Omofobia in patria: partecipare a un matrimonio omosessuale non consente allo straniero di ottenere protezione in Italia

Respinta la richiesta avanzata da un cittadino senegalese. Per i Giudici il racconto della vicenda è poco credibile, e comunque non vi sono i presupposti per ipotizzare una condizione di vulnerabilità in caso di rientro in patria.

Prendere parte, in patria, a un matrimonio omosessuale interrotto da un’irruzione delle forze di polizia non è elemento sufficiente per riconoscere allo straniero – un cittadino senegalese – protezione in Italia. Cassazione, ordinanza n. 18315/20, sezione II Civile, depositata oggi . Concordi i membri della Commissione territoriale e i Giudici del Tribunale niente riconoscimento dello status di rifugiato e niente protezione per un uomo, originario del Senegal, che sostiene di essere scappato dal proprio Paese di origine e di essere approdato in Italia per il timore di persecuzioni dovute alla sua partecipazione a un matrimonio omosessuale. Nello specifico, l’uomo racconta di aver partecipato ad un matrimonio omosessuale che era stato interrotto da una irruzione della polizia e aggiunge che all’epoca la notizia ha scatenato le ire omofobe degli abitanti del quartiere che hanno minacciato di ucciderlo . Per i Giudici del Tribunale, però, è evidente la non credibilità della storia raccontata dal cittadino senegalese. Col ricorso in Cassazione, però, l’uomo spiega di ritenere plausibile la concessione in suo favore di un permesso umanitario , soprattutto tenendo presente il rischio di esposizione ad azioni di violenza in caso di ritorno in patria, rischio tale da integrare gli estremi per il riconoscimento dei seri motivi di carattere umanitario . E in questa ottica lo straniero aggiunge che non è stato colto il problema della diffusa persecuzione dell’omosessualità in patria, persecuzione che costituisce una minaccia all’incolumità e alla libertà della persona . Dal Palazzaccio ribattono condividendo la linea tracciata dal Tribunale, in particolare laddove si è analizzata la situazione dello straniero per verificare il pregiudizio eventualmente connesso con il suo allontanamento dal territorio italiano ed il ritorno nel Paese di origine e si è ritenuto che tale rientro non possa determinare una condizione di vulnerabilità caratterizzata dalla privazione della titolarità dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale . Correttamente, quindi, osservano dalla Cassazione, è stata esclusa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino senegalese, tradito, peraltro, anche dalla genericità e dalla non credibilità del suo racconto, avendo egli riferito di essere sposato, di avere un figlio e di avere partecipato per curiosità a un matrimonio omosessuale celebrato nel cortile di una chiesa . Impossibile, quindi, ipotizzare una situazione di vulnerabilità per lo straniero alla luce delle condizioni di vita nel Paese di provenienza . Per chiudere il cerchio, infine, i giudici della Cassazione aggiungono, confermando nuovamente la linea adottata dal Tribunale, che la conoscenza della lingua italiana e la frequentazione di corsi di avviamento professionale ovvero lo svolgimento di attività lavorativa in Italia non possono giustificare di per sé il riconoscimento della protezione , al di fuori della comparazione oggettiva e soggettiva con la condizione dello straniero nel paese di origine , il Senegal, dove l’uomo lavorava come operaio e dove sono rimasti moglie e figlio .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 4 febbraio – 3 settembre 2020, numero 18315 Presidente Manna – Relatore Casadonte rilevato che - il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso che il sig. Ke. Ib., cittadino senegalese, ha presentato avverso il decreto con cui il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la protezione internazionale sussidiaria e per quella umanitaria proposto in sede di opposizione al diniego espresso dalla Commissione territoriale con provvedimento del 11/12/2017 - quanto ai motivi per i quali aveva lasciato il proprio paese, egli dichiarava di aver partecipato ad un matrimonio omosessuale, nel corso del quale aveva fatto irruzione la polizia e precisava che la notizia scatenava le ire omofobe degli abitanti del quartiere che minacciavano di ucciderlo - il Tribunale di Venezia ha negato al ricorrente il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria dichiarando che, stante la non credibilità del ricorrente, non si ravvisavano i presupposti di legge per l'accoglimento di nessuna delle richieste -la cassazione del provvedimento è chiesta con ricorso tempestivamente notificato il 22/06/2019 ed affidato ad un unico articolato motivo - il Ministero dell'interno resiste al ricorso con controricorso tempestivamente notificato il 30 luglio 2019 chiedendo di accertare e dichiarare l'inammissibilità del ricorso e nel merito, di rigettarlo perché infondato considerato che - in via preliminare, il ricorrente denuncia l'illegittimità costituzionale del D.L. 4 ottobre 2018 numero 113 per contrasto con l'articolo 77 Cost. non sussistendo i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, nonché per contrasto con gli artt. 10 comma 2 e 117, comma 1, Cost. in relazione all'abrogazione del permesso per motivi umanitari ed ancora l’illegittimità costituzionale del D.L.numero 13 del 2017 convertito con modificazioni nella legge numero 46 del 2017 per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. ed artt. 6 CEDU, 47 Carta di Nizza, dell'articolo 46 della Direttiva 2013/32/UE e dell'articolo 117 Cost. per avere eliminato il grado di appello ed avere introdotto il rito camerale senza udienza pubblica e partecipazione del ricorrente e del suo difensore - le plurime questioni di illegittimità costituzionale appaiono in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondate laddove riguardano l'adozione dello strumento legislativo del decreto legge ed il rito camerale - è inammissibile per evidente difetto di specificità la questione sollevata con riguardo all'insussistenza dei casi di straordinaria necessità ed urgenza prescritti dall'articolo 77 Cost del D.L. 113/2018 perchè il ricorrente formula una critica generica che neppure contempla lo specifico riferimento alle plurime condizioni indicate dal legislatore quali, esemplificativamente, la ritenuta la necessità e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonché' di garantire l'effettività dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione, ovvero la ritenuta necessità e urgenza di adottare norme in materia di revoca dello status di protezione internazionale, a razionalizzare il ricorso al Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, la straordinaria necessità e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l'Autorità giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali - è già stata d'altra parte e con riferimento ad altra questione sollevata dal ricorrente dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 21, comma 1, del D.L. numero 13 del 2017, conv. con modifiche in legge numero 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poiché la disposizione transitoria - che differisce di 180 giorni dall'emanazione del decreto l'entrata in vigore del nuovo rito - è connaturata all'esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime cfr. Cass. 17717/2018 - è stata pure dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, dell'articolo 35-bis, comma 1, del D.Lgs. numero 25 del 2008 come modificato dal D.L. 113/2017 poiché il rito camerale ex articolo 737 c.p.c. che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status , è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l'udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell'attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte cfr. Cass. 17717/2018 - è stata, ancora, affermata la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità relativa alla previsione della non reclamabilità del decreto adottato dal tribunale specializzato sulla scorta della sancita inesistenza della copertura costituzionale del principio del doppio grado di giudizio cfr. Cass. 27700/2018 - va, invece, dichiarata l'inammissibilità per difetto di rilevanza della questione proposta con riguardo alla legittimità costituzionale dell'abrogazione della protezione umanitaria poiché, nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha cfr. pag. 9 del decreto ritenuto legittimamente che il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell'ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile - conseguentemente la normativa introdotta con il D.L. numero 113 del 2018, convertito in L. numero 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui all'articolo 5, comma 6 del D.Lgs. numero 286 del 1998 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore 5 ottobre 2018 della nuova legge, come nel caso di specie Cass. Sez. Unumero 29459/2019 - passando all'esame del motivo di censura del provvedimento impugnato con esso si denuncia sotto più profili la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 6 del D.Lgs. 286/1998 e dell'articolo 32, comma 3 del D.Lgs. 25/2008 laddove il provvedimento impugnato ha escluso la possibilità di concedere un permesso umanitario non valutando l'allegato rischio di esposizione ad azioni di violenza, tale da integrare gli estremi per il riconoscimento dei seri motivi di carattere umanitario - secondo il ricorrente, il tribunale non aveva colto il problema della diffusa persecuzione dell'omosessualità, che costituisce una minaccia stessa all'incolumità e alla libertà della persona - non aveva, altresì, tenuto conto della fuga dalla Libia posta in essere dal ricorrente per porsi in salvo dal conflitto ivi scoppiato che aveva determinato una situazione di straordinario pericolo tale da integrare le esigenze umanitarie che giustificavano il rilascio del permesso di soggiorno -ancora, ad avviso del ricorrente, il tribunale non aveva adeguato valorizzato l'inserimento lavorativo del ricorrente nel territorio nazionale - il motivo è infondato rispetto a tutti i profili censurati - il tribunale ha infatti nella parte sub 3 del decreto analizzato la situazione del richiedente secondo la prospettazione individuale al fine di verificare il pregiudizio eventualmente connesso con il suo allontanamento dal territorio nazionale ed il ritorno nel paese di origine ed ha ritenuto che tale rientro non possa determinare una condizione di vulnerabilità caratterizzata dalla privazione della titolarità dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale cfr. Cass. 14005/23018 Cass. 4455/2018 -ciò posto ed alla stregua dei criteri interpretativi correttamente richiamati il tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria - in tale prospettiva anche il riferimento alla non credibilità e genericità del racconto del ricorrente, che ha riferito di essere sposato e di avere un figlio e di avere partecipato per curiosità ad un matrimonio omossessuale celebrato nel cortile di una scuola , costituisce motivo legittimo per negare la protezione umanitaria stante l'insussistenza di situazioni di vulnerabilità connesse alle condizioni di vita nel Paese di provenienza né rispetto a altre asserite violenze subite durante il periodo vissuto in Libia cfr. Cass. 27438/2016 - infine, altrettanto legittimamente il provvedimento impugnato ha escluso che la conoscenza della lingua italiana e la frequentazione di corsi di avviamento professionale ovvero lo svolgimento di attività lavorativa in Italia possano giustificare di per sé, al di fuori della comparazione oggettiva e soggettiva con la condizione del richiedente nel paese di origine, Senegal, dove lavorava come operaio e dove sono rimasti moglie e figlio, il riconoscimento della protezione umanitaria cfr. Cass. 4455/2018 id.9304/2019 id. 13079/2019 id29459/2019 - in conclusione il ricorso va respinto per l'infondatezzza delle censure e parte ricorrente va condannata, in applicazione del principio di soccombenza, alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della parte controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 oltre spese prenotate e prenotande a debito ed oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.