Permesso di soggiorno per lo straniero che scappa dalla povertà estrema

Confermata in Cassazione la decisione dei giudici d’Appello riconosciuta la protezione per motivi umanitari nei confronti di un cittadino bengalese. Per i giudici il rientro nel Paese di origine esporrebbe l’uomo e la sua famiglia a una condizione di indigenza irrisolvibile e tale da determinare condizioni di vita non rispettose dei diritti umani fondamentali.

Protezione umanitaria in Italia per lo straniero che scappa da un Paese in condizioni economiche disastrate, proviene da una famiglia povera e in patria ha sulle spalle un prestito che difficilmente potrà restituire. Obbligarlo a tornare nella sua nazione significherebbe, secondo i giudici, sottoporlo a condizioni di estrema povertà. Rilevante, poi, anche il buon inserimento compiuto dallo straniero in Italia, dove ha reperito anche una attività lavorativa sostanzialmente stabile. Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 18443, depositata oggi . Protagonista della vicenda è un cittadino bengalese che, approdato in Italia, si vede negato il riconoscimento della protezione internazionale prima dalla Commissione territoriale e poi dal Tribunale. A ridargli una speranza provvedono però i giudici d’Appello, che optano per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari . Così il cittadino bengalese può rimanere in Italia legittimamente decisiva la constatazione della povertà estrema a cui sarebbe destinato in caso di ritorno in patria. A contestare duramente la decisione favorevole allo straniero è il Ministero dell’Interno. Consequenziale il ricorso in Cassazione, centrato sull’osservazione che erroneamente sono stati ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della tutela umanitaria, valorizzando non già l’esistenza di un rischio individuale, bensì la condizione economica disagiata esistente in Bangladesh . All’obiezione mossa da Ministero ribattono i giudici della Cassazione, sancendo la legittimità della visione tracciata in Appello. Corretto, in sostanza, il riferimento a due concorrenti circostanze, e precisamente da un lato, la difficile situazione del Bangladesh uno dei Paesi più poveri del Mondo , la provenienza dello straniero da una famiglia economicamente povera la impossibilità di restituire il prestito e, dall’altro lato, la considerazione che lo straniero ha ormai maturato un positivo inserimento nel tessuto sociale del nostro Paese, ove si trova ormai da tre anni e dove ha reperito una attività lavorativa sostanzialmente stabile” . Per i giudici della Cassazione, compiuta una valutazione comparativa delle condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto in caso di rientro forzato in Patria, dalla quale si è allontanato nel 2014 , va riconosciuta la tutela umanitaria , poiché il rientro nel Paese di origine esporrebbe l’uomo a una condizione di indigenza che, in presenza del debito contratto, sarebbe di fatto irrisolvibile e tale da determinare condizioni di vita, per lui e per la sua famiglia, di povertà estrema e non rispettose dei diritti umani fondamentali , anche considerato il grado elementare di scolarizzazione . In conclusione, si può affermare che, in caso di rimpatrio, il cittadino bengalese sarebbe esposto ad un inaccettabile rischio di lesione dei diritti inalienabili della persona umana, suoi e dei suoi stretti congiunti , chiosano dalla Cassazione, confermandone il diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 luglio – 4 settembre 2020, numero 18443 Presidente San Giorgio – Relatore Oliva Fatti di causa Ar. Ma., cittadino bengalese, proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano. Con ordinanza del 19.6.2017 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Interponeva appello Ar. Ma. e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, numero 3854/2018, accoglieva il gravame limitatamente alla domanda di concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il Ministero dell'Interno affidandosi ad un unico motivo. La parte intimata non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Ragioni della decisione Con l'unico motivo di ricorso il Ministero dell'Interno lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 32 del D.Lgs. numero 25 del 2008 e 5 del D.Lgs. numero 286 del 1998 in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della tutela umanitaria, valorizzando non già l'esistenza di un rischio individuale dell'Ar., bensì la condizione economica disagiata esistente in Bangladesh. La censura è infondata. La Corte di Appello ha infatti ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base di due concorrenti circostanze, e precisamente da un lato, la difficile situazione del Bangladesh uno dei Paesi più poveri del Mondo , la provenienza del ricorrente -secondo le sue dichiarazioni intrinsecamente credibili in quanto coerenti nel tempo, tempestive e sufficientemente circostanziate da una famiglia economicamente povera la impossibilità di restituire il prestito e dall'altro lato la considerazione che il ricorrente ha ormai maturato un positivo inserimento nel tessuto sociale del nostro Paese, ove si trova ormai da tre anni e dove ha reperito una attività lavorativa sostanzialmente stabile in una valutazione comparativa delle condizioni di vita alle quali sarebbe esposto in caso di rientro forzato in Patria, dalla quale si è allontanato nel 2014, impone di riconoscere al ricorrente la residuale forma di tutela di cui all'articolo 5 comma 6 del T.U. immigrazione, poiché il rientro nel Paese di origine esporrebbe il ricorrente a una condizione di indigenza che, in presenza del debito contratto, sarebbe di fatto irrisolvibile e tale da determinare condizioni di vita per il ricorrente e per la sua famiglia di povertà estrema non rispettose dei diritti umani fondamentali, anche considerato il grado elementare di scolarizzazione cfr. pagg.9 e 10 della sentenza impugnata . Trattasi di motivazione pienamente rispondente al principio, enunciato da questa Corte, secondo cui ai fini della concessione o del diniego della protezione umanitaria Non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d'origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell'impedimento all'esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all'interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l'effettività dell'inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L'accertamento della situazione oggettiva del Paese d'origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell'accertamento da compiere, cfr. Cass. numero 420/2012, numero 359/2013, numero 15756/2013 . E’ necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio comparativo, risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa articolo 2 Cost. Cass. Sez. 1, Sentenza numero 4455 del 23/02/2018, Rv.647298, in motivazione, pagg.9 e 10 . Nel caso di specie la Corte milanese ha correttamente apprezzato, in termini tra loro comparativi, le condizioni di vita del richiedente la protezione, rispettivamente in Italia e nel Paese di provenienza, ed ha ritenuto, all'esito di un apprezzamento di fatto non utilmente sindacabile in questa sede, che in caso di rimpatrio il ricorrente sarebbe esposto ad un inaccettabile rischio di lesione dei diritti inalienabili della persona umana, suoi e dei suoi stretti congiunti. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità. Poiché il ricorso è stato introdotto da un'Amministrazione dello Stato, che è istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo unificato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza numero 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 Cass. Sez.6-L, Ordinanza numero 1778 del 29/01/2016, Rv.638714 Cass. Sez. U, Sentenza numero 4315 del 20/02/2020, Rv 657198 , non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo stesso, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. PQM la Corte rigetta il ricorso.