In patria siccità e danni ai raccolti: concesso il permesso di soggiorno all’agricoltore straniero

Confermato il diritto di un cittadino senegalese ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Decisiva la constatazione che in patria una grave siccità e i conseguenti danni ai raccolti privavano il contadino della possibilità di sopravvivere.

Protezione in Italia per il contadino che è scappato dal proprio Paese a causa della siccità e dei conseguenti danni ai raccolti. Cassazione, ordinanza n. 18817/20, sezione I Civile, depositata oggi . All’esame dei Giudici del Palazzaccio la vicenda riguardante un uomo originario del Senegal. Una volta approdato in Italia, lo straniero chiede protezione, spiegando di essere stato obbligato a fuggire dal proprio Paese. In primo grado la sua domanda viene respinta in modo netto. In secondo grado, invece, i giudici sono più possibilisti, e, riesaminati i dettagli della storia, riconoscono all’uomo il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari . In particolare, in appello si osserva che andava valutato positivamente il percorso di integrazione in Italia , viene aggiunto poi che la migrazione dello straniero trovava il proprio fondamento in una scelta dettata da ragioni connesse alla sopravvivenza, ovvero al godimento dei diritti fondamentali, e precisamente alle condizioni di vita legate alla attività di contadino e segnate dalla siccità e dai danni ai raccolti . A contestare il riconoscimento del permesso di soggiorno è il Ministero dell’Interno, che col ricorso in Cassazione sostiene che in appello si è dichiarata l’esistenza del diritto alla protezione umanitaria fondando la decisione sulla mera possibilità di integrazione, omettendo di accertare la presenza di vere e proprie esigenze umanitarie specificamente riferibili alla persona . A margine, poi, nel ricorso l’Avvocatura dello Stato sottolinea la responsabilità, in considerazione del particolare momento storico, di promuovere interpretazioni giurisprudenziali il più possibile restrittive in materia di immigrazione e di protezione internazionale . Su questo fronte, però, dalla Cassazione ribattono in modo duro, chiarendo che compito della Corte è quello di giudicare della controversia portata al suo esame, rifuggendo da aprioristici intendimenti atti a condizionare l’attività di interpretazione e di applicazione della legge cui essa è chiamata . Prendendo in esame la vicenda, poi, viene ritenuta corretta la comparazione , compiuta in secondo grado, tra il processo di inserimento dello straniero in Italia e la sua condizione di vulnerabilità in patria. E a questo proposito i giudici ritengono decisivo il fatto che il cittadino senegalese sia fuggito dal proprio Paese di origine a causa di condizioni specifiche, legate a una grave siccità e ai danni ai raccolti, che lo privavano ricorrente della possibilità di sopravvivere in patria. Per spazzare via ogni dubbio, infine, dal Palazzaccio ricordano che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente protezione con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza , e in questa ottica va tenuta presente anche l’incidenza delle calamità naturali sul piano della vulnerabilità dello straniero.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 luglio – 10 settembre 2020, n. 18817 Presidente Tria – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - E' impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 30 maggio 2018, con cui è stato parzialmente accolto il gravame proposto da Wa. Sa. nei confronti dell'ordinanza ex art. 702 ter, comma 5, c.p.c. del Tribunale del capoluogo lombardo. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria ha tuttavia accertato spettare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ha osservato, in particolare, che andava valutato positivamente il percorso di integrazione del richiedente in Italia e che, inoltre, doveva essere considerato che la migrazione del richiedente trovava il proprio fondamento in una scelta dettata da ragioni connesse alla sopravvivenza, ovvero al godimento dei diritti fondamentali e, in particolare, alle condizioni di vita legate alla propria attività di contadino, segnate dalla siccità e dai danni ai raccolti . 2. - Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il richiedente, intimato, non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. - Il ricorrente Ministero denuncia la violazione dell'art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286/1998. Lamenta, in sintesi, che la Corte d'appello abbia dichiarato l'esistenza del diritto alla protezione umanitaria fondando la decisione sulla mera possibilità di integrazione dell'appellante in Italia, omettendo di accertare la presenza di vere e proprie esigenze umanitarie specificamente riferibili alla persona dell'appellante. Nel ricorso per cassazione l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto di sottolineare, in considerazione del particolare momento storico , la responsabilità di promuovere interpretazioni giurisprudenziali il più possibile restrittive in materia di immigrazione e di protezione internazionale il Collegio intende invece sottolineare, per quanto possa apparir scontato, che compito della Corte è quello di giudicare della controversia portata al suo esame rifuggendo da aprioristici intendimenti atti a condizionare l'attività di interpretazione e di applicazione della legge cui essa è chiamata. 2. - Il motivo è peraltro infondato. Il giudice distrettuale ha proceduto alla comparazione tra il processo di inserimento del richiedente in Italia e la condizione di vulnerabilità dello stesso, rilevando, sulla base di un accertamento qui non sindacabile - e del resto nemmeno specificamente censurato - come l'espatrio fosse stato motivato da condizioni specifiche, legate a una grave siccità e ai danni ai raccolti, che privavano lo stesso ricorrente della possibilità di sopravvivere nel Senegal, paese da cui Wa. Sa. proveniva. Il giudizio formulato dalla Corte di appello risulta allora attuato in conformità della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459 cit. sull'incidenza, sul piano della vulnerabilità del richiedente, di calamità naturali, cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione, e, più di recente, Cass. 4 febbraio 2020, n. 2563 . 3. - Nulla è da statuire in punto di spese processuali. Non deve nemmeno darsi atto dell'obbligo, da parte del Ministero, di versare - ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13 il ricorso è stato infatti proposto da un'Amministrazione dello Stato, istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito Cass. 14 marzo 2014, n. 5955 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.