A rischio in patria il diritto al lavoro e alla salute: niente protezione in Italia

Respinta definitivamente la richiesta presentata da un uomo originario del Bangladesh. Non decisivo, per i Giudici, il richiamo alla precaria situazione economica presente in patria.

Il rischio di non vedere tutelati in patria i fondamentali diritti al lavoro, alla salute e alla vita non è sufficiente per accogliere il cittadino straniero in Italia. Definitivo il “no” alla richiesta di protezione presentata da un uomo scappato dalla condizione di povertà sopportata in Bangladesh Cassazione, ordinanza numero 18208/19, sez. VI Civile - 1, depositata oggi . Povertà. A respingere «l’istanza di protezione», presentata dallo straniero una volta approdato in Italia, provvedono già i giudici della Corte d’appello, specificando che «la condizione di povertà» non può «costituire, da sola, fondamento per il riconoscimento della protezione umanitaria». Questa visione viene contestata dall’avvocato del cittadino originario del Bangladesh. In particolare, il legale fa riferimento alle vicende vissute in patria dal suo cliente e tiene a sottolineare che «se dovesse fare ritorno nel proprio Paese di origine, egli correrebbe il serio e fondato rischio di non poter realizzare i fondamentali diritti al lavoro, alla salute e alla stessa vita». Ma tale obiezione non convince i giudici della Cassazione, i quali rendono definitivo il “no” alla protezione per lo straniero. I magistrati precisano che, in generale, «la situazione di vulnerabilità che legittima l’emissione del titolo di soggiorno deve riguardare la vicenda personale del richiedente», mentre in questa vicenda il cittadino del Bangladesh richiama «la situazione del Paese d’origine». E comunque «il riferimento alla condizione di povertà in patria non è contemplato dall’invocato articolo 10 della Costituzione» che, osservano i giudici, «riconnette il diritto d’asilo all’impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 26 marzo – 5 luglio 2019, numero 18208 Presidente Scaldaferri – Relatore Sambito Fatti di causa Con sentenza in data 19.5.2017, la Corte d'Appello di Brescia, ha confermato il rigetto delle istanze volte al riconoscimento della protezione internazionale avanzate dal cittadino del Bangladesh Sa. Al., che ha proposto ricorso, con un motivo, con cui denuncia la violazione dell'articolo 5 del D.Lgs. numero 251 del 2007. Il Ministero non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. La sentenza fonda la sua tesi sfavorevole al ricorrente, escludendo che la condizione di povertà possa, da sola, costituire fondamento per il riconoscimento della protezione umanitaria. Tale conclusione è avversata dal ricorrente, secondo cui viste le vicende che hanno interessato il ricorrente, qualora quest'ultimo dovesse fare ritorno nel proprio paese d'origine egli correrebbe il serio e fondato rischio di non poter realizzare i fondamentali diritti al lavoro, alla salute e alla stessa vita . 2. Premesso al riguardo che la disciplina di cui al D.L. numero 113 del 2018, convertito nella L. numero 132 del 2018, che ha, tra l'altro, sostituito la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande proposte, come nella specie, prima della sua entrata in vigore, che vanno valutate al lume della disciplina preesistente Cass. numero 4890 del 2019 , il motivo è infondato. La situazione di vulnerabilità che legittima l'emissione dell'invocato titolo di soggiorno deve riguardare la vicenda personale del richiedente, e su tale punto il ricorrente tace, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti, e per di più riferita ad una condizione di povertà in Patria che non è contemplata dall'invocato art 10 Cost. che riconnette il diritto d'asilo all'impedimento dell'esercizio delle libertà democratiche. 3. Non va provveduto sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata. Essendo stato ammesso a patrocinio a spese dello Stato non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo P.Q.M. Rigetta il ricorso.