Protezione internazionale solo se il richiedente provi lo stato di pericolo in patria

La Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 15794/19 sancisce il principio di diritto per il quale, nel caso di richiesta di protezione internazionale, sarà onere del richiedente dare la prova dei fatti che ne rendono necessaria la concessione.

In particolare il richiedente deve dare la prova, che nel caso di rientro nel suo Paese di origine egli sarebbe soggetto a gravi rischi per la propria incolumità, in assenza della stessa, che si rende necessaria ai sensi dell'art. 2697 c.c., gli organi cui l'ordinamento devolve il suo esame, legittimamente provvedono alla reiezione dato il difetto dei presupposti previsti dalla normativa vigente al fine di concedere il diritto allo straniero di permanere nel territorio nazionale anche in assenza dei presupposti di legge. La vicenda. Uno straniero appartenente ad un Paese estraneo alla U.E., presentava richiesta di protezione internazionale, tale domanda veniva rigettata da parte della commissione territoriale competente. Il procedimento, su istanza di quest'ultimo proseguiva pertanto in sede giurisdizionale, con i medesimi esiti in quanto il Tribunale e la Corte d’Appello ritenevano la richiesta infondata data l' assenza di prova circa i fatti rappresentati a suo fondamento, ed in particolare circa l' asserita omosessualità del richiedente che lo avrebbe esposto nel suo Paese di origine a gravi rischi per la propria incolumità. Lo straniero ricorreva allora per cassazione, eccependo l'invalidità della sentenza di secondo grado, deduceva in particolare l'errata valutazione della normativa vigente da parte dei Giudici di merito il ricorrente nella propria tesi difensiva deduceva nuovamente innanzi ai Giudici della Corte Suprema, come un eventuale nuovo ingresso nel paese di origine avrebbe determinato per lui un grave rischio dato che il proprio orientamento sessuale era addirittura passibile di sanzioni penali. Il procedimento dopo avere compiuto il proprio corso veniva deciso da parte dei Giudici della Corte Suprema di Cassazione con l'ordinanza n. 15794/19. La decisione. Gli Ermellini esaminano il caso di specie sulla base delle prospettazioni indicate nella tesi difensiva, limitate comunque a quelle già individuate in sede di merito. L'unica prova effettivamente dedotta da parte del ricorrente si fondava sulla sua iscrizione ad un’associazione, il cui fine era quello di tutelare i diritti degli omosessuali, fatto che a suo avviso avrebbe reso palese il suo orientamento sessuale. Nella motivazione dell'ordinanza qui in commento, i Giudici di legittimità giungono a ben altre conclusioni rispetto a quelle sostenute dal ricorrente, sulla base di un’analisi della normativa vigente relativa ai presupposti per la concessione di un provvedimento di protezione internazionale. In particolare gli Ermellini esaminano i fatti dedotti a sostegno della richiesta, verificando come gli stessi erano sostanzialmente fondati sulle semplici affermazioni del ricorrente ma del tutto privi di prove a loro sostegno. Sul punto, osservano i Giudici della Corte Suprema, come sia onere del ricorrente provare tutti gli elementi a sostegno della propria tesi e tutti gli aspetti fondamentali della stessa. Tale onere discende dalla previsione di una norma di carattere generale ed in particolare dell'art. 2697 c.c., che data la sua natura di disposizione di natura generale riguarda altresì le domande di richiesta di protezione internazionale, pertanto ove si possa ritenere accoglibile una istanza di tale tipo deve venire raggiunta la certezza che il ricorrente nel proprio Paese di origine sarebbe stato oggetto di gravi persecuzioni tali da metterne a serio rischio l'incolumità. Osservano i Giudici della Cassazione come la semplice iscrizione ad un ente associativo non era di per sé idonea a provare in maniera indiscussa l'orientamento sessuale del ricorrente, il quale addirittura avrebbe potuto compiere l'adesione al sodalizio associativo al solo fine di precostituire la prova di un fatto in realtà inesistente. Il ricorso viene pertanto rigettato data la mancanza di prove a sostegno della tesi difensiva del ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 9 maggio – 12 giugno 2019, n. 15794 Presidente Genovese – Relatore Di Marzio Fatti di causa 1. - S.K. , cittadino ghanese, ricorre per cinque mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 9 gennaio 2018 con cui la Corte d’appello di Napoli ha respinto il suo appello avverso la decisione del locale Tribunale che aveva disatteso l’opposizione al diniego, da parte della competente Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria. 2. - L’amministrazione resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa considerazione di un fatto decisivo costituito dall’adesione del ricorrente, in ragione della sua omosessualità, all’associazione I-KEN-ONLUS. Il secondo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui aveva ritenuto non credibile il racconto del ricorrente concernente la sua omosessualità. Il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione o falsa applicazione della direttiva 2004/83/CE, avuto riguardo alla normativa penale del paese di provenienza che sanzionava l’omosessualità. Il quarto motivo denuncia violazione del dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, censurando la sentenza impugnata per aver negato la protezione umanitaria, senza considerare che la mancata regolarizzazione della sua attività lavorativa, quale addetto alla macellazione, non era a lui addebitabile. 2. - Il ricorso è inammissibile. 2.1. - È inammissibile il primo motivo. 2.1.1. - La corte d’appello ha espresso un giudizio di non credibilità della narrazione proveniente dal ricorrente in ordine alla sua condizione di omosessualità, e ciò ha fatto sulla base di un’ampia motivazione, svolta alle pagine 2-3 della sentenza impugnata, la quale ha posto l’accento sul carattere estremamente generico e privo di elementi di riscontro, quantomeno intrinseci, del racconto concernente la scoperta del proprio orientamento sessuale, neppure risultando sufficientemente chiarita la vicenda dell’attività lavorativa svolta presso un americano con il quale lo stesso ricorrente avrebbe intrattenuto un rapporto omosessuale. Ha affermato la Corte territoriale Non può ritenersi credibile il racconto in ordine alla pretesa omosessualità del richiedente e comunque non è stato fornito alcun elemento di riscontro esterno alla credibilità del richiedente. L’appellante, in sintesi, ha riferito di essersi accorto della sua omosessualità all’età di 16 anni avendo ceduto alla dichiarazione d’amore e comunque alle avances fatte dal figlio di un americano che coltivava con il richiedente i terreni della famiglia paterna dello stesso richiedente. Il richiedente avrebbe anche ammonito il compagno a non esibire in pubblico il suo orientamento quando si recavano al mercato e poi avrebbe anche convissuto con il compagno nella casa del padre dello stesso compagno. Avendo rifiutato un prestito ad un altro amico, questi l’avrebbe minacciato di rendere pubblica la sua relazione omosessuale e poi il padre dell’amico infedele l’avrebbe denunciato al tribunale tradizionale del paese. I familiari del richiedente si sarebbero divisi sulla credibilità della denuncia e comunque il nonno, pur non credendo vera la relazione, l’avrebbe consigliato di fuggire dopo che gli emissari del tribunale si sarebbero recati a casa del richiedente per portarlo in tribunale. Va subito precisato che contrariamente a quanto asserito dalla difesa dell’appellante, il richiedente ha di getto raccontato la sua storia e solo dopo i commissari gli hanno posto delle domande per verificarne l’attendibilità e non certo per farlo cadere in contraddizioni. Sta di fatto che detto racconto, sul cui sfondo non appare sufficientemente chiarita la vicenda dell’interesse del richiedente che avrebbe lavorato per il signore americano all’insaputa del fatto che quest’ultimo avesse acquistato i terreni familiari dal nonno dello stesso richiedente forse per questo motivo il nonno consigliò al nipote di emigrare , appare estremamente generico e privo di elementi di riscontro, quanto meno intrinseci, alla scoperta dell’orientamento omosessuale del medesimo appellante, che pure ha riferito di aver provato di essere posseduto da un demone quando iniziò la pretesa relazione, conformemente del resto alla visione della comunità mussulmana cui il richiedente ha riferito di appartenere dell’omosessualità e cioè demoniaca . Anche il riferimento all’intervento del tribunale tradizionale del villaggio, al quale non sono seguiti effettivi atti persecutori, appare essere stato fatto per corroborare una storia già di per sé claudicante , sicché tutti gli argomenti al riguarda sviluppati con l’atto di appello circa la commistione in Ghana tra autorità statali e locali-religiose-tradizionali, appaiono non pertinenti al caso in esame. Inoltre, come si è detto manca qualsiasi elemento di riscontro esterno al preteso orientamento omosessuale, non essendo a tal fine sufficiente la mera affermazione dell’appellante di stare ora con un ragazzo non meglio individuato, nè avendo il richiedente fatto ricorso in Italia a strutture o organizzazioni di supporto alla sua identità di genere. Il racconto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non appare per i labili e contraddittori sforzi di circostanziare la domanda e gli scarni elementi forniti dal richiedente, coerente e credibile. Dunque, le allegazioni di fatti non suffragati da prove dirette, devono essere ritenuti non veritieri non avendo il richiedente compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, sicché non ha rilievo l’astratta correlazione delle dichiarazioni alle informazioni generali e specifiche riguardanti l’omosessualità nel Ghana, punita penalmente e avversata dalla comunità religiosa soprattutto musulmana . 