Sulla notifica eseguita all’avvocato volontariamente cancellatosi dall’albo

La notificazione dell’atto d’appello eseguita con consegna al difensore domiciliatario, cancellatosi volontariamente dall’albo nelle more del decorso del termine di impugnazione e prima della notifica stessa, è nulla poiché indirizzata ad un soggetto che non è più abilitato a riceverla. Suddetta nullità, se non sanata, comporta anche la nullità della sentenza d’appello, ma non anche il passaggio in giudicato della decisione di prime cure, in quanto, ai sensi dell’art. 301, comma 1, c.p.c. si include la volontaria cancellazione dall’albo tra le cause di interruzione del processo.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 30192/19, depositata il 20 novembre, chiamata ad intervenire in un giudizio in cui si chiedeva l’accertamento della nullità di un atto di vendita immobiliare con patto di riscatto. In particolare, con il ricorso in esame, i ricorrenti deducono nullità della sentenza e del procedimento poiché la Corte d’Appello, nel rigettare l’eccezione di omessa estinzione del giudizio, aveva ritenuto che la volontaria cancellazione dall’albo professionale del procuratore costituito, l’avvocato dei ricorrenti, non comportasse l’applicazione dell’art. 301 c.p.c Ed inoltre, sempre la Corte di Appello aveva ritenuto che la notificazione al difensore cancellato dell’ordinanza che aveva disposto il tentativo di conciliazione era valida ed efficace, poiché questi manteneva la capacità di ricevere gli atti processuali. Pertanto, i ricorrenti deducono la nullità di tutti gli atti successivi alla cancellazione del difensore. Avvocato cancellato dall’albo e notificazione. Sul punto, è corretto richiamare il principio giurisprudenziale secondo cui, la notifica dell’atto d’appello eseguita con consegna al difensore domiciliatario, cancellatosi volontariamente dall’albo nelle more del decorso del termine di impugnazione e prima della notifica stessa, è nulla poiché indirizzata ad un soggetto che non è più abilitato a riceverla. Suddetta nullità, se non sanata dalla costituzione spontanea dell’appellato o mediante la procedura di cui all’art. 291, comma 1, c.p.c. comporta anche la nullità della sentenza e del procedimento d’appello, ma non anche il passaggio in giudicato della decisione di prime cure, in quanto, ai sensi dell’art. 301, comma 1, c.p.c. include la volontaria cancellazione dall’albo tra le cause di interruzione del processo, con la conseguenza che il termine per impugnare non riprende a decorrere fino al relativo suo venir meno o fino alla sostituzione del difensore. Pur tenendo conto di tale principio, nel caso in esame non sembra ravvedersi la sussistenza della fattispecie del sopra richiamato art. 301 c.p.c., poiché si desume che il difensore dichiarò in udienza, in primo grado, di aver rinunciato al mandato per aver assunto funzioni di giudice onorario aggregato senza però dichiarare l’avvenuta cancellazione dall’albo degli avvocati. E la rinuncia al mandato non implica di per sé la pregressa cancellazione dall’albo che presuppone un provvedimento del COA competente. Sulla base di tali ragioni esposte, infondata è dunque la doglianza relativa all’invalidità della notificazione al difensore, poiché non vi sono i presupposti per affermare che la notificazione fu eseguita ad un difensore privo dello ius postulandi .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 settembre – 20 novembre 2019, n. 30192 Presidente Tirelli – Relatore Caiazzo Rilevato che M.G. convenne innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto C.L. chiedendo l’accertamento della nullità di un atto di vendita immobiliare con patto di riscatto, stipulato con il convenuto, al prezzo di Lire 3.000.000, esponendo che tale cessione, che dissimulava un mutuo ipotecario, era stata conclusa in violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., ovvero, in subordine, chiese la rescissione o l’annullamento del contratto per lesione ultra dimidium. Interrotto il giudizio per morte del convenuto e riassunto dagli eredi del M. , nelle more deceduto, con sentenza dell’11.2.09 il Tribunale