In fuga dal padre violento: niente protezione per il giovane straniero

Respinta la richiesta presentata da un uomo originario del Gambia. Lui ha spiegato di essere scappato dal proprio Paese di origine a causa delle violenze psico-fisiche ad opera del padre. Ciò non è sufficiente per accoglierlo in Italia, secondo i Giudici, poiché nella sua patria è possibile una adeguata tutela da parte delle autorità.

In fuga da un padre violento. Per i Giudici, però, le violenze domestiche subite non sono sufficienti per riconoscere protezione al giovane straniero approdato in Italia. A maggior ragione, poi, quando in patria è possibile una tutela adeguata da parte dello Stato. Cassazione, ordinanza n. 14841/20, sezione I Civile, depositata il 10 luglio . A essere preso in esame è il racconto di un giovane originario del Gambia, che sostiene di avere lasciato il proprio Paese perché il padre è un alcolista che picchiava lui e la madre e di avere dovuto subire molte violenze psico-fisiche . Alla fine, era andato via di casa e si era rifugiato a casa di amici , aggiunge, ma la madre gli aveva detto che il padre stava organizzando qualcosa di brutto in suo danno , e così si è deciso a scappare in Italia. Ammette, infine, di non avere chiesto aiuto alle autorità , ma, spiega, perché era inutile . Il racconto fatto dal giovane straniero non convince però né la Commissione territoriale né il Tribunale consequenziale il ‘no’ alla sua richiesta di protezione . In particolare, i Giudici osservano che dal narrato emergeva un conflitto privatistico , mentre non sussisteva una vessazione o repressione violenta . Il legale del cittadino gambiano ritiene illogica la decisione del Tribunale, soprattutto perché non sono state adeguatamente valutate, a suo dire, le condotte subite dal suo cliente, condotte catalogabili come atti di persecuzione basati sul genere , essendo stato egli vittima, da minorenne, di violenze domestiche ad opera del padre . Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, però, il ragionamento seguito in Tribunale è corretto e va condiviso, poiché, innanzitutto, non sono state dedotte situazioni di persecuzione , intesa quale vessazione o repressione violenta implacabile , e poi lo straniero ha ammesso di non essersi mai rivolto alla polizia o al capo del villaggio per chiedere protezione , e ciò significa che non è da escludere che le autorità gli avrebbero potuto fornire adeguata tutela a fronte dei comportamenti del padre. E non a caso a mettere in discussione la solidità del racconto fatto dallo straniero, e ritenuto generico dai Giudici, è anche la constatazione che il giovane non aveva sporto alcuna denuncia alle autorità locali . Impossibile, quindi, secondo la Cassazione , parlare di atti di persecuzione ai danni dello straniero. Su questo fronte i magistrati precisano che se è vero che sono da intendersi atti di persecuzione quelli specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia e gli atti di violenza fisica o psichica , è altrettanto vero che ai fini del riconoscimento della tutela richiesta dallo straniero, sono necessari altri elementi. Più precisamente, è lo stesso legislatore ad affermare che gli atti di persecuzione devono essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e tali da dare origine al fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese d’origine , a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate . Dai magistrati, poi, una ulteriore precisazione in tema di protezione internazionale dello straniero anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti ai fini del riconoscimento della protezione per lo straniero. Però va sempre verificato in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un soggetto non statuale, lo Stato di origine sia in grado di offrire adeguata protezione . Ebbene, in questo caso, i giudici del Tribunale hanno appurato che in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un soggetto non statuale, come il padre dello straniero, lo Stato del Gambia è in grado di offrire al suo cittadino adeguata protezione , vista la situazione di quel Paese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 1 luglio – 10 luglio 2020, numero 14841 Presidente Genovese – Relatore Caradonna Fatti di causa 1. Ja. Ta., nato in omissis , ha proposto ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale competente del 20 agosto 2018, che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e le domande di protezione sussidiaria e umanitaria. 2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il paese nel marzo 2016 perché il padre era un alcolista che picchiava lui e la madre che ha dovuto subire molte violenze psico-fisiche e tra queste il ballo delle scimmie che era andato via di casa e si era rifugiato a casa di amici e che la madre gli aveva detto che il padre stava organizzando qualcosa di brutto in suo danno di non avere chiesto aiuto alle autorità perché era inutile. 