2.1.2 - A fronte di tale accertamento di merito nulla rileva l’omessa considerazione del documento comprovante l’adesione al sodalizio I-KEN-ONLUS che peraltro neppure risulta dal ricorso essere struttura o organizzazione di supporto alla identità di genere omosessuale, sicché la censura è anche priva del requisito di autosufficienza , avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa Cass. 28 settembre 2016, n. 19150 Cass. 5 dicembre 2014, n. 25756 . Indicazione che nel caso di specie manca. 2.2. - Il secondo motivo è inammissibile. Esso, in effetti, si risolve in una digressione sulla genesi dell’omosessualità, attraverso la quale il ricorrente pretende di rimettere in discussione il giudizio effettuato dal giudice di merito in ordine alla non credibilità del suo racconto, giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti, nella specie tutt’altro che ricorrenti, individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha evidenziato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, denota una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 . 2.3. - Il terzo motivo è assorbito. Una volta escluso la credibilità del racconto in ordine alla omosessualità del ricorrente, nulla rileva il trattamento riservato agli omosessuali nel suo paese di origine. 2.4. - Il quarto motivo è inammissibile. Si è già detto della non credibilità del racconto del ricorrente concernente la sua omosessualità ciò rende inoperante il dovere di cooperazione istruttoria invocato dallo stesso ricorrente. 2.4.1. - Ed invero, sotto la rubrica Esame dei fatti e delle circostanze , il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta , disciplina per un verso gli oneri di allegazione e prova gravanti su colui il quale richiede la protezione internazionale, per altro verso gli obblighi cui il giudice è sottoposto nello scrutinare la richiesta. 2.4.2. - Sotto il primo profilo, e cioè con riguardo agli oneri di allegazione e prova, alla stregua del dato normativo - il richiedente la protezione internazionale è tenuto a presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda medesima, il cui esame è poi destinato ad essere svolto in cooperazione con il richiedente , e cioè in un’ottica di sinergica collaborazione, e riguarda tutti gli elementi significativi della domanda , i.e. è destinato a misurarsi con l’intero ventaglio dei requisiti rilevanti, siccome presentati dall’interessato, perché la domanda di protezione internazionale, nelle sue diverse forme, riconoscimento dello status di rifugiato o protezione sussidiaria, possa essere accolta comma 1 - detto onere di presentazione degli elementi e della documentazione concerne, in specifico, oltre all’età, alla condizione sociale, se necessario anche dei congiunti, all’identità, alla cittadinanza, ai paesi e luoghi in cui il ricorrente ha soggiornato, le domande d’asilo pregresse, gli itinerari di viaggio, i documenti di identità e di viaggio, anche, e diremmo soprattutto, i motivi della sua domanda di protezione internazionale comma 2 . La latitudine degli oneri di allegazione e prova a carico del richiedente emerge altresì dal comma 3 della disposizione, dall’angolo visuale della valutazione della domanda di protezione internazionale, da effettuarsi su base individuale, e cioè in relazione alle circostanze come allegate dal richiedente, valutazione che deve estendersi a tutti i fatti pertinenti concernenti il Paese d’origine alle persecuzioni o danni gravi che egli deve rendere noto di aver subito o di rischiare di subire alla situazione individuale ed alle circostanze personali rilevanti al fine di verificare se gli atti indicati, come subiti o paventati, si configurino effettivamente come persecuzione o danno grave alla condotta del richiedente, ove egli abbia operato al fine di creare le condizioni necessarie alla presentazione della domanda di protezione internazionale, e se ciò lo esponga a persecuzione o danno grave in caso di rientro nel Paese all’eventualità che il richiedente possa far ricorso alla protezione di un altro Paese. Ebbene, laddove l’art. 3 citato stabilisce che il richiedente è tenuto a presentare . tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda , si riferisce, come si premetteva, tanto agli oneri di allegazione per il che il richiedente deve presentare, ed in tal senso allegare, gli elementi dedotti a sostegno della domanda , quanto a quelli probatori per il che il richiedente deve presentare, ed in tal senso produrre, la documentazione necessaria . 