accolse la domanda principale, dichiarando la nullità del suddetto contratto di compravendita per violazione del divieto di patto commissorio. Proponevano appello i vari C. , eredi del convenuto si costituirono gli eredi del M. , chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con sentenza del 20.6.2013, la Corte d’appello di Messina rigettò l’appello, osservando che come motivato dal Tribunale, il mutuo elargito da Co.Lu. a M.G. e la successiva compravendita con patto di riscatto intervenuta con C.L. , erano tra loro collegati, come emerso da alcuni elementi quali l’intestazione a C.L. di cambiali emesse a garanzia del prestito di Lire 3.000.000 e la corrispondenza tra tale somma e il prezzo convenuto le testimonianze rese in ordine alla causa di garanzia che informò la suddetta cessione tale collegamento evidenziava che lo scopo della vendita era stato quello di fornire una garanzia più pregnante, rispetto alle cambiali, al credito originario per mutuo facente a capo a C.L. tale interpretazione degli atti non era contrastata dall’avvenuto pagamento delle cambiali al momento della stipula della vendita immobiliare, atteso che il M. restava debitore di lire 3.000.000, obbligazione garantita da un bene immobile tale vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, presentava comunque una causa illecita, avendo costituito un mezzo per eludere il divieto di cui all’art. 2744 c.c. con conseguente invalidità a norma degli artt. 1343 e 1418 c.c. L. , S. e C.V. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria. Non si sono costituiti gli intimati. I.M. , S. e M.C. , quali eredi di M.G. e Ma.As. , hanno depositato memoria, pervenuta in cancelleria il 17.9.19. Il P.M. ha depositato relazione, chiedendo l’accoglimento dei primi due motivi, assorbito il terzo. Ritenuto che Con il primo motivo è denunziata violazione degli artt. 301, 305 e 307 c.p.c., deducendo la nullità della sentenza e del procedimento in quanto la Corte d’appello, nel rigettare l’eccezione di omessa estinzione del giudizio, aveva erroneamente ritenuto che la volontaria cancellazione dall’albo professionale per l’assunzione dell’incarico di g.o.a. del procuratore costituito dei C. , avv. Rosario La Rosa, non comportasse l’applicazione dell’art. 301 c.p.c. Con il secondo motivo è denunziata violazione degli artt. 82 e 170 c.p.c., deducendo la nullità della sentenza e del procedimento, in quanto la Corte d’appello aveva ritenuto che, anche a sostenere che il difensore dei C. si fosse già cancellato dall’albo, la notificazione al medesimo dell’ordinanza che aveva disposto il tentativo di conciliazione era valida ed efficace, poiché il difensore cancellatosi manteneva la capacità di ricevere gli atti processuali della controparte e dell’ufficio. Pertanto, il ricorrente deduceva la nullità di tutti gli atti successivi alla cancellazione del difensore. Con il terzo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c., non avendo la Corte d’appello tenuto conto del fatto che, ai fini della configurazione di una vendita con scopo di garanzia impropria, era necessaria una preesistente o coeva obbligazione del venditore nei confronti dell’acquirente. Preliminarmente, va rilevato che la memoria presentata da I.M. , S. e M.C. , quali eredi di M.G. Ma.As. , intimati non costituiti, è tardiva poiché pervenuta in cancelleria il 17.9.2019, in violazione dell’art. 380bis c.p.c. I primi due motivi - esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi - sono infondati, sebbene sia da correggere la motivazione adottata dalla Corte d’appello, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 4. Occorre muovere dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 3702/17 che hanno affermato il principio La notifica dell’atto di appello eseguita mediante sua consegna al difensore domiciliatario, volontariamente cancellatosi dall’albo nelle more del decorso del termine di impugnazione e prima della notifica medesima, è nulla, giacché indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, siccome ormai privo di ius postulandi, tanto nel lato attivo che in quello passivo. Tale nullità, ove