Povertà, poco lavoro e salari bassi: elementi che non bastano per accogliere lo straniero

Respinta definitivamente la richiesta di protezione presentata da un cittadino del Bangladesh. Irrilevante il richiamo alle violenze perpetrate in quel Paese, poiché esse sono circoscritte allo scontro politico e gli abusi di potere sono perpetrati nei confronti di oppositori o gruppi sociali antagonisti o non riconosciuti degni di cittadinanza. Non decisiva neanche la sottolineatura della povertà vissuta in patria, e attestata da scarse opportunità di lavoro e da salari bassi.

Scontri politici violenti e abusi di potere non sono sufficienti per concedere accoglienza allo straniero extracomunitario. E questa valutazione non può essere messa in discussione neanche dal richiamo alla povertà vissuta nel Paese di origine Cassazione, ordinanza n. 2680/20, sez. I Civile, depositata il 5 febbraio . Fuga. Protagonista della vicenda è un giovane cittadino del Bangladesh, che, fuggito dal proprio Paese, ha fatto prima tappa in Libia e poi è approdato in Italia, dove ora vive, lavorando come venditore ambulante. Suo obiettivo è ottenere protezione” dallo Stato italiano, ma questa prospettiva viene negata prima dalla ‘Commissione territoriale’ e poi dai giudici del Tribunale. L’uomo ha raccontato di essere espatriato per sovvenire alle esigenze economiche della sua famiglia alla morte del padre, avvenuta nel 2009, nella sua qualità di membro anziano della famiglia” e di avere ottenuto alcuni prestiti per poter affrontare il viaggio e le necessità legate all’espatrio”, recandosi prima in Libia e poi in Italia quando la situazione del Paese nord-africano era precitata nella guerra civile”. Ora gli lavora in Italia come venditore ambulante” e spiega di non poter tornare nel Paese di origine perché non potrebbe restituire i prestiti ricevuti e verrebbe perseguitato e probabilmente ucciso dai suoi creditori”. Per i Giudici, però, i dettagli della storia non fanno emergere situazioni di rischio né gravi lesioni dei diritti fondamentali dell’uomo nell’ipotesi di rientro in Bangladesh, comparabili con la situazione personale vissuta in Italia e valutabili ai fini della concessione di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie”. Dignità. A cancellare ogni speranza per l’uomo originario del Bangladesh provvede ora la Cassazione, confermando la decisione presa dal Tribunale. Per i Giudici, difatti, non è stato accertato alcun riferimento alla situazione personale dello straniero tale da poterla collegarla significativamente alle criticità del Paese di provenienza”. Tale dato è decisivo poiché la domanda di protezione non può prescindere da una prospettazione della situazione personale che renda percepibile e plausibile una condizione di rischio grave o di vulnerabilità ricollegabile alla situazione del Paese di provenienza”. Possibile una eccezione solo se risulti esistente in patria una situazione di violenza indiscriminata così diffusa da costituire un grave rischio per qualsiasi civile che si trovi a vivere o soggiornare in loco”. Ma, aggiungono i giudici, non è il caso del Bangladesh”, poiché, come testimoniato anche dal ‘rapporto Amnesty’ del 2017, in quella nazione non vi è una una situazione di conflitto armato né una situazione di violenza indiscriminata di alta intensità” e la violenza descritta nel rapporto deriva ed è circoscritta allo scontro politico, e gli abusi del potere sono perpetrati nei confronti di oppositori o gruppi sociali antagonisti o non riconosciuti degni di cittadinanza”. In sostanza, la vicenda narrata dallo straniero non ha a che fare con una esposizione al rischio” né pone in evidenza una condizione di vulnerabilità”. Per chiudere il cerchio, infine, viene anche affrontato il capitolo riguardante la condizione di povertà” che si vive in Bangladesh. Ebbene, il riferimento alla vicenda personale dello straniero non consente di ritenere che la sua situazione personale si differenzi da quella che condividono larghe fasce di popolazione” e quindi non può affermarsi una privazione della dignità personale derivante dalla scarsità delle opportunità di lavoro o dai livelli salariali o dalle opportunità di guadagno proprie delle piccole attività economiche”.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 settembre 2019 – 5 febbraio 2020, n. 2680 Presidente/Relatore Bisogni Rilevato che 1. Il sig. Ma. Md Lo., cittadino del Bangladesh, nato il 1.1.1988, ha proposto domanda di riconoscimento della protezione internazionale in una delle forme previste dal nostro ordinamento deducendo di aver deciso di espatriare per sovvenire alle esigenze economiche della sua famiglia alla morte del padre, avvenuta nel 2009, nella sua qualità di membro anziano della famiglia. Ottenuto dei prestiti per poter affrontare il viaggio e le necessità legate all'espatrio si era recato in Libia da dove aveva deciso di muovere verso l'Italia quando era la situazione del paese nord-africano era precitata nella guerra civile. In Italia lavora come venditore ambulante e non può tornare nel suo paese perché non potrebbe restituire i prestiti ricevuti e verrebbe perseguitato e probabilmente ucciso dai suoi creditori. 2. La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e delle altre forme di protezione previste dall'ordinamento. 3. Il sig. Ma. Md Lo., ha proposto ricorso al Tribunale di Roma che con decreto n. 9215/2018 lo ha respinto rilevando che dalla stessa prospettazione del richiedente asilo deve escludersi non solo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ma anche di quelli richiesti per la concessione della protezione sussidiaria e umanitaria non avendo il sig. Ma. Md Lo. prospettato situazioni di rischio riconducibili alle ipotesi contemplate dall'art. 14 del D.Lgs. n. 251/2007 né gravi lesioni dei suoi diritti fondamentali nell'ipotesi di rientro in Bangladesh, comparabili con la situazione personale vissuta in Italia e valutabili ai fini della concessione di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. 