2.4.3. - È allora manifesto come le ragioni fondanti la domanda di protezione, cosa del resto ovvia, debbano essere senz’altro anzitutto allegate dall’interessato. Sicché, il richiedente ha il preciso onere di offrire agli organi del Paese al quale rivolge la domanda di protezione ogni elemento utile allo scrutinio di essa e ciò egli deve fare in un’ottica di schietta collaborazione con tali organi, evidente essendo che la previsione normativa, laddove impone di procedere all’esame della domanda di protezione internazionale in cooperazione con il richiedente , richiede un atteggiamento collaborativo reciproco, giacché, sul piano della logica prima ancora che su quello del diritto, non è pensabile che la Commissione territoriale, come pure il giudice, possa cooperare, e cioè operare insieme, ad un richiedente che, al contrario, non offra la collaborazione dovuta. Fin qui il richiedente non gode, e non vi è ragione perché debba godere, di alcuna agevolazione rispetto alle regole ordinarie del giudizio civile tale da giustificare un quadro assertivo non adeguatamente circostanziato, e tale da porre i menzionati organi in condizione di sottoporre la domanda al vaglio che merita. La qual cosa si riassume nella massima, più volte ed anche qui ribadita, secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio Cass. 28 settembre 2015, n. 19197 . 2.4.4. - Una volta allegati, i fatti posti a sostegno della domanda di protezione internazionale vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti, e con peculiari agevolazioni, come subito si vedrà in linea di principio, cioè, il giudizio volto al riconoscimento della protezione internazionale, come si desume dalla già citata previsione che sollecita il richiedente a depositare la documentazione necessaria, non si sottrae, salvo quanto si dirà, all’applicazione delle regole generali dettate in ordine al riparto dell’onere probatorio dall’art. 2697 c.c., comma 1 con la conseguenza che, se la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non sono provati, la domanda è da rigettare. Ed difatti è ben possibile che il richiedente, dopo aver assolto l’ineludibile onere di allegare le circostanze poste a sostegno della domanda di protezione internazionale, sia talora in condizione altresì di comprovarne il fondamento ma è ampiamente intuitivo che egli, proprio a cagione delle persecuzioni o danni gravi subiti nel Paese di provenienza, o anche solo paventati, possa non essere in grado di offrire la prova di dette circostanze e tale è il contesto in cui la norma in esame tempera il principio dispositivo, disciplinando, tra l’altro, il dovere c.d. di cooperazione istruttoria. Stabilisce difatti il comma 5 del menzionato art. 3, che, qualora taluni elementi posti a sostegno della domanda di protezione internazionale non siano suffragati da prove, prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato, essi sono considerati veritieri ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda - abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso ed abbia fornito una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi - abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone, e risulti altresì, in generale credibile. Tale disposizione, è stato detto in una nota decisione che ha enucleato il c.d. dovere di cooperazione istruttoria, affida all’autorità esaminante un ruolo attivo ed integrativo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, con la possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione reperibile per verificare la sussistenza delle condizioni della protezione internazionale Cass., Sez. Un., 17 novembre 2008, n. 27310 . Accanto al c.d. dovere di cooperazione istruttoria, peraltro, la norma contempla un ulteriore aspetto tale da comprimere, ben maggiormente, il principio dispositivo, di quanto non faccia la semplice attribuzione all’autorità esaminante di poteri istruttori officiosi, poteri ampiamente conosciuti in altri ambiti dell’ordinamento, basti pensare alla previsione dell’art. 421 c.p.c., giacché consente altresì di porre a base del riconoscimento della protezione internazionale fatti che provati non sono, alla sola condizione che ricorrano le condizioni considerate dal comma 5 dell’art. 3 in esame. 