I poteri-doveri del giudice di merito nei giudizi di riconoscimento dello status di apolide

In via di principio, l’onere della prova riguardante la sussistenza delle condizioni in vista del riconoscimento dello stato di apolide gravano sul richiedente esso, però, è attenuato laddove vi siano lacune tali da poter essere colmate solo mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi del giudice in tema di cooperazione istruttoria con le autorità competenti.

Questa la pronuncia della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16114/19, depositata il 14 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma riconosceva all’attore lo stato di apolide, ritenendo provate la nascita e la stabile residenza in Italia dello stesso, ma non anche la sua cittadinanza bosniaca, in qualità di figlio di una cittadina di tale Stato, poiché non risultava certa nemmeno la cittadinanza bosniaca della madre, essendo nata in Italia. Avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di New York del 1954, secondo il quale si considera apolide colui che non sia cittadino di uno Stato né possa acquisirne la cittadinanza in base al proprio ordinamento giuridico, non avendo la Corte d’Appello adempiuto del tutto al proprio obbligo di cooperazione istruttoria a tal proposito. Lo stato di apolide. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, osservando come nei giudizi vertenti sul riconoscimento dello status di apolide, il richiedente dovrà fornire la prova circa il mancato possesso della cittadinanza dello Stato con cui abbia, ovvero abbia avuto, legami significativi, ma opera il principio di attenuazione di detto onere con conseguente obbligo di collaborazione istruttoria da parte del giudice di merito in presenza di lacune probatorie, al fine di conoscere i sistemi normativi esistenti nello Stato di riferimento. Nel caso concreto, la condizione di cittadina bosniaca della madre del richiedete costituiva elemento essenziale ai fini del riconoscimento della cittadinanza al richiedente, in base al sistema normativo di quello Stato, mentre dalla sentenza impugnata risulta che la richiesta avanzata all’ambasciata competente conteneva solamente la copia della legge nazionale sulla cittadinanza, omettendo la richiesta di informazioni in merito al possesso della cittadinanza bosniaca della madre. Da tale quadro incompleto, sarebbe derivata la decisione del Giudice di secondo grado, che riconosceva lo stato di apolide dell’attore senza alcuna prova riguardante la cittadinanza bosniaca della madre, violando il principio che rileva in tema di accertamento delle condizioni riguardanti lo stato di apolide del richiedente, vista l’insufficienza della relativa documentazione a tal fine. Il principio di diritto. Per le suddette considerazioni, la Suprema Corte accoglie il ricorso e rinvia gli atti alla Corte d’Appello ai fini di un nuovo esame, in conformità al seguente principio l’onere della prova in ordine alle condizioni per il riconoscimento dello stato di apolide grava sul richiedente esso è attenuato in virtù della peculiare condizione postulata da quest’ultimo, che gode della titolarità dei diritti della persona, la cui attribuzione è svincolata dal possesso della cittadinanza da ciò consegue però e semplicemente che le eventuali lacune o necessità di integrazioni istruttorie per la suddetta dimostrazione possono essere colmate mediante l’esercizio di doveri-poteri officiosi da parte del giudice, che può richiedere informazioni o documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo ma non anche, persistendo le lacune dopo l’esercizio dei poteri istruttori, la domanda di riconoscimento debba essere accolta .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 aprile – 14 giugno 2019, n. 16114 Presidente San Giorgio – Relatore Terrusi Rilevato che la corte d’appello di Roma, con sentenza in data 15-5-2018, ha riconosciuto a A.M. lo stato di apolide ha motivato la decisione affermando che del predetto potevano dirsi provate la nascita e la stabile residenza in Italia, ma non anche la cittadinanza bosniaca come figlio di cittadina di tale Stato, in quanto non era risultata con certezza neppure la eccepita condizione di cittadina bosniaca della madre, a sua volta nata in Italia su tale base ha accolto la domanda in quanto a ai fini del riconoscimento dello stato di apolidia, è da considerare per legge postulato unicamente l’accertamento circa il mancato possesso della cittadinanza che il richiedente potrebbe in concreto possedere ovvero quella dello Stato di nascita propria o dei propri genitori, o in alternativa quella dello Stato di stabile residenza b tale accertamento può derivare anche da fatti concludenti c tuttavia, una volta stabilito il mancato possesso della cittadinanza di uno degli Stati col quale il richiedente presenti un collegamento stretto di nascita propria o dei propri genitori, ovvero di stabile e continua residenza , e una volta stabilita la mancanza di collegamenti con altri Stati in vista di una possibile cittadinanza alternativa, nessuna ulteriore indagine deve esser svolta ai fini del riconoscimento della condizione richiesta il ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un solo motivo A. è rimasto intimato. Considerato che con l’unico mezzo l’amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di New York del 29-9-1954, ratificata con L. 1 febbraio 1962, n. 306, per avere la corte d’appello disatteso il principio secondo il quale è da considerare apolide soltanto colui