Riunione di cause e aumento del compenso dell'avvocato che rappresenta più parti

L’art. 4 del d.m. n. 55/2014, in materia di tariffe forensi, prevede la facoltà non l’obbligo per il giudice di aumentare il compenso, stabilito in relazione al valore di una delle cause autonome riunite, nel caso in cui più parti nella stessa posizione siano difese da un unico avvocato. Dunque, la scelta contraria del giudice non può essere oggetto di ricorso per cassazione.

Così si esprime la Suprema Corte con l’ordinanza n. 17766/20, depositata il 26 agosto. Gli attuali ricorrenti, due avvocati , proponevano richiesta di riconoscimento dell’ equo indennizzo a causa dell’eccessiva durata di un precedente procedimento civile. Una volta ottenuta la liquidazione, siccome ritenuta riduttiva , gli stessi proponevano opposizione dinanzi alla Corte d’Appello, la quale fu respinta. I ricorrenti impugnavano, dunque, il decreto mediante ricorso per cassazione, all’esito del quale la Corte accoglieva uno tra i motivi quello relativo ai criteri di individuazione della durata irragionevole , rigettando gli altri. A seguito di riassunzione del processo, la Corte territoriale riconosceva un adeguato indennizzo a ciascun ricorrente. Nonostante ciò, questi ultimi si rivolgono alla Corte di Cassazione, denunciando, tra i diversi motivi, la violazione delle norme in materia di tariffe forensi , oggetto del d.m. n. 55/2014, avendo i Giudici liquidato le spese di lite per ciascun grado di giudizio in misura inferiore rispetto al minimo tariffario in relazione al valore della lite. Va innanzitutto precisato che nel caso di specie ricorre un’ipotesi di riunione di cause , per cui le singole pretese di ciascun soggetto agente rimangono autonome anche se trattate nell’ambito di un unico procedimento . Ciò posto, i ricorrenti sostengono che la liquidazione per le spese di lite corrisponde all’ammontare complessivo delle somme liquidate ad ognuno di loro, assunto non condiviso dai Giudici di legittimità. Questi ultimi, infatti, osservano come correttamente la Corte territoriale abbia tassato le spese tenendo presente il valore della una sola controversia con il valore più elevato e, non già, operato – come preteso con la censura articolata – una sommatoria del valore delle singole controversie . Ora, considerando che la doglianza dei ricorrenti verte sul fatto che la liquidazione debba essere effettuata utilizzando lo scaglione superiore in dipendenza della sommatoria dei valori delle singole controversie oggetto di unico procedimento, la Corte rileva che in tal caso concreto poteva trovare applicazione l’ art. 4 del d.m. n. 55/2014 , il quale consente al giudice di aumentare il compenso, stabilito per il valore di una delle cause autonome riunite, qualora più parti nella stessa posizione siano difese da un unico avvocato come nel caso concreto . Tuttavia, la norma assegna al giudice solo la facoltà di procedere al suddetto aumento, e non l’obbligo, per cui il suo mancato esercizio come verificatosi nel caso di specie non può essere sindacato in sede di legittimità. Per questo e per altri motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso degli avvocati.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 24 settembre 2019 – 26 agosto 2020, n. 17766 Presidente Petitti – Relatore Gorjan Fatti di causa Gli odierni ricorrenti R.D.T. ebbero a proporre istanza di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di precedente procedimento civile, sia in proprio che quali eredi di altri partecipi al giudizio presupposto. All’esito della liquidazione operata dal Consigliere delegato,ritenendola riduttiva, gli odierni ricorrenti proposero opposizione avanti la Corte d’Appello di Ancona, che fu respinta. Impugnato il decreto con ricorso per cassazione,questa Suprema Corte con ordinanza n. 22975/17 accoglieva il terzo motivo di ricorso - afferente ai criteri di individuazione della durata irragionevole - con rigetto degli altri, sicché la parte privata provvedeva a riassumere il giudizio avanti la Corte dorica. La Corte territoriale provvedeva a decidere la questione rimessa alla sede di rinvio secondo il dictum della Suprema Corte e riconosceva adeguato indennizzo a ciascuno dei ricorrenti,liquidando anche le spese di lite per l’intero procedimento. R.D.T.S. ed altri cinque hanno proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. Il Ministro della Giustizia ritualmente evocato s’è costituito a resistere con controricorso ed ha proposto anche impugnazione incidentale. Ragioni della decisione L’impugnazione principale esposta dai consorti R.D.T. s’appalesa siccome infondata e va rejetta, mentre l’impugnazione incidentale mossa dall’Amministrazione va dichiarata inammissibile. Con il primo mezzo d’impugnazione i consorti R.D.T. denunziano violazione delle norme di cui all’art. 91 c.p.c. e disposizioni in tema di tariffe forensi portate nel D.M. n. 55 del 2014 poiché la Corte dorica ebbe a liquidare le spese di lite per i vari gradi e fasi del giudizio in misura inferiore al minimo tariffario con relazione al valore della lite,che correttamente andava individuato nell’ammontare complessivo delle somme liquidate ai singoli ricorrenti. La doglianza s’appalesa siccome priva di fondamento giuridico in quanto nella specie ricorre ipotesi di riunione di cause, ex artt. 103 e 274 c.p.c., poiché soggetti diversi, ma con pretesa fondata su ragione omologa verso lo stesso Ente - assunto siccome debitore -, hanno ritenuto di proporre le loro rispettive autonome domande in un unico procedimento, stante la connessione per titolo - parti del medesimo procedimento presupposto - ed implicando la decisione soluzione di identiche questioni. Le singole pretese, proprie di ciascun soggetto agente, perciò rimangono autonome anche se trattate in unico procedimento - Cass. sez. 1 n. 15860/14, Cass. sez. 2 n. 7908/01, Cass. sez. 2 n. 3758/99 - ed un tanto anche ai fini della competenza per valore - Cass. sez. 3 n. 3107/17 -. Di conseguenza - Cass. sez. L n. 2000/77, Cass. sez. L n. 5730/82 - la loro trattazione unitaria non ha influenza sulla disciplina delle spese di lite - Cass. sez. 3 n. 5457/14 - in quanto le stesse vanno liquidate in relazione alla singola posizione, poiché ben possono esser differenti le soluzioni adottate in relazione alle singole domande autonome proposte. Dunque correttamente la Corte dorica ha tassato le spese avendo presente il valore della sola controversia con il valore più elevato e, non già, operato - come preteso con la censura articolata - una sommatoria del valore delle singole controversie. Parte impugnante non lamenta che la liquidazione effettuata non sia legittima con relazione allo scaglione di valore utilizzato dalla Corte dorica, bensì che detta liquidazione doveva esser effettuata utilizzando scaglione di valore superiore in dipendenza della sommatoria del valori delle singole controversie azionate nell’unico procedimento. Certo nella specie può trovar applicazione la norma ex D.M. n. 55 del 2014, art. 4 che consente al Giudice di aumentare il compenso, stabilito in relazione al valore di una delle cause autonome riunite quando più parti nella medesima posizione siano difese da unico difensore,come accaduto nella specie. Ma espressamente la norma assegna al Giudice la facoltà di procedere all’aumento stabilito dalla tariffa,sicché il suo mancato esercizio - come nella specie la Corte territoriale ha ritenuto di fare - non può esser sindacato in sede di legittimità. Con la seconda ragione di doglianza - mossa in via condizionata al mancato accoglimento del primo motivo di ricorso - i ricorrenti deducono violazione dell’art. 91 c.p.c. ed L. n. 89 del 2001, art. 5 posto che il Collegio anconetano non ha proceduto a liquidare il compenso per la fase monitoria pur non risultando il decreto impugnato revocato, anzi confermato. La censura non ha fondamento posto che il procedimento ex L. n. 89 del 2001, art. 5 è assimilabile al procedimento per decreto, ma non già è omologo allo stesso posto che - Cass. sez. 2 n. 26851/16 - l’opposizione, non già, dà origine a procedimento diverso bensì rappresenta la prosecuzione dell’unico procedimento in quanto questa può esser proposta anche dal medesimo soggetto che ebbe a richiedere l’emissione del decreto di pagamento. Pertanto non vi può esser una liquidazione specifica per la fase di richiesta del primo provvedimento, emesso inaudita altera parte, in quanto superato dalla svolta opposizione e dal decreto conclusivo, emesso della Corte in sede di rinvio, di aumento della somma originariamente riconosciuta, bensì si procede alla tassazione delle spese afferenti all’unitaria fase di opposizione. Nella specie la Corte dorica ha provveduto ad un tanto e, quindi, non concorre la violazione della norma evocata non mantenendo, una volta proposta opposizione, propria autonome la fase di rilascio dell’originario decreto di pagamento. Con la terza doglianza i consorti R.D.T. lamentano violazione del disposto ex art. 91 c.p.c. poiché il Collegio dorico non provvide a liquidare alcuna somma a titolo di rimborso esborsi sostenuti e documentati. In effetti riguardo agli esborsi sostenuti e documentati dai ricorrenti vincitori in sede di rinvio nel provvedimento impugnato non v’è cenno,ma un tanto appare configurare mero errore materiale della Corte distrettuale - Cass. sez. 5 n. 12004/06 - emendabile non già con il ricorso per cassazione, bensì con la procedura ex artt. 287 e 288 c.p.c. di emenda degli errori materiali. Difatti non può esser postulata situazione di pronunzia implicita al riguardo poiché, stante la natura accessoria alla liquidazione delle spese di lite del rimborso delle spese vive,l’avvenuta condanna dell’Amministrazione al ristoro delle spese di lite in favore dei consorti R.D.T. esclude l’adozione di una qualsiasi statuizione contraria sugli esborsi, bensì lumeggia mera dimenticanza da parte del Giudice. Con l’impugnazione incidentale l’Amministrazione della Giustizia lamenta violazione del disposto ex L. n. 89 del 2001, art. 5 poiché l’opposizione al decreto emesso dal Consigliere delegato proposta tardivamente in quanto il termine di decadenza ha natura sostanziale e non processuale, sicché non va aggiunto, nel suo computo, il periodo feriale. L’impugnazione s’appalesa siccome inammissibile, posto che la questione non risulta esser stata proposta nel precedente giudizio di legittimità - Cass. sez. L n. 25153/17, Cass. sez. 3 n. 11614/98 -. Difatti se anche rilevabile ex officio la questione non è più proponibile o rilevabile in sede di rinvio se non anche sottoposta ritualmente all’esame della Corte di Cassazione nel primo giudizio di legittimità. Attesa la ripulsa d’ambedue le impugnazioni concorrono, ex art. 92 c.p.c., giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso proposto dai consorti R.D.T. , dichiara inammissibile 1 impugnazione incidentale e compensa tra le parti le spese di lite di questo giudizio di legittimità.