Operatività del principio del ne bis in idem in tema di procedure esecutive

Nei casi in cui il processo esecutivo non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché non sia stato coltivato, per inerzia dell’ufficio e/o delle parti, per estinzione, abbandono oppure per qualunque altro motivo che non implichi una valutazione del giudice sulla consumazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata, non vi è alcuna preclusione per il creditore a procedere nuovamente in executivis .

È il principio affermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 29347/19, depositata il 13 novembre. La pronuncia origina dalla promozione dell’esecuzione forzata proposta sulla base di una sentenza definitiva di condanna all’arretramento di un fabbricato di proprietà del debitore, il quale ha proposto opposizione, sostenendo l’improcedibilità dell’esecuzione. Il Tribunale di Lecce ha accolto l’opposizione, decisione confermata poi anche in sede di appello per violazione del principio del ne bis in idem . Il creditore ha impugnato la decisione in Cassazione. Procedura esecutiva e ne bis in idem. Ripercorrendo la vicenda, la Corte evidenzia come già diversi anni addietro il creditore aveva posto in esecuzione la sentenza di condanna. Il giudice dell’esecuzione aveva disposto le modalità di attuazione dell’obbligo di fare nominando un tecnico per la redazione di un progetto esecutivo e l’adempimento degli oneri amministrativi e materiali necessari. Il tecnico aveva però segnalato che le opere necessarie per l’arretramento presentavano difficoltà esecutive ed auspicava un accordo bonario tra le parti. Non essendo pervenute le parti a tale soluzione bonaria, il creditore ha nuovamente proposto ricorso al giudice dell’esecuzione per l’esecuzione dell’obbligo di fare senza contestare le modalità già precedentemente indicate. Sulla base di tale premessa, la Corte rileva che la decisione impugnata ha erroneamente fatto leva sul principio del ne bis in idem , in quanto l’obbligo di fare di cui si discute non era stato attuato in alcun modo. L’originaria ordinanza del giudice dell’esecuzione non può infatti essere considerata come provvedimento attuativo dell’obbligo di fare. Richiamando la sentenza n. 23182/14, la Corte ribadisce il principio secondo cui, laddove il procedimento di esecuzione di un obbligo di fare sia dichiarato chiuso per l’avvenuta completa e positiva attuazione da parte dell’ufficiale giudiziario, in conformità con le modalità determinate dal giudice dell’esecuzione e senza che il creditore abbia tempestivamente proposto impugnazione, questo non avrà più la possibilità di chiedere nuovamente l’attuazione del medesimo obbligo. Diversamente, laddove l’obbligo non sia stato eseguito, per la mancata conclusione del procedimento, tale principio non trova applicazione il creditore ha quindi diritto di procedere nuovamente per l’attuazione dell’obbligo consacrato nel titolo esecutivo rimasto inattuato e non espressamente dichiarato inattuabile. Irretrattabilità dei risultati. In conclusione, afferma la Suprema Corte che il processo esecutivo definito può dar luogo alla c.d. irretrattabilità dei risultati con conseguente applicabilità del ne bis in idem solo nel caso in cui esso si sia concluso con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione secondo la conformazione data in sede esecutiva. Trattandosi di espropriazione, è quindi necessaria l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito. Nell’ipotesi di obblighi di fare, invece, si richiede l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo secondo le modalità concrete disposte dal giudice dell’esecuzione mentre in caso di obblighi di consegna o di rilascio, la concreta consegna o rilascio della cosa dovuta. Laddove il procedimento esecutivo non abbia tale esito, può ipotizzarsi un’estensione del principio del ne bis in idem nel caso in cui il giudice dell’esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore, abbia dichiarato ineseguibile l’obbligo oppure lo abbia ritenuto già completamente eseguito. Infine, nei casi in cui il processo esecutivo non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché non sia stato coltivato, per inerzia dell’ufficio e/o delle parti, per estinzione, abbandono oppure per qualunque altro motivo che non implichi una valutazione del giudice sulla consumazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata, non vi è alcuna preclusione per il creditore a procedere nuovamente in executivis . Non avendo il giudice di merito applicato tale principio e non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto, la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rigetta l’opposizione proposta dal debitore.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 13 settembre – 13 novembre 2019, n. 29347 Presidente De Stefano – Relatore Tatangelo Fatti di causa G.A. , sulla base di un titolo giudiziale contenente la condanna ad un obbligo di fare arretramento di un fabbricato , ha promosso l’esecuzione forzata nei confronti di T. Sergio. Quest’ultimo ha proposto opposizione, sostenendo l’improcedibilità dell’esecuzione. L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Lecce. La Corte di Appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre il G. , sulla base di due motivi. Resiste con controricorso T.S. . Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Non può prendersi in considerazione la memoria inviata dal ricorrente a mezzo del servizio postale cfr., in proposito, ex multis Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018, Rv. 648717-01 Sez. 2, Sentenza n. 7704 del 19/04/2016, Rv. 639477-01 Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011, Rv. 616374-01 e, di conseguenza, le argomentazioni in essa contenute. 