non sanata, retroattivamente, dalla costituzione spontanea dell’appellato o mediante il meccanismo di cui all’art. 291 c.p.c., comma 1, determina, altresì, la nullità del procedimento e della sentenza di appello, ma non anche il passaggio in giudicato della decisione di primo grado, giacché un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 301 c.p.c., comma 1, porta ad includere la cancellazione volontaria suddetta tra le cause di interruzione del processo, con la conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al relativo suo venir meno o fino alla sostituzione del menzionato difensore . Tale sentenza - successiva a quella impugnata - risolvendo un contrasto di giurisprudenza all’interno di questa Corte, ha ribaltato un diverso orientamento fatto proprio da Cass., n. 12261/09, richiamata nella sentenza impugnata secondo cui la volontaria cancellazione dall’albo professionale del procuratore costituito non dà luogo all’applicazione dell’art. 301 c.p.c., comma 1, e non determina, pertanto, l’interruzione del processo, in quanto, mentre le ipotesi ivi previste la morte, la sospensione o la radiazione dall’albo sono accomunate dal fatto di non dipendere, almeno in via diretta, dalla volontà del professionista o del cliente, la volontaria cancellazione è assimilabile alle ipotesi indicate nel comma 3 del medesimo articolo la revoca della procura o la rinuncia ad essa . Premesso ciò, nel caso concreto, pur tenendo conto del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, dall’esame degli atti non si evince la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 301 c.p.c., comma 1. Anzitutto, va osservato che dalla stessa sentenza della Corte d’appello si desume che l’avv. Mandanici, per delega dell’avv. Antonino La Rosa, difensore dei C. , dichiarò in udienza, nel corso del giudizio di primo grado, di aver rinunziato al mandato per aver assunto le funzioni di giudice onorario aggregato, senza però dichiarare l’avvenuta cancellazione dall’albo degli avvocati. Ora, la rinunzia al mandato non implica, di per sé, la certa pregressa cancellazione dall’albo che presuppone un provvedimento del Consiglio dell’ordine forense competente. Al riguardo, a norma del R.D. n. 1578 del 1933, art. 37, comma 1 ss., la cancellazione dagli albi degli avvocati e dei procuratori - prevista anche per i casi d’incompatibilità - è pronunziata dal Direttorio del Sindacato ora Consiglio dell’ordine , di ufficio o su richiesta del pubblico ministero. Parte ricorrente sostiene però che nel caso di specie la cancellazione sarebbe stata una conseguenza automatica dell’assunzione delle funzioni di GOA ed il provvedimento del Consiglio meramente dichiarativo. Si tratta, tuttavia, soltanto di un’interpretazione che seppure autorevolmente recepita, non può bastare a fondare l’affermazione di un obbligo di riassunzione, che presuppone la certezza dell’evento. Parte ricorrente sostiene altresì che nel verbale d’udienza era stato comunque detto che il difensore si era cancellato, circostanza, questa, che risultava anche da una lettura dell’avvocato ai suoi assistiti. Il motivo è sul punto inammissibile per genericità, in quanto non riporta nè il contenuto del verbale, nè quello della lettera, di cui non è neppure specificata la collocazione. Parimenti infondata è la doglianza afferente all’invalidità della notificazione al medesimo difensore dei C. dell’ordinanza che aveva disposto il tentativo di conciliazione in quanto, per le motivazioni sopra esposte, non sussistono i presupposti per affermare che la notificazione di tale ordinanza fu eseguita ad un difensore privo dello jus postulandi. Il terzo motivo è, invece, inammissibile tendendo al riesame dei fatti afferenti all’interpretazione che la Corte territoriale ha fornito sulla violazione del divieto di patto commissorio, considerando altresì che il ricorrente, in sostanza, non censura un’erronea ricognizione della fattispecie astratta, bensì un’erronea valutazione degli elementi probatori della suddetta violazione. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 1700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.