3. Il Tribunale ha rigettato il ricorso e ha affermato che dal narrato emergeva un conflitto privatistico e che non sussisteva una vessazione o repressione violenta che non sussistevano ipotesi di danno grave e non si ravvisava nel Paese di provenienza la presenza di un conflitto armato interno da cui potesse conseguire violenza indiscriminata tale da comportare una minaccia individualizzata a danno del ricorrente che non sussistevano, infine, profili di vulnerabilità, né si poteva dire attuato un percorso di integrazione socio-economica riscontrato con la documentazione depositata e, in particolare, che il contratto prodotto aveva una durata assai esigua e comunque era scaduto. 4. Ja. Ta. ricorre in cassazione con un unico motivo. 5. L'Amministrazione intimata ha presentato controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo ed unico motivo Ja. Ta. lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., degli artt. 3 e 7 del decreto legislativo numero 251/2007, nonché difetto di motivazione, in ordine alla mancata valutazione delle condotte subite dal ricorrente quali atti di persecuzione basati sul genere, essendo stato vittima di violenze domestiche da minorenne del padre. 1.1 II motivo è infondato. 1.2 Nel caso concreto, come si evince dalla lettura del provvedimento impugnato, il Tribunale ha ritenuto che, proprio alla stregua del racconto del richiedente, non sussistevano i presupposti della protezione ex art. 7 del decreto legislativo numero 251/2007, poiché non erano state dedotte situazioni di persecuzione intesa quale vessazione o repressione violenta implacabile e ha, altresì, affermato che il ricorrente aveva ammesso di non essersi mai rivolto alla polizia o al capo villaggio per chiedere protezione, sicché non era da escludere che le stesse autorità gli avrebbero fornito adeguata tutela. Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che il racconto del ricorrente era inattendibile e generico, evidenziando specificamente i profili di non credibilità a pag. 2 del provvedimento impugnato, e che il ricorrente non aveva sporto alcuna denuncia alle autorità locali. 1.3 La decisione censurata ha, quindi, valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, le dichiarazioni rese dal ricorrente, ritenendo che le stesse fossero inattendibili e che fossero assenti, nella specie, atti di persecuzione. Orbene se è vero che sono da intendersi atti di persecuzione quelli specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia e gli atti di violenza fisica o psichica, è altrettanto vero che, ai fini del riconoscimento della tutela richiesta, sono necessari altri elementi. Al riguardo, è lo stesso legislatore che depone per un'ulteriore e necessaria connotazione, quando afferma che gli atti di persecuzione devono essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e tali da dare origine al fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate artt. 1, lett. a e 15, paragrafo 2, della CEDU art. 2, comma 2, lett. e , del decreto legislativo numero 251/2007 . Rileva, pure, circostanza questa espressamente esclusa dallo stesso richiedente, come rilevato dal Tribunale, l'impossibilità e/o la non volontà di avvalersi della protezione dello stato di cittadinanza e/o di residenza. Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perché la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal Tribunale e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale , come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di anomalia motivazionale delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, numero 8053 . 1.4 Anche in tema di cooperazione istruttoria, il Tribunale ha correttamente applicato i principi affermati da questa Corte secondo cui, in tema di protezione internazionale dello straniero, in virtù degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell'll maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dall'art. 14, lett. b , del decreto legislativo numero 251 del 2007 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un soggetto non statuale , ai sensi dell'art. 5, lett. c , del decreto citato, lo Stato di origine sia in grado di offrire alla donna adeguata protezione Cass., 17 maggio 2017, numero 12333 . Nel caso in esame, il Tribunale ha verificato in concreto, che, in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un soggetto non statuale , come il padre del ricorrente, lo stato del Gambia è in grado di offrire a quest'ultimo adeguata protezione, avendo approfondito la situazione del paese di provenienza, alle pagine 3 e 4 del provvedimento impugnato, e avendo valorizzato circostanze indicative di una adeguata protezione. Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull'onere della prova in materia di protezione internazionale Cass, 29 ottobre 2018, numero 27336 . Non si può, quindi, dire omessa alcuna attività da parte del giudice di merito, non avendo peraltro il ricorrente indicato il contenuto delle allegazioni da verificare, quand'anche in via ufficiosa. 2. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna Ja. Ta. alla rifusione, in favore del Ministero dell'Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.