostante la denuncia , e questo incubo, spiega, è andato avanti fino alla sua fuga verso l’Italia, ove vive la sorella . A margine, poi, la donna lamenta anche di non esser mai stata sentita dal Giudice di merito, nonostante ne avesse fatto esplicita richiesta . Secondo i Giudici del Tribunale la vicenda riguardante la cittadina albanese va inquadrata come un mero conflitto di carattere privatistico , al più sfociato in minacce o in fatti di violenza privata, del tutto estranei al regime della protezione internazionale, non essendovi alcuna ragione per escludere che le autorità competenti in patria siano in grado di assicurare adeguata tutela . In questa ottica, poi, i giudici del Tribunale aggiungono che dalle fonti emerge una reazione delle autorità contro i casi di violenza domestica , testimoniata anche dal fatto che sono aumentate le denunce di violenza domestica , mentre, in questo caso, non risulta che la denuncia alla polizia sia stata effettivamente sporta dalla donna dopo le gravi percosse subite, da cui scaturì altresì financo un ricovero ospedaliero . Per i Giudici del Tribunale, infine, la mancanza di tale documento e l’assenza di spiegazioni a riguardo inficiano ulteriormente l’attendibilità del suo racconto . Questa valutazione viene però censurata dai giudici della Cassazione. In premessa viene ricordato che la valutazione sulla credibilità della storia personale riferita dalla persona richiedente la protezione è fondata su un giudizio di verosimiglianza in cui assumono rilievo centrale le modalità con cui, in concreto, viene narrato il racconto. Di conseguenza, la ratio della norma che impone la fissazione dell’ udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa va ricercata nell’esigenza di consentire l’effettivo incontro tra richiedente e giudice, al fine di assicurare al primo la facoltà di svolgere pienamente il diritto al contraddittorio ed al secondo la possibilità di esercitare, in concreto, il potere-dovere di cooperazione istruttoria . In questo caso specifico, però, la straniera ha dedotto di aver tempestivamente richiesto di essere sentita, confermando in tal modo la propria disponibilità a chiarire la storia personale riferita già in occasione del colloquio svoltosi nella fase amministrativa . E invece i Giudici del Tribunale si sono limitati ad affermare che è inverosimile che la polizia sia rimasta inerte solo per via dei pettegolezzi che il fidanzato avrebbe fatto circolare e, sotto altro profilo, si mostra ancora più inverosimile la circostanza che il fidanzato non sia stato neppure destinatario di una denuncia dopo che aveva tentato seguendo sempre il filo della narrazione di incendiare la casa della zia della donna . Così, con questo percorso argomentativo, però, il giudice di merito finisce per inferire la non verosimiglianza del racconto da considerazioni astratte che non presentano alcun aggancio alla storia in concreto narrata dalla donna che aveva riferito un contesto di violenza domestica, che almeno in apparenza meritava di essere considerato grave, alla luce dell’entità delle lesioni da lei subite e dall’oggettiva rilevanza del tentato incendio della casa della zia. In simile quadro il comportamento della polizia meritava di essere apprezzato con riferimento al caso specifico , e non in termini astratti e teorici occorreva, in altri termini, verificare se effettivamente la straniera avesse sporto denuncia per l’aggressione subita e quale fosse stata la risposta delle autorità albanesi, allo scopo di verificare se vi fosse stata inerzia di fronte alla condotta denigratoria del responsabile della violenza, posto che la denigrazione costituisce, in molti casi, uno dei sistemi in cui la violenza di genere è in concreto esercitata. Solo all’esito di tali ineludibili verifiche di fatto il giudice di merito avrebbe potuto procedere a valutazioni presuntive , poiché in assenza dei predetti elementi il ricorso al criterio della verosimiglianza finisce per trasferire il giudizio di attendibilità della storia dal piano della concretezza a quello del ragionamento meramente astratto e ipotetico . Dalla Cassazione aggiungono poi che in presenza di elementi certi che evidenziavano un contesto grave di violenza domestica le lesioni gravi, documentate dal referto ospedaliero il tentato incendio della casa della zia le reiterazione delle fughe della donna, una prima volta in patria, presso la zia, ed una seconda in Italia, presso la sorella la denigrazione posta in essere dal fidanzato, responsabile della condotta violenta ed in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltisi in sede amministrativa, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’ ascolto diretto della donna , al fine di consentirle di fornire gli opportuni chiarimenti su un racconto che si caratterizzava per i suoi aspetti di sinistra attualità e che avrebbe pertanto dovuto destare un particolare allarme, o comunque svolgere gli approfondimenti istruttori ritenuti opportuni per assicurare la completa verifica della veridicità della storia da lei riferita . Ampliando l’orizzonte, poi, i Giudici tengono a sottolineare che la violenza di genere non può mai essere ridotta a fatto meramente privato , posto che essa è una delle fattispecie espressamente previste dall’art. 7, secondo comma, del d.lgs. n. 251 del 2007 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato . Evidente, in sostanza, l’errore compiuto in Tribunale, dove, invece di esaminare, come doveroso, i termini concreti della vicenda riferita dalla donna per verificarne la fondatezza e la veridicità , si è finito per screditare a priori la vicenda stessa, senza approfondirne adeguatamente gli elementi di fatto . Necessario, quindi, che il Tribunale riesamini con attenzione la vicenda, seguendo le indicazioni fornite dalla Cassazione, e in particolare il principio secondo cui la violenza di genere, al pari di quella contro l’infanzia, non può essere ricondotta alla categoria del fatto meramente privato ”, poiché essa costituisce una delle fattispecie espressamente previste dall’art. 7, secondo comma, del d.lgs. n. 251 del 2007 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, sia con riferimento agli atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale, che con riguardo, in generale, agli atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 luglio – 10 settembre 2020, numero 18803 Presidente San Giorgio – Relatore Oliva Fatti di causa La ricorrente, cittadina albanese, proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bari rigettava il ricorso. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Du. Pa. affidandosi a due motivi. Il Ministero dell'Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra, ratificata dalla Legge numero 722 del 1954, della Direttiva 2004/83/CE e degli articolo 2, 7, 8 e 14 del D.Lgs. numero 251 del 2007, con cui detta Direttiva è stata attuata in Italia, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione internazionale, nelle due forme dello status e della tutela sussidiaria, senza apprezzare correttamente la società albanese, con particolare riferimento alla condizione delle donne. La ricorrente aveva infatti dedotto di esser stata segregata in casa dal proprio compagno, rivelatosi violento dopo l'inizio della convivenza, e di aver subito insulti, violenze e minacce, rispetto alle quali non aveva ricevuto tutela dalla Polizia nonostante la denuncia, fino alla sua fuga verso l'Italia, ove viveva la sorella. Inoltre, la ricorrente lamenta di non esser mai stata sentita dal giudice di merito, nonostante ne avesse fatto esplicita richiesta. La censura è fondata. Dal decreto impugnato risulta che il Tribunale di Bari ha inquadrato la vicenda narrata dalla Du. sub specie di un mero conflitto di carattere privatistico, al più sfociato in minacce o in fatti di violenza privata del tutto estranei al regime della protezione internazionale, non essendovi alcuna ragione per escludere che le autorità competenti in patria siano in grado di assicurare adeguata tutela. Invero, dalle fonti emerge infatti una reazione delle autorità contro i casi di violenza domestica, tant'è che sono aumentate le denunce di violenza domestica Non risulta peraltro che la denuncia alla Polizia sia stata effettivamente sporta dalla ricorrente dopo le gravi percosse subite, da cui scaturì altresì financo un ricovero ospedaliero e ciò in quanto essa richiedente abbia dichiarato subito alla Commissione che intendeva provvedere alla produzione del documento in parola già in sede amministrativa. Ebbene, la mancanza di tale documento e l'assenza di spiegazioni a riguardo inficiano ulteriormente l'attendibilità del racconto cfr. pagg.2 