L’ambito cognitivo del giudice di appello e le questioni non oggetto di specifico motivo di gravame

Il giudice può fondare la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante ma solo quando le dette ragioni sono in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi di impugnazione.

Così la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con sentenza n. 26804/19, depositata il 21 ottobre. Il caso. Un avvocato chiedeva ed otteneva dal Tribunale competente ingiunzione di pagamento per euro 3.500,21, quale corrispettivo per prestazioni professionali di avvocato svolte in un giudizio a favore del proprio cliente. Contro il decreto proponeva opposizione il debitore, deducendo che il credito era stato liquidato in misura elevata ed eccependo anche di aver pagato al professionista, tramite la consegna di tre assegni, euro 2.400,00. Il tribunale, allo stato degli atti, accertava il credito del professionista nella minore somma, revocava così il decreto ingiuntivo e condannava il debitore-cliente al versamento in favore dell’avvocato-creditore di una differenza pari a poco più di euro 150,00. Al fine di giustificare l'imputazione, il tribunale riconosceva che sulle matrici degli assegni compariva l'annotazione che si riferiva alla causale su cui si fondava la pretesa monitoria del legale, aggiungendo che il primo dei tre assegni era stato emesso in epoca successiva alla richiesta di pagamento formulata proprio dal professionista e per gli onorari poi pretesi con il ricorso monitorio. Contro la detta pronuncia proponeva appello l'avvocato, censurando la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva confermato l'imputazione proposta dall'opponente ed evidenziando che un'altra sentenza tra le stesse parti aveva accertato che i tre assegni erano stati emessi per il pagamento del corrispettivo riferito a tutt'altra controversia. La decisione della Corte territoriale. A questo punto, la Corte di Appello, da un lato, rilevava che il riferimento alla diversa sentenza -menzionata dal legale non provava le condizioni della diversa imputazione, essendo la controversia pendente in grado di appello. Ma nello stesso tempo negava -a discapito del cliente che ci fosse la prova che i tre assegni furono imputati al pagamento della pretesa oggetto della richiesta avanzata dal professionista e poi fatta valere con l'ingiunzione. Secondo la Corte, infatti, non erano a tal fine sufficienti le matrici degli assegni, che erano documenti formati pur sempre dall'emittente. Ed inoltre, si doveva considerare che non c'era corrispondenza degli importi. In conclusione, secondo la Corte di appello poiché il debitore non aveva fornito la prova di aver adempiuto alla propria obbligazione, l'opposizione a decreto ingiuntivo andava rigettata e, per l’effetto, condannato l'opponente anche al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Inevitabile era il deposito del ricorso per la cassazione della detta sentenza da parte del cliente-debitore, il quale denunciava alla Suprema Corte, prima di ogni altro motivo, la nullità della sentenza, atteso che la Corte di appello -nonostante il circoscritto oggetto del gravame relativo solo alla parte in cui il primo giudice aveva riconosciuto che il pagamento eccepito dall'opponente fosse imputabile al credito oggetto di ingiunzione aveva ampliato il thema decidendum del giudizio, mettendo in discussione addirittura la riduzione del credito originario circostanza non contestata dall'appellante , e decidendo di conseguenza secondo un modus operando che, in verità, le era vietato. La pronuncia della Suprema Corte ed il principio del tantum devolutum quantum appellatum. Gli Ermellini liquidano in poche parole la motivazione circa il rigetto degli altri motivi di gravame del ricorso, risultati infondati, mentre approfondiscono la questione afferente ai limiti della pronuncia nel giudizio di appello. La Suprema Corte, infatti, evidenzia che dalla lettura degli atti è evincibile che il primo giudice -prima di riconoscere che il pagamento dei tre titoli era stato imputato al debito dedotto in giudizio aveva ridotto il debito stesso rispetto alla misura per cui era stato chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. L'appellante risultava aver censurato la decisione di primo grado solo relativamente all’imputazione di pagamento mentre non aveva attaccato la riduzione del credito rispetto a quello oggetto di ingiunzione. Quindi secondo la Suprema Corte, la Corte di appello, nel rigettare l'opposizione interamente, è andata ben oltre le questioni oggetto di specifico motivo di gravame, così violando il principio del tantum devolutum quantum appellatum , espressione latina con la quale si indica il principio di diritto che delimita l’ambito cognitivo del giudice di appello, in relazione ai capi della sentenza specificamente contestato nell’atto di impugnazione. Inoltre, la Suprema Corte precisa anche di aver appurato che l’ampliamento del thema decidendum operato dal giudice