2.4.5. - Facendo il punto di quanto finora si è detto, è quindi palese i da un lato che l’attenuazione del principio dispositivo in cui la c.d. cooperazione istruttoria consiste si collochi non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova ché, anzi, l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, secondo quanto si è già visto ii dall’altro lato che il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente dal versante probatorio, trova per espressa previsione normativa un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma al richiedente innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria. Per il che egli non incontra peraltro difficoltà alcuna, ove la sua narrazione sia vera e reale gli basterà descrivere in dettaglio la sua vicenda, integrando se del caso la narrazione attraverso le risposte alle domande eventualmente rivoltegli. La soggezione del richiedente alla valutazione di credibilità, per lo scopo dell’innesco del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, lungi del resto dal comprimere o limitare l’esercizio del diritto alla protezione internazionale, ne costituisce viceversa intensa agevolazione a fronte della regola generale dettata dal citato art. 2697 c.c., in forza del quale l’attore è onerato della prova dei fatti costitutivi della domanda, la speciale disciplina dettata in materia di protezione internazionale offre al richiedente, come si è visto, non solo di cooperare con lui nella ricerca di quelle prove che egli non abbia potuto offrire, ma finanche di credergli pur in difetto di prova. E di credergli, però, se sia credibile nel che il controllo di credibilità - sia ai fini dell’innesco del dovere di c.d. cooperazione istruttoria, sia perché fatti non provati possano essere considerati veritieri - non può che essere adeguatamente penetrante, dal momento che esso è l’unico strumento che l’ordinamento si riserva al fine di scongiurare un troppo comodo uso strumentale della normativa in discorso. Nè ha ragione di essere paventato il pericolo che la valutazione di credibilità si risolva in facile usbergo affidato alla Commissione territoriale, e poi al giudice di merito, per omettere di dar corso agli approfondimenti istruttori che il caso richiede. È difatti agevole rammentare che, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera soggettiva ed insindababile opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, della norma richiamata, tenendo conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente , con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati p. es. tra le tante Cass. 14 novembre 2017, n. 26921 , fermo restando, infine, che la valutazione di credibilità è sottoposta, sul piano motivazionale, al controllo, in sede di legittimità, dell’osservanza del minimo costituzionale . 2.4.6. - In definitiva, il dovere di cooperazione istruttoria non si concretizza qualora lo stesso richiedente abbia palesato il proprio intento, non già di muoversi nell’ottica della cooperazione, ma di strumentalizzare la normativa invocata. Soluzione, quella prospettata, pienamente armonica con la direttiva 2011/95-CE, secondo cui il richiedente è tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari per motivare la domanda di protezione internazionale art. 4 , dal che si trae conferma che il dovere di cooperazione istruttoria non sorge affatto in caso dichiarazioni soggettivamente non credibili. 2.4.7. - Tale impostazione, risultante dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, riferito alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso decreto legislativo non solo il complesso normativo non offre cioè alcun appiglio per ritenere che il congegno riassunto nel citato art. 3, che ruota sulla credibilità del richiedente, non si applichi parimenti alla protezione sussidiaria con riguardo a tutte le sue declinazioni, ma, anzi, il riferimento contenuto in tale disposizione al complesso degli elementi significativi della domanda , quale che essa sia, rende manifesto che la stessa si riferisce indistintamente tanto allo status di rifugiato quanto alla protezione sussidiaria. Con riguardo a quest’ultima, merita del resto evidenziare che la normativa ad essa specificamente riferita non interviene sull’area già governata dall’art. 3 del decreto legislativo richiamato. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g e h , conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f e g , definisce persona ammissibile alla protezione sussidiaria il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese . La definizione di danno grave è fornita poi dal successivo art. 14 il quale lo identifica a nella condanna a morte b nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante c nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. L’art. 14 ora menzionato, dunque, si limita ad individuare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ma, come osservato, nulla aggiunge al precetto, perciò anche ad essa riferibile, contenuto nella previsione in generale dettata dall’art. 3, del quale si è già dato conto. 