Domanda per il permesso di soggiorno infondata: automatica la revoca del patrocinio a spese dello Stato

La revoca dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato è conseguenza automatica, ex art. 74, comma 2, d.p.r. n. 115/2002, della dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda. Tale misura mira ad evitare i costi derivanti dalla proposizione di domande infondate o di iniziative giudiziarie attivate con malafede e colpa grave ed è oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito.

Questo quanto chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 7869/20, depositata il 16 aprile. Il fatto. Un cittadino straniero impugnava il provvedimento con cui l Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva rigettato la sua richiesta volta ad ottenere lo status di rifugiato e il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Tribunale rigettava l’opposizione e la Corte d’appello respingeva l’impugnazione proposta dall’interessato. Avverso la decisione della Corte d’Appello il cittadino straniero ricorre in Cassazione lamentando, tra le altre cose, che è stata erroneamente disposta la revoca dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per effetto della ritenuta infondatezza del gravame da lui proposto, posto che egli non aveva agito con colpa grave. Revoca. La Cassazione, ritenendo infondata la censura, rileva che la revoca è conseguenza automatica ex art. 74, comma 2, d.p.r. n. 115/2002 della dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda. Tale misura mira ad evitare i costi derivanti dalla proposizione di domande infondate o di iniziative giudiziarie attivate con malafede e colpa grave. Il giudizio sulla sussistenza della colpa grave si risolve in un apprezzamento svolto dal giudice di merito e non è censurabile in Cassazione. Precisa la Corte che la revoca del sopradetto beneficio non si pone in contrasto né con l’art. 3 Cost. perché non è irragionevole trattare situazioni differenziate in maniera diversa e neppure con l’art. 24 Cost. perché il diniego dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non si traduce automaticamente in una limitazione del diritto di azione e difesa dell’interessato. Chiarito questo, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 gennaio – 16 aprile 2020, n. 7869 Presidente San Giorgio – Relatore Oliva Fatti di causa Con ricorso depositato il 5.8.2016 C.B. , cittadino della omissis , impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dalla Guinea a causa di uno scontro tribale tra le etnie e occasionato da una lite avvenuta ad un distributore di benzina. Si costituiva il Ministero dell’Interno resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto. Con ordinanza dell’8.6.2017 il Tribunale di Potenza rigettava l’opposizione ritenendo che il richiedente non avesse fornito elementi gravi, precisi e concordanti a sostegno dell’esistenza di fenomeni di persecuzione a suo danno, o comunque di una situazione di incertezza e violenza diffusa in Guinea tale da giustificare la concessione di una misura di protezione. Avverso tale decisione interponeva appello l’odierno ricorrente, riproponendo le medesime richieste proposte in prime cure. Il Ministero dell’Interno si costituiva in seconde cure per resistere al gravame. La Corte di Appello di Potenza, con la sentenza oggi impugnata, n. 359/2018, respingeva l’impugnazione. Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto C.B. affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione alla pubblica udienza. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perché la Corte di Appello avrebbe respinto il gravame senza esaminare la domanda di protezione umanitaria formulata in subordine dal richiedente. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perché la Corte lucana avrebbe dovuto ravvisare i presupposti di vulnerabilità richiesti dall’ordinamento. La prima censura è infondata. Risulta invero dall’esame della sentenza impugnata cfr. pagg. 10 e ss. che la Corte di Appello ha specificamente affrontato la domanda di riconoscimento della tutela umanitaria, rigettandola per insussistenza dei relativi presupposti di vulnerabilità richiesti dalla legge. Non si configura pertanto alcun profilo di omesso esame della predetta istanza. Le ulteriori deduzioni contenute nel primo e nel secondo motivo, con le quali il ricorrente contesta la valutazione di non credibilità della sua storia e sostiene la sussistenza dei presupposti di vulnerabilità previsti dalla legge per la concessione della tutela umanitaria, sono inammissibili in quanto si risolvono nella sollecitazione di una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790 . Peraltro con le predette censure il C. non attinge in modo specifico il punto della decisione impugnata, invero essenziale, in cui la Corte potentina evidenzia che il ricorrente aveva fornito, innanzi la Commissione territoriale e negli atti difensivi prodotti in sede giudiziaria, una storia diversa pag. 3 della sentenza , ritenendo di conseguenza poco credibile la sua narrazione. Sul punto, va ribadito che quando il richiedente la protezione riferisca, nelle varie occasioni in cui viene ascoltato o comunque si esplica il suo diritto al contraddittorio, un racconto diverso e non coerente laddove la differenza non verta su un elemento secondario della storia cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 , finisce per essere minata la sua stessa attendibilità e, di conseguenza, i fatti narrati non possono essere ritenuti veritieri alla stregua della disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e . Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 13 e 136, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente disposto la revoca dell’ammissione del C. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per effetto della ritenuta infondatezza del gravame dallo stesso proposto. Il C. assume, in particolare, di non aver agito con colpa grave e che, pertanto, non sussistesse alcun motivo per disporre la revoca del beneficio al quale egli era stato ammesso. La censura è infondata. La revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato costituisce conseguenza automatica, prevista per legge cfr. del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 , della dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda. Trattasi di misura evidentemente ispirata ad evitare che i costi derivanti dalla proposizione di domande evidentemente infondate, ovvero di iniziative giudiziarie attivate con malafede e colpa grave, ricadano sulla collettività. Il giudizio sulla sussistenza della colpa grave si risolve in un apprezzamento di fatto, non utilmente censurabile in Cassazione, che viene svolto direttamente dal giudice di merito investito della cognizione della causa. Nè si ravvisano, nella normativa in esame, profili di contrasto con i principi posti dagli artt. 3 e 24 Cost. quanto al primo, perché non sussiste alcun trattamento irragionevole di situazioni differenziate, essendo - al contrario - del tutto ragionevole che la situazione di colui che, essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in via provvisoria, abbia agito o resistito in giudizio con colpa grave o malafede, o abbia proposto domande palesemente infondate, non meriti identico trattamento rispetto alla condizione del soggetto che, nella identica condizione soggettiva, si sia invece comportato con buona fede e senza colpa, ed abbia proposto una domanda non manifestamente infondata. D’altro canto, neppure sussistono profili di contrasto con l’art. 24 Cost., giacché il diniego dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non si traduce necessariamente ed in via automatica in una limitazione del diritto di azione e difesa dell’interessato. Inoltre, occorre considerare che l’ammissione viene sempre disposta in via provvisoria, onde appare ulteriormente ragionevole che, in sede di verifica finale, si faccia luogo alla revoca del beneficio in tutti i casi in cui la sua anticipata concessione si riveli non giustificata in ragione, alternativamente o cumulativamente, dell’atteggiamento soggettivo dell’interessato ovvero dell’oggettiva manifesta infondatezza della domanda da esso proposta. In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato. Poiché il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, salvo revoca del beneficio. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso.