Va riesaminata la richiesta di protezione del padre fuggito dal Mali per sottrarre le figlie dalla pratica dell’infibulazione

A fronte della richiesta di protezione internazionale di un cittadino del Mali che deduce di essere fuggito con la famiglia dal Paese d’origine per le vessazioni subite dopo aver rifiutato di praticare la mutilazione genitale alle proprie figlie, il Tribunale non può escludere i requisiti per il riconoscimento della protezione sulla base del solo fatto che le norme di quel Paese vietano tale prassi.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17954/20, depositata il 27 agosto. Un cittadino del Mali proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Torino avverso la decisione con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale . L’uomo aveva dedotto di essere fuggito dal Paese d’origine poiché, dopo essersi opposto alla pratica di mutilazione genitale delle figlie, aveva subito vessazioni da parte degli altri abitanti del villaggio. Era dunque fuggito con la famiglia alla ricerca di lavoro e migliori condizioni. Il Tribunale rigettava il ricorso e la Corte d’Appello confermava la decisione, sottolineando che le Autorità del Mali proibiscono la consuetudine dell’infibulazione, negando dunque la sussistenza dei requisiti per la protezione sussidiaria ovvero umanitaria. Il richiedente ha proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte. Secondo il ricorrente i Giudici di merito si sono limitati ad affermare che la pratica dell’infibulazione è combattuta dalle Autorità del Mali, pur dando atto che invece nelle comunità le pressioni in tal senso continuano anche con modalità violente nei confronti di chi si oppone a tale pratica. Il Collegio ritiene fondato il ricorso in quanto la pronuncia impugnata non approfondisce il tema delle conseguenze cui sono esposti i genitori che si oppongono alla pratica di mutilazione genitale delle figlie, nonostante la presenza di elementi utili al riguardo tratte dai rapporti di Organismi internazionali che mostrano come sia ancora forte la pressione a favore di tale pratica. Il Collegio dunque non poteva limitarsi a richiamare le disposizioni normative, seppur di natura penale, che vietano l’infibulazione, bensì avrebbe dovuto assumere adeguate informazioni presso Organismi internazionali che monitorano il fenomeno per valutare l’attuale sussistenza della costrizione sociale subita dal ricorrente. Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 gennaio – 27 agosto 2020, n. 17954 Presidente Manna – Relatore Gorjan Fatti di causa K.S. - cittadino del Mali ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Torino avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa. Il ricorrente deduceva d’essere dovuto fuggire dal suo Paese poiché si opponeva alla pratica della mutilazione genitale delle figlie, sicché lui e la moglie subirono vessazioni da parte degli altri abitanti del villaggio dove vivevano coltivando la terra, sicché decise di trasferirsi con la famiglia in Mauritania e poi di recarsi in altri Paesi alla ricerca di lavoro per mantenere la famiglia. Il Tribunale piemontese ha rigettato il ricorso ritenendo non concorrente alcuna delle condizioni previste dalla normativa in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero umanitaria. Il K. ebbe a proporre gravame avanti la Corte d’Appello di Torino che rigettò l’impugnazione osservando come le Autorità del Mali proibiscano la consuetudine della mutilazione genitale delle figlie e come nella zona del Mali, in cui viveva il K. , non concorreva una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa. Avverso la sentenza resa dalla Corte cisalpina il K. ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi. Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, ha depositato nota ex art. 370 c.p.c. Ragioni della decisione Il ricorso svolto da K.S. s’appalesa siccome fondato e va accolto nei limiti di cui alla seguente motivazione. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce una pluralità di vizi di legittimità in primo luogo violazione di norme di diritto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e art. 14, lett. b c , D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione alla questione delle conseguenze della sua decisione di non sottoporre la figlia alla mutilazione genitale nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c. poiché la motivazione resa dalla Corte distrettuale era da qualificarsi siccome apparente, incomprensibile od altamente illogica omesso esame di fatto decisivo circa la situazione socio-politica del Mali. Secondo il ricorrente il Collegio subalpino non ebbe ad esaminare la credibilità del suo racconto ma si limitò a concludere che la pratica dell’infibulazione delle figlie era combattuta dalle Autorità del Mali, pur dando atto che invece continuava la pressione anche violenta della comunità contro chi s’opponeva a detta pratica ma senza esaminare detto aspetto della questione. Inoltre il Collegio piemontese aveva mal valutato l’attuale situazione sociopolitica del Mali poiché in tutto il Paese v’era presenza di violenza diffusa e, comunque, non avena indicato le fonti dalle quali aveva tratto le informazioni utilizzate per sostenere la sua statuizione sul punto. La censura mossa appare fondata con relazione alla questione proposta sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b posto che in effetti non appare approfondita la questione delle conseguenze, cui sono esposti i genitori che rifiutano la pratica della mutilazione genitale delle figlie, pur in presenza di elementi utili al riguardo presenti in atti. Difatti il Collegio subalpino si limita a rilevare che le Autorità statali del Mali proibiscono detta pratica, anche richiamando gli articoli del codice penale utili alla punizione di detto atto illecito, ma contemporaneamente lo stesso Collegio opera cenno ad informazioni, tratte da rapporti di Organismi internazionali, che lumeggiano come socialmente sia ancora forte la pressione per costringere i genitori a seguire detta pratica. Dunque esisteva in atti elemento di conforto alle dichiarazioni rese dal richiedente asilo circa il pericolo, cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, in dipendenza delle pressioni sociali a seguire la consuetudine ritenuta ancora obbligatoria. Pertanto il Collegio cisalpino, non già, poteva limitarsi a rilevare come detta pratica fosse illegale ufficialmente, ma aveva l’onere d’assumere adeguate informazioni presso Organismi internazionali, che monitorano il rispetto della citata pratica, per valutare l’attuale sussistenza o no della paventata, da parte del ricorrente, costrizione sociale - Cass. sez., 1 n 29836/19 -. Anche la doglianza afferente la questione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c appare fondata posto che contrariamente alle disposizioni di legge - D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 -, la Corte subalpina circa la fonte dell’informazioni utilizzate per valutare l’attuale situazione socio-politica del Mali, anche nella zona di residenza del richiedente asilo, s’è limitata ad indicare accreditate fonti internazionali senza anche specificare di quali si trattava, di certo diverse dalla citato rapporto del Ministero degli Esteri Italiano inerente alla sicurezza dei viaggiatori,che viene evocato nella sentenza impugnata ad ulteriore conferma dei dati ricavati da dette diverse fonti. Con la seconda ragione di doglianza il K. lamenta la ricorrenza dei plurimi vizi di legittimità, già indicati in relazione alla prima censura, con relazione alla statuizione adottata dalla Corte territoriale circa la sua istanza di protezione umanitaria, posto che non risulta effettuata la prescritta valutazione comparativa tra la sua situazione una volta rientrato nel Mali e la sua attuale condizione in Italia in relazione alle condizioni di vulnerabilità. La questione rimane assorbita ad esito dell’accoglimento del primo motivo, posto che la protezione umanitaria risulta essere istituto residuale,il cui riconoscimento va valutato una volta esclusi gli altri istituiti di protezione internazionale. Con la terza doglianza il K. deduce omesso esame di fatto decisivo e nullità della decisione impugnata per difetto di motivazione circa la sua istanza di riconoscimento dell’asilo ex art. 10 Cost La censura appare priva di pregio giuridico posto che risulta emanata la disciplina legislativa positiva prevista dalla disposizione costituzionale ex art. 10 rappresentata dalla normativa richiamata dallo steso ricorrente a fondamento delle critiche mosse con le precedenti censure. Quindi va accolto il primo motivo di ricorso, va dichiarato assorbito il secondo e rigettato il terzo, e di conseguenza la sentenza impugnata va cassata e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Torino, altra sezione, per il giudizio di rinvio e la disciplina delle spese di lite per questo giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e rigetta il terzo, cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Torino altra sezione, che anche disciplinerà le spese di questo giudizio di legittimità.