che non sia cittadino di uno Stato nè possa acquistarne la cittadinanza sulla base del proprio ordinamento giuridico in questa prospettiva imputa al giudice a quo di avere adempiuto solo in parte al proprio obbligo di cooperazione istruttoria, avendo dapprima richiesto all’ambasciata bosniaca informazioni sulla cittadinanza dell’interessato e dei suoi genitori, ed essendosi poi accontentato di una risposta evasiva e incompleta, concretizzata nel mero invio della legge nazionale sulla cittadinanza, inidonea a dirimere la questione controversa in definitiva sarebbe mancato - ad avviso della parte ricorrente - il completamento istruttorio indispensabile ad affermare l’impossibilità di A. di acquisire la cittadinanza del proprio paese di origine la Bosnia il motivo è fondato nel senso che segue nei giudizi aventi a oggetto il riconoscimento dello status di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili in questa prospettiva opera il principio di attenuazione dell’onere della prova, sempre affermato da questa Corte nei giudizi de quibus in correlazione con il conseguente obbligo di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito, al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi o procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti per tutte, Cass. n. 28153-17 nel caso di specie la corte d’appello ha sottolineato che a supporto della domanda era stata dal ricorrente fornita documentazione consistente nell’estratto dell’atto di nascita proprio e della madre, attestante la non iscrizione nel registro dei cittadini o in quello delle nascite in Bosnia Erzegovina dal 1990 al 22/4/2015 - con chiaro riferimento, quindi, alla sola effettiva condizione di esso attore poiché nato a Sarzana il 22-31990 il punto decisivo della causa era da associare alla condizione di cittadinanza della madre, avente specifica potenziale valenza in base all’art. 6 della legge sulla cittadinanza di Bosnia Erzegovina cosa che la corte d’appello d’altronde ha riconosciuto mercè l’affermazione di irrilevanza, invece, della condizione dei nonni, che lo stesso attore aveva indicato esser cittadini della ex Jugoslavia ma che non sarebbe stata concludente quanto all’acquisizione della cittadinanza per origine in tal guisa la postulazione imponeva l’esercizio dei poteri officiosi di cooperazione istruttoria la suddetta condizione di cittadina bosniaca della madre del richiedente essenziale per stabilire la possibilità di un riconoscimento di cittadinanza alla luce del sistema normativo di quel Paese - è stata per questo motivo oggetto di una richiesta di informazioni da parte della corte distrettuale dalla sentenza risulta che la richiesta - appositamente inoltrata alla competente ambasciata - era stata evasa però solo parzialmente , mediante cioè rimessione della sola copia della legge nazionale sulla cittadinanza e in verità può osservarsi che in tal modo la richiesta, concretizzata nella specifica e mai ottenuta acquisizione invece di informazioni anche in relazione al possesso della cittadinanza bosniaca di A.P. , madre del richiedente , non era stata evasa affatto la conclusione della corte d’appello, secondo cui non vi era stata compiuta dimostrazione della cittadinanza bosniaca della madre dell’attore per la conseguente possibile acquisizione della cittadinanza iure sanguinis, è stata al dunque dedotta dalla sola carenza del quadro documentale come sopra acquisito, unitamente alla considerazione che neppure il Ministero aveva prodotto documentazione di supporto così decidendo, l’impugnata sentenza ha tuttavia infranto il principio che rileva in materia di accertamento delle condizioni per il riconoscimento dello stato di apolide, notoriamente insufficiente essendo, a tal riguardo, la documentazione attestante il mancato possesso di una determinata cittadinanza v. Cass. n. 15679-13 una volta assunta l’iniziativa finalizzata a ottenere informazioni in ordine alla cittadinanza genitoriale, non è difatti consentito al giudice di merito sottrarsi, per la mancanza di adeguate risposte, all’accertamento ritenuto essenziale cfr. Cass. n. 1183-18 in particolare è errato giuridicamente fondare la decisione di riconoscimento dello status di apolidia sulla mancata risposta alla richiesta di informazioni da parte delle autorità interpellate, poiché tanto vuol dire, giustappunto, sottrarsi all’accertamento che l’azione richiede, e che la stessa corte d’appello, nella concreta fattispecie, aveva ritenuto essenziale per tale ragione l’impugnata sentenza va cassata segue il rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per nuovo esame in base al seguente principio l’onere della prova in ordine alle condizioni per il riconoscimento dello stato di apolide grava sul richiedente esso è attenuato in virtù della peculiare condizione postulata da quest’ultimo, che gode della titolarità dei diritti della persona, la cui attribuzione è svincolata dal possesso della cittadinanza da ciò consegue però e semplicemente che le eventuali lacune o necessità di integrazioni istruttorie per la suddetta dimostrazione possono essere colmate mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi da parte del giudice, che può richiedere informazioni o documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo v. Cass. n. 426215 , ma non anche che, persistendo le lacune dopo l’esercizio dei poteri istruttori, la domanda di riconoscimento debba essere accolta la corte d’appello di Roma provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma.