Condanna per lite temeraria se si fa causa a chi non è legittimato passivo

La liquidazione del danno da responsabilità per lite temeraria, postula la prova, gravante sulla parte che chiede il risarcimento, sia dell'an che del quantum debeatur, eziologicamente parametrato sulla durata del procedimento inutilmente intrapreso. Ciò posto viola l’art. 96, comma 1, c.p.c. chi instaura un giudizio, e consapevolmente lo continua, nonostante il rilievo della carenza di legittimazione passiva effettuato prontamente dalla parte convenuta in sede processuale, a nulla rilevando, sotto il profilo degli obblighi di buona fede e solidarietà sociale, il comportamento silente dalla stessa tenuto nella fase extraprocessuale della lite.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23341/19 depositata il 19 settembre. La vicenda processuale. I tradentes una caparra confirmatoria pecuniaria, interessati alla conclusione di un rapporto locatizio immobiliare, consegnavano un assegno all’agente immobiliare nell’interesse del proprietario senza tuttavia indicare sul titolo il nominativo del beneficiario. Incassato l’assegno e incamerata la somma dall’effettivo percipiens , ex post vergato sul titolo, l’affare non andava a buon fine. I tradentes agivano in giudizio per la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria. Tuttavia sia in primo che in secondo grado i tradentes risultavano non solo soccombenti, ma anche condannati al pagamento di Euro 1.000,00 per lite temeraria ex art. 96, comma 1, c.p.c Le ragioni della loro soccombenza risiedevano nell’aver convenuto in giudizio un soggetto carente di legittimazione passiva, perché diverso da quello che effettivamente aveva incassato l’assegno. La lite temeraria era dovuta nel non aver i tradentes verificato il soggetto titolare dell’immobile all’epoca della traditio della caparra al mediatore immobiliare. Ricorrono dunque per cassazione. I motivi del ricorso. Il motivo del ricorso attiene essenzialmente nel non aver considerato la Corte d’Appello il comportamento silente della controparte prima del giudizio, nonostante l’invito alla restituzione dell’importo portato dall’assegno per poi eccepire, in via di costituzione, la propria carenza di legittimazione passiva. Da qui, secondo la prospettiva dei tradentes , discenderebbe la violazione dei principi solidarietà sociale ex artt. 2 e 47, Cost., in ragione proprio del comportamento tenuto dalla convenuta appellata nel nella fase stragiudiziale della controversia d’altra parte anche l’art. 96, comma 1, c.p.c. sarebbe stato violato che, quale illecito extracontrattuale, non può prescindere da una condanna fondata su una prova certa in punto sia di an che di quantum . Il danno cagionato dal c.d. illecito processuale. La Corte di Cassazione bolla il ricorso sia per inammissibilità che per infondatezza dei motivi ivi addotti. Gli Ermellini argomentano, innanzi tutto, che la lite temeraria ex art. 96, comma 1, c.p.c. disciplina una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal c.d. illecito processuale. L’archetipo di tale illecito è sicuramente aquiliano verte sull’impulso della parte danneggiata che deve assolvere all’onere di allegare almeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, anche se equitativa, del danno che assume patito. La temerarietà, nel bilanciamento degli interessi in gioco tra le parti contendenti, è ravvisabile tutte le volte in cui si ha non solo coscienza dell’infondatezza della lite intrapresa, ma anche quando vi è difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta coscienza. Il danno aquiliano, secondo questa prospettiva, è dato dal pregiudizio eziologicamente determinato causa – effetto dall’instaurazione del processo. Il comportamento silente tenuto dalla controparte nella fase stragiudiziale, non alcun peso per la Suprema Corte, perché è onere di chi instaura il processo verificare il titolare passivo della pretesa che si agita come dovuta non solo nel caso di specie i tradentes , di fronte alla pronta eccezione processuale di carenza di legittimazione passiva, non hanno desistito, ma hanno consapevolmente continuato il giudizio inutilmente intrapreso. Neanche gli obblighi di buona fede e di solidarietà sociale sono stati pretermessi perché proprio la condotta silente extraprocessuale della controparte doveva allertare i tradentes che si sarebbero dovuti attivare per verificare se in concreto vi fossero le condizioni di agire nei confronti della parte convenuta ingiustamente in giudizio. Concludendo, anche in punto di quantum la motivazione della Corte d’Appello è scevra di errori perché la condanna si basa sulla negligente condotta processuale tenuta dai tradentes. Anche l’importo risarcitorio, di Euro 1.000,00, è equo perché liquidato dal giudice in relazione alla durata del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 5 luglio – 19 settembre 2019, n. 23341 Presidente Armano – Relatore Fiecconi Rilevato che 1. Con ricorso notificato l’8 gennaio 2018 M.M. e M.C. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 3009/2017, depositata il 24/07/2017 dalla Corte d’appello di Milano, concernente il punto della condanna al risarcimento di Euro 2000,00 per lite temeraria ex art. 96 col, c.p.c., disposta in relazione a una controversia instaurata dai ricorrenti nei confronti della società S.B.GESTIONE IMMOBILIARE s.r.l. per ottenere in restituzione una caparra confirmatoria di una locazione immobiliare, pari a Euro 1350,00, versata il 26/04/2011 mediante assegno sottoscritto senza indicazione del beneficiario e consegnato a un agente immobiliare nell’interesse del proprietario, risultato diverso da quello convenuto in giudizio. Il ricorso è affidato a un motivo variamente articolato e la società convenuta ha resistito con controricorso notificato. 2. I ricorrenti hanno convenuto in giudizio la società qui intimata per ottenere la restituzione della caparra versata per l’affitto dell’immobile il Tribunale di Varese adito rilevava che la società convenuta era carente di legittimazione passiva, in quanto avente causa dalla società proprietaria nell’interesse della quale il mediatore immobiliare aveva agito e ricevuto l’assegno emesso senza indicazione del beneficiario, poi incassato dalla società che al tempo risultava proprietaria dell’immobile. In ragione della rilevata carenza di legittimazione della società convenuta, e constatato il rifiuto dei ricorrenti a conciliare la lite sia nella fase di mediazione cui erano stati avviati obbligatoriamente che in sede giudiziale, il giudice, nel rigettare la domanda, accoglieva la domanda della convenuta di condanna dei ricorrenti per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., comma 1, e per tale motivo la sentenza veniva appellata dai ricorrenti innanzi alla Corte d’appello di Milano. Il giudice di seconda istanza rigettava l’appello, confermando la sentenza per la parte impugnata relativa alla condanna ex art. 96 c.p.c., comma 1, sull’assunto che la parte attrice avrebbe dovuto verificare il soggetto che aveva posto all’incasso l’assegno consegnato al mediatore e che fosse onere della parte che agisce verificare il soggetto titolare dell’immobile all’epoca della consegna della caparra confirmatoria respingeva anche la lamentela relativa alla quantificazione del danno, giudicando equo l’importo liquidato di Euro 1000,00 all’anno, parametrato alla durata del processo. Considerato che 1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1227 c.c., per non avere la Corte considerato il comportamento silente tenuto dalla controparte prima del giudizio nonostante la ricezione formale ante litem della richiesta restitutoria, per poi costituirsi e chiedere ex professo la condanna per lite temeraria la mancata osservanza dei principi espressi negli artt. 2 e 47 Cost. in relazione ai doveri di solidarietà sociale in ragione del comportamento tenuto nella fase stragiudiziale dalla convenuta nonché la violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 1, che, avendo natura di illecito aquiliano, non ammette una condanna per lite temeraria in assenza di prova dell’an e del quantum debeatur. 2. Il motivo è inammissibile e infondato per quanto di seguito indicato. 3. L’art. 96 c.p.c., comma 1, che disciplina la lite temeraria prevede una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal cd. illecito processuale, derivante dalla proposizione di una lite temeraria. Esso presuppone non solo la soccombenza nel grado di giudizio in cui è disposta, ma qualifica una species di illecito civile riconducibile al genus della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. così Cass. n. 9080 del 15/04/2013 . Condizione per il riconoscimento dei danni ai sensi dell’art. 96, comma 1 - a differenza di quanto previsto per la condanna disciplinata dal comma 3, introdotto dalla L. n. 49 del 2009, art. 45, comma 12 - è l’istanza della parte, che deve altresì assolvere all’onere di allegare almeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato Cass. Sez. U., Ord. n. 7583 del 20/04/2004, Sez. U., Ord., n. 1140 del 19/01/2007 . 4. Sotto il profilo del dedotto vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il motivo è inammissibile, trattandosi di deduzione in violazione dell’art. 348 ter c.p.c. doppia sentenza conforme . Osserva la Corte che tali motivi sono stati dedotti in riferimento a una sentenza che, nel rigettare l’appello, ha condiviso le valutazioni in fatto e in diritto esposte dal tribunale, senza aggiungere elementi fattuali di rilievo che sarebbe stato onere dei ricorrenti indicare. Trattandosi di un appello introdotto con citazione notificata il 4 luglio 2014, al caso specifico deve essere applicata la norma di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 , e pertanto il ricorrente in cassazione - per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 - deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016 , sicché il sindacato di legittimità del provvedimento impugnato è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili Sez. 6 - 3, Sentenza n. 26097 del 11/12/2014 . 5. Sotto il profilo della violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 della norma di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, il motivo è infondato. 6. La Corte di merito ha motivato le ragioni della condanna per lite temeraria dando rilievo alla condotta processuale negligente tenuta dai ricorrenti non solo nell’intentare, ma soprattutto nel persistere, in una controversia senza avere previamente accertato se la parte processuale convenuta in giudizio corrispondeva a quella che aveva incassato l’assegno e risultava proprietaria al tempo della consegna della caparra al mediatore, giudicando equo l’importo risarcitorio liquidato dal giudice in relazione alla durata del procedimento. 7. L’art. 96 c.p.c., comma 1, consente di colpire condotte che, nel quadro di applicazione art. 2043 c.c., comporterebbero responsabilità risarcitoria. Dunque il requisito dell’ingiustizia, nel bilanciamento degli interessi in gioco, sussiste quando l’agire del danneggiante sia caratterizzato dal requisito di temerarietà della lite, ravvisabile nella coscienza dell’infondatezza o nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta coscienza, e non solo nella semplice prospettazione di tesi giuridiche errate v. Cass. n. 15629/2010 . Il danno da responsabilità aggravata per lite temeraria è costituito infatti dal pregiudizio strettamente determinato dal processo, e non dall’ipotetica lesione del diritto di cui nel processo di cui si controverte, in cui è dunque ricompreso quello da violazione del termine di ragionevole durata del processo per una lite che si sarebbe potuta facilmente evitare, ove imputabile alla parte stessa Sez. 1, Sentenza n. 24359 del 15/11/2006 Cass. 24360/2006 23322/2005 . 8. Il comportamento silente tenuto dalla controparte non legittimata passivamente prima della lite non ha alcun peso nella valutazione comparativa dei comportamenti assunti dalle parti processuali, poiché la parte attrice è il soggetto precipuamente tenuto a verificare il titolare passivo della pretesa prima di intraprendere la lite e, comunque, non appena viene eccepita processualmente la carenza di legittimazione. Com’è noto, la legitimatio ad causam si ricollega al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta - trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data - la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione e, in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta Cass. Sez. U., 13/03/2018 n. 7925/2019 Cass., Sez. U, 9 febbraio 2012, n. 1912 . Pertanto il giudice ha tratto argomenti presuntivi della responsabilità dal comportamento processuale tenuto dagli attori che hanno non solo inutilmente intrapreso, ma consapevolmente continuato, una lite nonostante il rilievo della carenza di legittimazione effettuato prontamente dalla parte convenuta in sede processuale. 9. Anche sotto il profilo del rispetto degli obblighi di buona fede e di solidarietà non assume rilievo il comportamento silente tenuto dalla parte convenuta che ha ricevuto la richiesta restitutoria prima della lite poiché, come sopra detto, in ragione del comportamento silente di una parte non legittimata passivamente i ricorrenti avrebbero dovuto a maggior ragione attivarsi per verificare se vi fossero le condizioni per agire nei suoi confronti. 10. Sotto il profilo della applicazione delle regole probatorie in materia di illecito aquiliano, infine, non risulta che i giudici di merito siano incorsi nelle violazioni riferite, posto che la temerarietà della lite è stata ravvisata nella coscienza dell’infondatezza o nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta coscienza, e dunque con valutazioni di merito adeguate alla fattispecie in esame, anche con riferimento al quantum debeatur che è stato correttamente misurato in relazione alla durata della lite. 11. Conclusivamente il ricorso è infondato. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna la società resistente alle spese, liquidate in Euro 1.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13.