e 3 del decreto . Tale passaggio motivazionale va posto in relazione con quello, precedente, con il quale il giudice di merito afferma l'irrilevanza dell'audizione diretta dell'istante, la quale ha prodotto in causa il verbale delle articolate dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale, sufficientemente ampie e adeguatamente illustrative dei motivi dell'invocata protezione cfr. pagg.1 e 2 del decreto . Le due affermazioni si pongono tra loro in rapporto di irriducibile contrasto logico, poiché il giudice di merito ha dapprima ritenuto superflua l'audizione diretta della Du. sul presupposto -in sé, peraltro, erroneo che il verbale della deposizione dinanzi alla Commissione fosse sufficiente, e subito dopo ha valorizzato, ai fini del giudizio di non credibilità del racconto, l'assenza di spiegazioni circa la mancata produzione agli atti del giudizio della copia della denuncia sporta in patria spiegazioni, tuttavia, che proprio la perentorietà della prima affermazione circa la superfluità dell'ascolto diretto della parte aveva in concreto reso impossibili. Sul punto va considerato che il verbale dell'audizione svoltasi in sede amministrativa deve sempre, ai sensi del comma ottavo dell'articolo 35-bis del D.Lgs. numero 25 del 2008, essere messo a disposizione dell'Autorità giudiziaria, a cura della Commissione territoriale che ha adottato il provvedimento impugnato dal richiedente la protezione. In aggiunta, i commi 10 ed 11 del richiamato articolo 35-bis prevedono la necessaria fissazione dell'udienza di comparizione, inter alia, quando la videoregistrazione del primo colloquio non sia disponibile. Se ne ricava che il verbale riassuntivo dell'audizione tenutasi innanzi la Commissione territoriale non può in ogni caso costituire l'unico elemento in base al quale il giudice di merito, in assenza di videoregistrazione di quel primo colloquio, decida di soprassedere alla nuova audizione del richiedente. La valutazione sulla credibilità della storia personale riferita dal richiedente la protezione, infatti, è fondata su un giudizio di verosimiglianza nel quale assumono rilievo centrale le modalità con cui, in concreto, viene narrato il racconto di conseguenza, la ratio della norma che impone la fissazione dell'udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa va ricercata nell'esigenza di consentire l'effettivo incontro tra richiedente e giudice, al fine di assicurare al primo la facoltà di svolgere pienamente il diritto al contraddittorio ed al secondo la possibilità di esercitare, in concreto, il potere-dovere di cooperazione istruttoria. Nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto di aver tempestivamente richiesto di essere sentita cfr. pag.26 del ricorso , confermando in tal modo la propria disponibilità a chiarire la storia personale riferita già in occasione del colloquio svoltosi nella fase amministrativa. Il profilo di irriducibile contrasto logico esistente tra i due passaggi della motivazione richiamati in precedenza non è superato, ma anzi è accentuato, dalla successiva affermazione, contenuta a pag.3 del decreto impugnato, secondo cui sarebbe inverosimile che la Polizia sia rimasta inerte solo per via dei pettegolezzi che il fidanzato avrebbe fatto circolare e, sotto altro profilo, si mostra ancora più inverosimile la circostanza che il fidanzato non sia stato neppure destinatario di una denuncia dopo che aveva tentato seguendo sempre il filo della narrazione di incendiare la casa della zia della ricorrente . Con questo percorso argomentativo, infatti, il giudice di merito finisce per inferire la non verosimiglianza del racconto da considerazioni astratte che non presentano alcun aggancio alla storia in concreto narrata dalla Du Quest'ultima, infatti, aveva riferito un contesto di violenza domestica, che almeno in apparenza meritava di essere considerato grave, alla luce dell'entità delle lesioni subite dalla ricorrente e dall'oggettiva rilevanza del tentato incendio della casa della zia. In simile quadro il comportamento della polizia meritava di essere apprezzato con riferimento al caso specifico, e non in termini astratti e teorici occorreva, in altri termini, verificare se effettivamente la ricorrente avesse sporto denuncia per l'aggressione subita e quale fosse stata la risposta delle autorità albanesi, allo scopo di verificare se vi fosse stata inerzia di fronte alla condotta denigratoria del responsabile della violenza, posto che la denigrazione costituisce, in molti casi, uno dei sistemi in cui la violenza di genere è in concreto esercitata. Solo all'esito di tali ineludibili verifiche di fatto il giudice di merito avrebbe potuto procedere a valutazioni presuntive, poiché in assenza dei predetti elementi il ricorso al criterio della verosimiglianza finisce per trasferire il giudizio di attendibilità della storia dal piano della concretezza a quello del ragionamento meramente astratto e ipotetico. In presenza di elementi certi che evidenziavano un contesto grave di violenza domestica le lesioni gravi, documentate dal referto ospedaliero il tentato incendio della casa della zia le reiterazione delle fughe della Du., una prima volta in patria, presso la zia, ed una seconda in Italia, presso la sorella la denigrazione posta in essere dal fidanzato, responsabile della condotta violenta ed in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltisi in sede amministrativa, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all'ascolto diretto della Du., al fine di consentirle di fornire gli opportuni chiarimenti su un racconto che si caratterizzava per i suoi aspetti di sinistra attualità e che avrebbe pertanto dovuto destare un particolare allarme, o comunque svolgere gli approfondimenti istruttori ritenuti opportuni per assicurare la completa verifica della veridicità della storia riferita dalla richiedente. Sotto questo profilo, è necessario sottolineare che la violenza di genere non può mai essere ridotta a fatto meramente privato, come invece fa il giudice di merito cfr. pag.2 della decisione impugnata , posto che essa è una delle fattispecie espressamente previste dall'articolo 7, secondo comma, del D.Lgs. numero 251 del 2007 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato cfr. in particolare lett. a , che contempla gli atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale e lett. f , che si riferisce invece agli atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia . La motivazione complessivamente resa dal Tribunale di Bari, invece di esaminare, come avrebbe dovuto fare, i termini concreti della vicenda riferita dalla Du. per verificarne la fondatezza e la veridicità, finisce per screditare a priori la vicenda stessa senza approfondirne adeguatamente gli elementi di fatto, ed appare inoltre incentrata su affermazioni tra loro inconciliabili. Essa, quindi, si dimostra meramente apparente e, come tale, non idonea a sostenere la decisione assunta dal giudice di merito, posto che costituisce anomalia motivazionale denunciabile in cassazione, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza stessa della motivazione -intesa come parte essenziale della decisione non soltanto la mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, ma anche la motivazione apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile sul punto, Cass. Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 . Il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 32 del D.Lgs. numero 25 del 2008 e 5 del D.lgs. numero 286 del 1998, perché il giudice di merito avrebbe erroneamente escluso anche la protezione umanitaria, è assorbito dall'accoglimento della prima doglianza. In definitiva, va accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione alla censura accolta e la causa rinviata al Tribunale di Bari, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. Nel riesame devolutogli, il giudice del rinvio avrà cura di attenersi al seguente principio di diritto La violenza di genere, al pari di quella contro l'infanzia, non può essere ricondotta alla categoria del fatto meramente privato , poiché essa costituisce una delle fattispecie espressamente previste dall'articolo 7, secondo comma, del D.Lgs. numero 251 del 2007 ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, sia con riferimento agli atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale cfr. lett. a , che con riguardo, in generale, agli atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia cfr. lett. f . PQM la Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo. Cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa al Tribunale di Bari, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.