4. Ricorre per cassazione il sig. Ma. Md Lo., con i seguenti motivi a mancato rispetto della previsione di cui all'art. 35 bis comma 8 e seguenti che rende obbligatoria l'audizione del ricorrente in assenza della disponibilità della videoregistrazione b omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente c violazione o falsa applicazione dell'art. 14 del D.Lgs. n. 251/2007 per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente ha diritto in ragione delle condizioni socio-politiche del paese di origine d erronea non applicazione degli artt. 5 c.6 e dell'art. 19 del D.Lgs. n. 286/1998 che prevedono rispettivamente il rilascio del permesso di soggiorno allo straniero quando ricorrono seri motivi di carattere umanitario e il divieto di espulsione dello straniero che corra gravi rischi di essere perseguitato nel suo paese di origine e la violazione del principio di non refoulement. 5. Propone controricorso il Ministero dell'Interno. Ritenuto che 6. Il primo motivo di ricorso è infondato perché come questa Corte ha ripetutamente affermato di recente, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all'autorità giudiziaria, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all'obbligo del giudice di fissare udienza, non consegue automaticamente l'obbligo di procedere all'audizione del richiedente, ove ci si trovi in presenza di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata Cass. civ. sez. I n. 3029 del 31 gennaio 2019, n. 5973 del 28 febbraio 2019 e Cass. civ. sez. VI-1 n. 2817 del 31 gennaio 2019 , valutazione quest'ultima di competenza del giudice del merito. 7. Il secondo motivo è infondato perché il Tribunale ha riportato le dichiarazioni del ricorrente e le ha valutate esaurientemente. 8. Il terzo e quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, presentano profili di inammissibilità e sono, in ogni caso, infondati perché con essi il ricorrente contesta in particolare il mancato accoglimento della domanda di protezione sussidiaria e umanitaria e accenna alla violazione del principio di non refoulement senza tuttavia compiere quello sforzo di allegazione e di dimostrazione che rende rilevante e pertinente il richiamo alle norme e alla giurisprudenza che definiscono il contenuto e i presupposti per le due forme della protezione richiesta. Non vi è infatti nella prospettazione e illustrazione dei due motivi alcun riferimento alla situazione personale del ricorrente tale da poterla collegarla significativamente alle criticità del paese di provenienza. Sia per ciò che concerne la protezione sussidiaria, ex art. 14 del D.Lgs. n. 251/2007, che per ciò che concerne la protezione umanitaria, ex art. 5 comma 6 del D.Lgs. n. 286/1998, la domanda del ricorrente non può prescindere da una prospettazione della situazione personale che renda percepibile e plausibile una condizione di rischio grave o di vulnerabilità ricollegabile alla situazione del paese di provenienza. Come lo stesso ricorrente rileva, citando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, una eccezione a tale principio può ritenersi ammissibile solo se risulti esistente nel paese di origine una situazione di violenza indiscriminata così diffusa da costituire un grave rischio per qualsiasi civile che si trovi a vivere o soggiornare in loco. A giudizio del Tribunale non è questo il caso del Bangladesh. Lo stesso riferimento al rapporto Amnesty del 2017 ampiamente riportato nel ricorso per cassazione non fa che confermare come non vi sia una situazione di conflitto armato nel paese né una situazione di violenza indiscriminata di alta intensità. La violenza descritta nel rapporto deriva ed è circoscritta allo scontro politico e gli abusi del potere sono perpetrati nei confronti di oppositori o gruppi sociali antagonisti o non riconosciuti degni di cittadinanza. Correttamente quindi il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente non avesse a che fare con l'esposizione al rischio contemplato dall'art. 14 né che integrasse comunque una condizione di vulnerabilità. Anche con riguardo alle deduzioni circa la condizione di povertà del Bangladesh il riferimento alla vicenda personale non consente di ritenere, secondo la valutazione del Tribunale, che la situazione personale del sig. Ma. Md Lo. si differenzi da quella che condividono larghe fasce di popolazione bangladese senza che possa affermarsi una privazione de ila dignità personale derivante dalla scarsità delle opportunità di lavoro o dai livelli salariali o dalle opportunità di guadagno proprie delle piccole attività economiche. Si tratta anche in questo caso di una valutazione di merito che si giustifica proprio con la genericità dell'esposizione del ricorrente non solo quanto alla pregressa situazione vissuta in Bangladesh ma anche quanto alle potenzialità di integrazione e di miglioramento di tale condizione nel paese di accoglienza. 9. Il quinto motivo è anch'esso infondato perché il principio di non refoulement opera non come una clausola generale integrativa di una forma a sé di protezione ma come fattore ostativo idoneo a paralizzare i provvedimenti di espulsione e la loro attuazione. 10. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese processuali e presa d'atto in dispositivo della applicabilità dell'art. 13 del D.P.R. N. 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.200, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, ove dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.