2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia Violazione e falsa applicazione degli artt. 612, 613, 614 e 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2931 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 . Con il secondo motivo si denunzia Violazione e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c. e art. 2931 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 - Omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti all’art. 360 c.p.c., n. 5 - Motivazione contraddittoria, illogica e carente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 . I due motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono fondati. G.A. ha posto in esecuzione, nel 1999, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., una sentenza definitiva di condanna contenente l’ordine di arretramento di un fabbricato di proprietà di T.S. . Il giudice dell’esecuzione ha disposto le modalità di attuazione dell’obbligo di fare, nominando un tecnico che avrebbe dovuto redigere il progetto esecutivo e porre in essere gli adempimenti amministrativi e materiali necessari per l’esecuzione delle opere idonee ad attuare il titolo. Il tecnico ha depositato una relazione in cui, pur avendo in buona parte svolto il mandato ricevuto, ha al tempo stesso fatto presente che le opere necessarie all’arretramento presentavano alcune difficoltà esecutive, auspicando un accordo bonario tra le parti. Non si è peraltro proceduto all’esecuzione materiale dei lavori, anche perché le parti avevano dato corso a trattative per un bonario componimento della controversia che non hanno evidentemente avuto buon fine . Dopo circa 8 anni, nel 2010, G. ha proposto un ricorso al giudice dell’esecuzione, con il quale ha chiesto l’attuazione dell’obbligo di fare, senza contestare le modalità già indicate dal giudice all’esito dell’attività svolta nella originaria procedura, ma semplicemente chiedendo, in sostanza, che le stesse venissero concretamente poste in essere. Il T. ha proposto una opposizione, che è stata accolta dal tribunale per violazione del principio del ne bis in idem, decisione che la corte di appello, qualificata la domanda in termini di opposizione all’esecuzione, ha confermato. Orbene, va in primo luogo chiarito che non ha alcun fondamento, nella situazione di specie, il richiamo al cd. principio del ne bis in idem, in quanto l’obbligo di fare di cui si discute non è stato in alcun modo attuato, anzi è, al contrario, pacifico che non lo sia stato affatto. È del resto appena il caso di osservare che, per ritenere attuato un obbligo di fare, non basta che siano indicate le modalità attuative necessarie, se esse non vengano poi concretamente poste in essere. D’altra parte, l’originaria ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva indicato le modalità attuative dell’obbligo di fare provvedimento che la stessa corte di appello ha correttamente escluso che possa avere il valore di una sentenza non potrebbe certamente essere considerata come un provvedimento di per sé attuativo dell’obbligo di fare essendo a tal fine necessaria una attività materiale e tanto meno potrebbe essere interpretata, in modo del tutto illogico e contrario al suo senso effettivo, come se avesse affermato che l’obbligo in questione non fosse attuabile o fosse stato già compiutamente attuato il che sarebbe assolutamente contrario non solo alla realtà oggettiva dei fatti, come pacificamente emergenti dagli atti di causa e come ricostruiti dagli stessi giudici del merito, ma allo stesso senso letterale, oltre che logico, del provvedimento . In proposito è opportuno precisare che risulta del tutto travisato dalla corte territoriale il senso del precedente di questa Corte, richiamato nella stessa sentenza impugnata Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23182 del 31/10/2014, Rv. 633236-01 , in cui si afferma il principio per cui nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell’ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all’ordinanza del giudice dell’esecuzione, sempreché il verbale e l’ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo . In tale precedente la Corte ha affermato il principio per cui, laddove il procedimento di esecuzione di un obbligo di fare sia dichiarato chiuso per l’avvenuta completa e positiva attuazione dell’obbligo stesso da parte dell’ufficiale giudiziario, in conformità all’ordinanza determinativa delle relative modalità emessa dal giudice dell’esecuzione, senza che il creditore procedente abbia tempestivamente impugnato l’ordinanza stessa ovvero il verbale di chiusura delle operazioni, non sarà possibile per quest’ultimo chiedere nuovamente l’attuazione dell’obbligo stesso ed altrettanto potrebbe probabilmente affermarsi per l’ipotesi in cui l’obbligo non fosse attuato sulla base di un provvedimento, non impugnato, del giudice dell’esecuzione che dichiari espressamente che non sussiste il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata ovvero che dichiari l’obbligo stesso del tutto insuscettibile di esecuzione forzata . Al contrario, laddove l’obbligo posto in esecuzione non sia affatto eseguito, perché il procedimento non si sia di fatto concluso, a causa dell’inerzia dell’ufficio e/o delle parti, e ciò anche a prescindere da una espressa sua dichiarazione di estinzione, quel principio non potrà venire in alcun modo in gioco. In siffatta ipotesi, l’esecuzione iniziata e non conclusa sarebbe da ritenere ormai processualmente definita per abbandono, rinuncia, improcedibilità, ma comunque senza l’effettivo conseguimento del risultato dell’attuazione dell’obbligo posto in esecuzione e, quindi, con la conseguente inefficacia di tutti gli atti posti in essere e, d’altra parte, se anche non fosse possibile ritenerla definita, essa dovrebbe ritenersi ancora pendente, con conseguente persistente validità degli atti compiuti tertium non datur . In entrambi i casi, il creditore ha certamente il diritto di procedere per ottenere l’attuazione dell’obbligo consacrato nel titolo esecutivo che non sia stato attuato nè sia stato espressamente dichiarato non attuabile. Nel primo caso cioè laddove il primo procedimento esecutivo sia stato abbandonato, si sia estinto o sia comunque divenuto improcedibile , il creditore avrà la possibilità di chiedere nuovamente la fissazione delle modalità esecutive dell’obbligo, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., senza alcun vincolo derivante da una eventuale precedente ordinanza che abbia già determinato tali modalità, in quanto tale ordinanza avrebbe perso ogni effetto. Anche nel secondo caso cioè laddove il primo procedimento esecutivo non possa ritenersi abbandonato, estinto o comunque divenuto improcedibile e quindi debba ritenersi ancora pendente il creditore potrà certamente chiedere nuovamente al giudice dell’esecuzione di fissare le modalità di attuazione dell’obbligo di fare, in quanto in tal modo egli, nella sostanza, non fa altro che chiedere la prosecuzione del procedimento ancora pendente di conseguenza, il giudice dell’esecuzione potrà dare impulso all’attuazione esclusivamente in base alle modalità già fissate in precedenza salvo sempre il potere di procedere a successive modificazioni, ai sensi dell’art. 613 c.p.c., ove insorgessero difficoltà materiali . Nella specie, peraltro, non ha alcun rilievo stabilire quale delle due fattispecie si sia verificata, dal momento che il creditore G. non ha affatto richiesto che fossero modificate le modalità attuative disposte dal giudice dell’esecuzione nel corso del primo procedimento esecutivo avviato nel 1999, ma solo che esse fossero concretamente e materialmente poste in essere. Quindi la sua richiesta, sia che la si intenda come istanza di fissazione della modalità attuative dell’obbligo di fare, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., nell’ambito di un nuovo procedimento esecutivo per essersi ormai estinto il primo , sia che la si intenda come richiesta di esecuzione materiale delle modalità attuative già fissate in precedenza dal giudice dell’esecuzione per essere quel procedimento ancora pendente , certamente avrebbe dovuto avere corso. Di certo non può affermarsi che egli abbia perso il suo diritto di procedere ad esecuzione forzata per l’attuazione del titolo esecutivo recante la condanna all’obbligo di fare. Va quindi enunciato il seguente principio di diritto il processo esecutivo definito può dar luogo alla cd. irretrattabilità dei suoi risultati e, di conseguenza, all’applicazione del cd. principio del ne bis in idem esclusivamente laddove esso si sia concluso con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione, secondo la conformazione ad esso data in sede esecutiva quindi trattandosi di espropriazione, con l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito trattandosi di obblighi di fare, con l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo, secondo le modalità concrete disposte dal giudice dell’esecuzione trattandosi di obblighi di consegna o rilascio, con la consegna o il rilascio della cosa dovuta. Nelle ipotesi in cui il procedimento esecutivo non abbia tale esito, può al più ipotizzarsi una estensione del cd. principio del ne bis in idem, laddove il giudice dell’esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, abbia in qualche modo dichiarato l’obbligo non eseguibile oppure lo abbia ritenuto già completamente eseguito nell’espropriazione ciò potrà avvenire, ad esempio, in caso di liquidazione del credito posto in esecuzione in modo difforme dalla pretesa del creditore e/o di assegnazione dichiarata satisfattiva benché inferiore all’importo oggetto di intimazione altrettanto potrà avvenire, nell’esecuzione diretta, per il caso della espressa dichiarazione di impossibilità di attuazione o della espressa dichiarazione di avvenuta completa attuazione in concreto dell’obbligo di fare . Laddove invece il processo esecutivo - come nella specie non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché esso non venga coltivato, per inerzia dell’ufficio e/o delle parti, per abbandono, per estinzione o comunque per qualunque motivo che non implichi una valutazione del giudice dell’esecuzione relativa alla consumazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata per avvenuta sua attuazione o per sua radicale mancanza , non vi è alcuna preclusione per il creditore salva la prescrizione, laddove effettivamente configurabile a procedere ancora in executivis. In definitiva, il ricorso è fondato la decisione impugnata non è conforme ai principi fin qui esposti e, di conseguenza, va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile la decisione della causa nel merito, con il rigetto dell’opposizione avanzata dal T. . 2. Il ricorso è accolto, la sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, l’opposizione del T. è rigettata. Per le spese del giudizio si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte - accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta dal T. - condanna il controricorrente T. a pagare le spese dell’intero giudizio in favore del ricorrente G. , liquidandole a per il primo grado, in complessivi Euro 1.300,00, nonché spese generali ed accessori di legge b per il secondo grado, in complessivi Euro 4.500,00, nonché spese generali ed accessori di legge c per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.