2.4.8. - Va da sé che la domanda di protezione sussidiaria richiede la specifica allegazione, non reticente, ossia esaustiva, e credibile, nei termini prima illustrati, delle circostanze che ne legittimano l’accoglimento condanna a morte, tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Specifica allegazione a fronte della quale il dovere di cooperazione istruttoria può d’altronde intrinsecamente operare - è essenziale per completezza precisare - solo con riguardo agli aspetti che attengono alla verifica della situazione obbiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente nel che il c.d. dovere di cooperazione istruttoria - come nel caso in esame - incontra un evidente intrinseco limite ulteriore. In particolare v. Cass. 31 maggio 2018, n. 14006 Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 , questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c , l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente - una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale - la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia. Ne deriva che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare - elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations - se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato - nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo - a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3. 2.4.9. - Traendo le fila, come questa Corte ha già avuto modo di osservare v. in particolare Cass. 20 dicembre 2018, n. 33096 Cass. 19 febbraio 2019, n. 4892, ed i precedenti ivi richiamati , il citato art. 3 delinea un preciso iter logico che deve essere seguito nella valutazione della domanda di protezione internazionale, sia volta al riconoscimento dello status di rifugiato, sia volta al riconoscimento della protezione sussidiaria, ivi compresa l’ipotesi, prevalentemente ricorrente nella pratica, disciplinata dalla lettera c del ricordato art. 14 - il giudice di merito deve anzitutto verificare la credibilità soggettiva della narrazione proveniente dal richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona - qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili, alla stregua degli criteri di valutazione previsti dallo stesso art. 3, non occorre procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso concernente la situazione del Paese di origine, a meno che, come pure è stato chiarito, l’esito negativo del giudizio di veridicità sia esclusivamente riconducibile all’impossibilità di fornire riscontri probatori v. Cass. 26 luglio 2018, n. 16925 . 2.4.10. - Quanto detto si riassume nei seguenti principi. In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare in modo preciso, completo e circostanziato i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, quindi, a pervenire alla dimostrazione dei fatti medesimi, trovando deroga il principio dell’onere della prova, a fronte di una esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5. In materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso decreto legislativo, con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine. In materia di protezione sussidiaria, con riferimento all’accertamento del rischio effettivo di subire un grave danno alla persona, nell’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c , il dovere di cooperazione istruttoria desumibile dall’art. 3, comma 5, del medesimo decreto legislativo, ove reso possibile dal positivo vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati dalla norma, impone al giudice di verificare - in via preferenziale, ma non esclusiva, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations - se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rientro del richiedente, ma non di supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, essendo necessaria al riguardo soltanto la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3. 2.4.11. - Tanto premesso in iure, non resta che ribadire che il giudice di merito ha motivatamente escluso la credibilità del ricorrente, sicché il dovere di cooperazione istruttoria non sia neppure concretizzato. 2.5. - Il quinto motivo, concernente la protezione umanitaria, è palesemente inammissibile, mancando del requisito dell’autosufficienza, giacché dal ricorso non riesce neppure lontanamente a comprendersi, tanto più una volta giudicata non credibile la condizione di omosessualità, quale sarebbe la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente, e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare. 3. - Le spese seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato essendo stato permesso il ricorrente al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro ,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.