dell’appello non risulta neppure giustificato da alcuna connessione fra le diverse questioni, non esistendo tra le stesse alcun rapporto di diretto collegamento. Infatti, se è vero -come lo è che il giudice dell’appello può fondare la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, è altrettanto certo che ciò può accadere solo quando le dette ragioni sono in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi di impugnazione. E tanto perché, solo in quel caso, quelle ragioni si ritengono comprese nel thema decidendum . Vieppiù che nel caso di specie -concludono gli Ermellini l'appello sulla imputazione del pagamento ben poteva essere accolto senza che ciò comportasse il riconoscimento del credito nella misura originaria. Per tali motivi la decisione della Suprema Corte è stata nel senso di cassare la sentenza in relazione al primo motivo, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello competente. Disponendo che sia quest’ultima a determinare il quantum, in aderenza ai motivi di impugnazione contro la sentenza di primo grado, nonché le spese dello stesso giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 giugno – 21 ottobre 2019, n. 26804 Presidente San Giorgio – Relatore Tedesco Ritenuto che L’avv. B.R. ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Grosseto, nei confronti di C.F. , ingiunzione di pagamento della somma di Euro 3.500,21, quale corrispettivo per prestazioni professionali di avvocato svolte nella causa contro C.S. e la Sai Ass.ni S.p.A Contro il decreto il C. ha proposto opposizione, deducendo che il credito era stato liquidato in misura elevata ed eccependo di avere pagato al professionista, tramite tre assegni, l’importo di Euro 2.400,00. Il tribunale accertava il credito del professionista nella minore somma di Euro 2.575,80, imputando ad esso il pagamento eccepito dell’opponente. Revocava pertanto il decreto ingiuntivo, condannando il cliente al pagamento della differenza, pari a Euro 175,50. Al fine di giustificare l’imputazione il tribunale riconosceva che sulle matrici degli assegni compariva l’annotazione che essi si riferivano alla causale su cui si fondava la pretesa monitoria, aggiungendo che il primo dei tre assegni era stato emesso in epoca successiva alla richiesta di pagamento formulata dal professionista degli onorari poi pretesi con il ricorso monitorio lettera del 9 gennaio 2007 . Contro la sentenza proponeva appello il B. , censurando la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva confermato l’imputazione proposta dall’opponente. Egli evidenziava che altra sentenza del Tribunale di Grosseto fra le stesse parti la sentenza n. 70/10 aveva accertato che i tre assegni erano stati emessi per il pagamento del corrispettivo riferito ad altra controversia. La Corte d’appello di Firenze rilevava che il riferimento alla diversa sentenza del Tribunale di Grosseto, operato dal professionista, non provava le condizioni della diversa imputazione, essendo la controversia pendente in grado d’appello. Nello stesso tempo negava che ci fosse la prova che i tre assegni furono imputati dal C. al pagamento della pretesa oggetto della richiesta avanzata dal professionista con la lettera del 9 gennaio 2007 e poi fatta valere con l’ingiunzione. Secondo la corte non erano a tal fine sufficienti le matrici degli assegni, che erano documenti formati dall’emittente, dovendosi inoltre considerare che non c’era corrispondenza degli importi. Il debitore, pertanto, non aveva fornito la prova di avere adempiuto alla propria obbligazione. La corte, quindi, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo e condannava l’opponente al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Per la cassazione della sentenza C.F. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi. Il B. è rimasto intimato. Considerato che Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c Il tribunale aveva riconosciuto a credito dell’ingiungente una somma minore rispetto a quella ingiunta, per poi accogliere, rispetto alla minore somma, l’eccezione di pagamento proposta dall’opponente. In appello il professionista aveva censurato la decisione solo nella parte in cui il primo giudice aveva riconosciuto che il pagamento eccepito dall’opponente fosse imputabile al credito oggetto di ingiunzione, senza mettere in discussione la riduzione del credito originario. La corte d’appello, nonostante il circoscritto oggetto dell’appello, ha rigettato in toto l’opposizione, così riconoscendo dovuta la somma originariamente ingiunta. A sua volta tale errore aveva comportato la ingiusta condanna dell’opponente, parzialmente vittorioso, al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Il secondo motivo denuncia omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 . La sentenza è oggetto di censura per non avere la corte d’appello considerato una pluralità di elementi che deponevano univocamente nel senso che il pagamento eseguito con i tre assegni non poteva avere altra imputazione se non quella fatta propria dal primo giudice, non potendo essere riferito ad altre pratiche. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1193 c.c., comma 2, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . La corte d’appello ha negato l’imputazione al debito oggetto di lite in una situazione in cui non c’erano i presupposti per l’operatività dei criteri suppletivi di cui alla norma citata. In particolare non c’era prova della esigibilità del credito per la pratica Controversia sinistro stradale in Ungheria . Il quarto motivo denuncia violazione degli art. 91 e 92 c.p.c È oggetto di censura la condanna al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, in presenza di una oggettiva situazione di soccombenza reciproca sulla misura del credito. Il primo motivo è fondato. Risulta dalla lettura degli atti di causa, consentita alla Corte in considerazione della natura processuale della violazione dedotta error in procedendo , che il primo giudice, prima di riconoscere che il pagamento dei tre titoli era stato imputato al debito dedotto in giudizio, aveva ridotto il debito stesso rispetto alla misura per cui era stato chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo. L’appellante aveva censurato la decisione di primo grado solo relativamente all’imputazione di pagamento, mentre non aveva attaccato la riduzione del credito rispetto a quello oggetto di ingiunzione. Quindi la corte d’appello, nel rigettare l’opposizione interamente, ha violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum, in assenza di qualsiasi connessione fra le diverse questioni. L’appello sulla imputazione del pagamento ben poteva essere accolto senza che ciò comportasse il riconoscimento del credito nella misura originaria. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Il tribunale ha accolto l’eccezione di pagamento perché ha riconosciuto che il debitore, nell’effettuarlo, avesse dichiarato quale debito intendeva soddisfare. La corte d’appello è andata in contrario avviso e ha negato che gli elementi valorizzati dal primo giudice consentissero di ravvisare l’esistenza di una imputazione volontaria. Secondo il ricorrente la corretta ricostruzione della vicenda avrebbe dovuto indurre la corte di merito a riconoscere che quei pagamenti non avrebbero potuto avere altra imputazione se non quella riferita al debito oggetto di lite, essendo stati già in precedenza estinti i crediti del professionista per le altre pratiche. In particolare il ricorrente nega l’esistenza del credito professionale per la pratica Controversia sinistro stradale del OMISSIS . Il ricorrente richiama il principio secondo cui la esistenza di un atto di imputazione da parte del debitore, tale da precludere il ricorso ai criteri suppletivi dell’art. 1193 cpv. c.c., può desumersi, oltre che da una dichiarazione espressa, anche da fatti concludenti o elementi presuntivi Cass. n. 1347/1978 . Il principio è esatto, solo che il richiamo non tiene conto del fatto che la corte non ha negato in linea teorica che l’imputazione potrebbe risultare anche da fatti concludenti, ma ha negato che vi fosse stata imputazione da parte del debitore. In riferimento a tale giudizio, costituente un apprezzamento in fatto, il ricorrente propone una ricostruzione logica che avrebbe dovuto indurre la corte a decidere diversamente, senza tuttavia indicare uno o più fatti, dedotti dinanzi al giudice d’appello e da questo non considerati, idonei a giustificare una decisione diversa Cass., S.U., n. 8053/2014 . Nè il ricorrente potrebbe invocare a suo favore l’applicazione del principio secondo cui qualora il convenuto, cui sia stato richiesto il pagamento di un debito, provi di avere corrisposto una somma idonea all’estinzione del debito stesso, incombe all’attore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso da quello dedotto in giudizio, l’onere di allegare e provare l’esistenza di tale suo credito, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione Cass. n. 19527/2012 . Ed invero tale principio non può trovare applicazione nel caso in cui, come è quello in esame, il debitore eccepisca l’estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell’emissione di più assegni bancari, atteso che, implicando tale emissione la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il precedente debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto del pagamento degli assegni Cass. n. 3008/2012 n. 3194/2016 . La corte di merito ha riconosciuto, con appezzamento in fatto incensurabile in questa sede, che il debitore non ha fornito tale prova. Assorbito il quarto motivo. La sentenza è cassata in relazione al primo motivo con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze perché determini il quantum in aderenza ai motivi di impugnazione contro la sentenza di primo grado e liquidi le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo rigetta il secondo e il terzo dichiara assorbito il quarto cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze anche per le spese.