Protezione internazionale: per l’accertamento della causa ostativa rileva anche la pena prevista in patria

In tema di protezione internazionale, ai fini della sussistenza della causa ostativa alla protezione sussidiaria o umanitaria rappresentata dalla commissione da parte del richiedente di un delitto comune, il giudice di merito deve tenere conto anche del tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1033/20, depositata il 17 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Cagliari respingeva il ricorso di un cittadino del Mali che aveva presentato richiesta di protezione internazionale. Venivano altresì esclusi i presupposti per la protezione complementare umanitaria, in considerazione della causa ostativa di cui agli artt. 10, comma 2, lett. b e art. 16, comma 1, lett. b , d.lgs. n. 251/2007 come modificato dal d.lgs. n. 18/2014 a pronuncia viene impugnata con ricorso per cassazione dolendosi sostanzialmente per la mancanza di idonea istruttoria circa le conseguenze di un suo eventuale rientro in patria. Causa ostativa. Richiamando la giurisprudenza, il Collegio ricorda che il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non può essere concesso a chi abbia commesso un reato grave al di fuori del territorio nazionale. La medesima soluzione, per identità di ratio , deve essere riconosciuta in caso di richiesta di protezione per motivi umanitari. Tale causa ostativa deve essere accertata alla data della decisione e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice ma, sottolinea la pronuncia in commento, per affermare la sussistenza della predetta causa ostativa è necessario l’accertamento dell’avvenuta commissione di un reato fuori del territorio italiano, da qualificare come grave, utilizzando come parametro nella relativa valutazione la pena edittale prevista dalla legge italiana per quel medesimo illecito . Pur non essendo necessaria una condanna passata in giudicato è comunque sufficiente che la commissione del reato emerga in modo non equivoco dagli atti, tenendo anche in riferimento il trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine. In conclusione la Corte cristallizza il principio di diritto secondo cui in tema di protezione internazionale, ai fini della affermazione della sussistenza della causa ostativa ex art. 10, comma 2, lett. b e 16, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 251/2007 alla protezione sussidiaria o umanitaria rappresentata dalla commissione da parte del richiedente di un delitto comune nella specie omicidio di un parente il giudice del merito deve fra l’altro tenere conto anche del tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente – anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui all’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008 – in quanto il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel Paese di provenienza o anche il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese può avere rilevanza per l’eventuale riconoscimento sia della protezione sussidiaria in base al combinato disposto dell’art. 2, lett. g, d.lgs. n. 251/2007 con l’art. 14, lett. a e b dello stesso d.lgs. sia, in subordine, per la protezione umanitaria, in base all’art. 3 CEDU e all’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 . Il ricorso viene dunque accolto e la causa rinviata alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 14 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1033 Presidente Manna – Relatore Tria Rilevato che 1. la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 22 gennaio 2018, respinge il ricorso proposto da S.A. , cittadino del , avverso l’ordinanza del locale Tribunale che ha respinto il ricorso del richiedente avverso provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare umanitaria 2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che a la domanda di concessione dello status di rifugiato non può essere accolta perché il richiedente si duole del relativo mancato riconoscimento, ma non indica nè dimostra la sussistenza dei correlati presupposti, deducendo una qualche forma di persecuzione tra quelle indicate dalla normativa in materia b neppure può essere concessa la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c , per la principale ragione che il richiedente ha dichiarato di avere ucciso un cugino per futili motivi questioni relative alla proprietà di terreni , sicché, nell’esercizio degli ampi poteri istruttori riconosciuti al giudice del merito nelle presenti controversie, si deve ritenere che la commissione del suddetto reato costituisca di per sé una ragione ostativa alla concessione della richiesta misura di protezione del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 16 c ne consegue che, anche se con diversa motivazione, la decisione di rigetto del primo giudice va confermata d infine, va rilevato che il profilo di gravame riguardante il mancato rilascio della protezione umanitaria, al limite dell’ammissibilità, non contiene la deduzione di alcuna specifica situazione di personale vulnerabilità sotto il profilo economico, sanitario, familiare o politico e pertanto il provvedimento impugnato va confermato anche su questo punto 3. il ricorso di S.A. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi il Ministero dell’Interno resta intimato. Considerato che 1. il ricorso è articolato in quattro motivi 1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, comma 1, lett. b e di altre disposizioni normative, rilevandosi che la Corte d’appello dopo aver ritenuto credibili le dichiarazioni del ricorrente in merito alla commissione di un omicidio nei confronti di un cugino, non ha poi accertato se in Mali l’interessato corra, per questo, il rischio di essere condannato a morte o sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, quindi, se ricorrano nei suoi confronti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b 1.2. con il secondo motivo si denunciano a in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 b in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti per l’omissione totale di ogni accertamento sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 14, lett. c , cit. conflitto armato interno , onde effettuare il richiesto bilanciamento fra gli interessi in gioco 1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e di altre disposizioni normative, per il mancato accertamento relativo al rischio che il richiedente potrebbe correre rientrando in patria con riguardo all’esercizio dei diritti fondamentali risultanti da obblighi internazionali o costituzionali per essere immesso in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione di tali diritti fondamentali 1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, contestandosi la disposta condanna del richiedente alle spese giudiziali in favore del convenuto vittorioso ma contumace 2. l’esame del ricorso porta all’accoglimento dei primi tre motivi, nei limiti che verranno indicati, e all’assorbimento del quarto motivo 3. in tutti e tre i primi motivi di ricorso - da esaminare, insieme, perché intimamente congiunti - il ricorrente contesta, sotto diversi profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la mancata effettuazione di idonea istruttoria delle conseguenze cui il ricorrente sarebbe esposto rientrando in Patria a causa del commesso omicidio di un cugino per questioni relative alla proprietà di terreni di famiglia 4. tale censura va accolta, per le ragioni di seguito esposte 5. in base alla giurisprudenza di questa Corte - nota anche al ricorrente il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non può essere concesso, rispettivamente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b e art. 16, comma 1, lett. b , nel testo modificato del D.Lgs. n. 18 del 2014, art. 1, comma 1, n. 1, lett. h e l , qui applicabile ratione temporis a chi abbia commesso un reato grave al di fuori dal territorio nazionale, anche se con un dichiarato obiettivo politico, così come, per identità di ratio, non può essere riconosciuta la protezione per motivi umanitari 6. la suddetta causa ostativa, in quanto condizione dell’azione, deve essere accertata alla data della decisione e, involgendo la mancanza dell’elemento costitutivo previsto dalla suddetta legge, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in appello Cass. 22 febbraio 2019, n. 5358 Cass. 30 ottobre 2018, n. 27504 Cass. 6 giugno 2017, n. 14028 7. ma per affermare la sussistenza della predetta causa ostativa è necessario l’accertamento dell’avvenuta commissione di un reato fuori del territorio italiano, da qualificare come grave, utilizzando come parametro nella relativa valutazione la pena edittale prevista dalla legge italiana per quel medesimo illecito 8. al riguardo il giudice del merito non può sottrarsi alla delibazione della fondatezza dell’addebito criminoso, pur non essendo certamente necessaria la sussistenza di una condanna passata in giudicato, ma essendo sufficiente che la commissione del reato emerga in modo non equivoco dagli atti anche per effetto dichiarazioni auto-accusatorie cioè provenienti dallo stesso ricorrente, quali quelle avutesi nella specie e considerate credibili dalla Corte d’appello Cass. 23 ottobre 2017, n. 25073 9. inoltre, ai fini dell’affermazione della sussistenza dell’anzidetta condizione ostativa si deve anche tenere conto del tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente 10. infatti, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g , la protezione sussidiaria questa viene riconosciuta al cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e l’art. 14 dello stesso D.Lgs., stabilisce che devono considerarsi danni gravi a la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte b la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine c la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale 11. ne consegue che - anche nell’ipotesi della commissione di un reato comune, come l’omicidio di cui si tratta - il giudice del merito, se considera credibile la confessione del richiedente, non può limitarsi ad affermare che la commissione del suddetto reato costituisce di per sé una ragione ostativa alla concessione della richiesta protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 16 - come risulta nella sentenza impugnata - ma avvalendosi dei propri poteri officiosi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve richiedere alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo nonché al Ministero degli Affari esteri informazioni precise sulla repressione dei reati di diritto comune nel Paese di origine del ricorrente nella specie Mali e sull’uso della tortura e/o di trattamenti inumani o degradanti e sulla eventuale previsione della pena capitale vedi, per tutte Cass. 12 febbraio 2015, n. 2830 12. il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel Paese di provenienza, o anche il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese, non può essere ignorato dal Giudice nazionale ex plurimis Cass. 20 settembre 2013, n. 21667 , in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari proprio all’art. 3 della Convenzione, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dal citato art. 3, deriva l’impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti e il motivo invocato per l’espulsione ex multis Corte EDU sent. 28/2/2008, ric. n. 37021 del 2006 24 marzo 2009, ric. n. 2638 del 2007 24/3/2009, ric. n. 38128 del 2006 24/3/2009, ric. n. 46792 del 2006 24/3/2009, ric. n. 11549 del 2005 24/3/2009, ric. n. 16201 del 2007 24/3/2009, ric. n. 37257 del 2006 24/3/2009, ric. n. 44006 del 2006 5/5/2009, ric. n. 12584 del 2008 24/2/2009, ric. n. 246 del 2007 27/3/2010, ric. n. 9961 del 2010 c. Italia, 19/6/2012, ric. n. 38435 del 2010, richiamate da Cass. 22 febbraio 2019, n. 5358 13. di conseguenza, nella specie, la Corte d’appello, laddove non si raggiunga la prova della sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria, dovrà valutare se dalle circostanze prospettate dal ricorrente e dalle informazioni assunte circa il trattamento sanzionatorio dell’omicidio confessato emerga almeno una situazione meritevole della protezione umanitaria 14. la protezione umanitaria, quale prevista dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 qui applicabile ratione temporis Cass. SU 13 novembre 2019, n. 29460 è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità Cass. SU 11 dicembre 2018, n. 32044 Cass. 9 ottobre 2017, n. 23604 . 15. il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nell’anzidetta configurazione, sono tutti accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale del richiedente derivanti dal rischio di rientrare, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455 16. in sintesi i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti in quanto la Corte territoriale ha affermato d’ufficio che l’omicidio di un cugino per ragioni ereditarie confessato dal richiedente rappresenta una causa ostativa al riconoscimento della richiesta protezione senza assumere informazioni precise sulla repressione del suddetto reato di diritto comune nel Mali e sull’uso della tortura e/o di trattamenti inumani o degradanti e sulla eventuale previsione della pena capitale vedi, per tutte Cass. 12 febbraio 2015, n. 2830 e quindi senza considerare che in caso di commissione di un reato comune il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel Paese di provenienza, o anche solo il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese, non può essere ignorato dal Giudice nazionale, sia ai fini della protezione sussidiaria, sia in subordine per la protezione umanitaria 17. nella descritta situazione, la Corte d’appello avrebbe quindi dovuto dare conto in motivazione delle prove e dei documenti acquisiti in atti per suffragare la propria decisione e delle ragioni per cui ha ritenuto di non avvalersi dei propri poteri di accertamento d’ufficio, in merito alla suddetta questione 18. all’accoglimento dei primi tre motivi consegue l’assorbimento del quarto motivo 19. di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti e nella parte indicata, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione attenendosi nell’ulteriore esame del merito della controversia a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente in tema di protezione internazionale, ai fini della affermazione della sussistenza della causa ostativa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 10, comma 2, lett. b e art. 16, comma 1, lett. b, alla protezione sussidiaria o umanitaria rappresentata dalla commissione da parte del richiedente di un delitto comune nella specie omicidio di un parente il giudice del merito deve fra l’altro tenere conto anche del tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente - anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 - in quanto il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel Paese di provenienza o anche il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese, può avere rilevanza per l’eventuale riconoscimento sia della protezione sussidiaria in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g, con l’art. 14, lett. a e b dello stesso D.Lgs. sia, in subordine, per la protezione umanitaria, in base all’art. 3 CEDU e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 . P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, nei limiti di cui in motivazione dichiara assorbito il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione.