Credito pignoratizio: la banca non è esonerata dall’onere della prova

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha chiarito che il disposto di cui all'art. 2787, comma 4, c.c. si risolve nello stabilire, a favore della banca, un regime agevolato circa la prova del tempo della costituzione della garanzia, senza però in alcun modo incidere sulla disciplina delle altre condizioni richieste dall’art. 2787, commi 2 e 3, c.c. non è dunque sufficiente ai fini della prova del credito pignoratizio una scrittura che, seppur munita di data certa, contenga solo un'indicazione generica della cosa data in pegno.

La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15421/19 depositata il 6 giugno, affronta la delicata questione della prova del credito pignoratizio da parte della banca. Il caso. Una banca presentava domanda di insinuazione nel passivo di una società dichiarata fallita, vantando un credito, con prelazione pignoratizia, derivante da scoperto di conto corrente. Il giudice delegato del fallimento ammetteva il credito solo in via chirografaria ritenendo non provata l’apposizione di data certa sui titoli costituenti il pegno. Il Tribunale di Roma respingeva l’opposizione della banca ritenendo che la stessa non avesse prodotto in giudizio uno dei fatti previsti dall’art. 2704 c.c. al fine di dimostrare la costituzione delle garanzie pignoratizie in data antecedente alla dichiarazione di fallimento. Segnatamente il Tribunale di Roma rilevava che a la banca aveva prodotto tempestivamente in atti due lettere che seppur aventi data certa anteriore al fallimento erano di contenuto generico e non soddisfacevano il requisito di specificità di cui all'art. 2787, comma 3, c.c. b era invece inammissibile, ai sensi dell’art. 99, comma 2, n. 4 l. fall., l’ulteriore documentazione prodotta tardivamente dalla banca alla prima udienza di comparizione delle parti. La banca proponeva ricorso per cassazione lamentando che il Tribunale aveva errato 1 nel ritenere non provata la costituzione della garanzia pignoratizia in data antecedente alla dichiarazione di fallimento dovendosi applicare nella fattispecie l’art. 2387, comma 4, c.c. e potendosi provare la data certa, l’esistenza e l’entità del pegno con ogni mezzo 2 nel non ammettere la documentazione prodotta alla prima udienza di comparizione trattandosi degli originali dei titoli di pegno già depositati in copia col ricorso in opposizione. La Corte di Cassazione respinge entrambi i motivi di ricorso della banca. Sulla prova del credito pignoratizio. Precisa in primo luogo la Corte che il disposto di cui all'art. 2787, comma 4, c.c. non stabilisce alcuna esenzione per le banche dall'onere della prova della data certa né può essere interpretato come regola di esonero delle stesse dal requisito, di cui all'art. 2787, comma 3, c.c., della sufficiente indicazione scritta della cosa data in garanzia. Ricordano infatti i giudici di legittimità che le Sezioni Unite, con sentenza n. 1333/1976, hanno statuito il principio di diritto per cui tutti gli enti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria possono compiere professionalmente operazioni di credito su pegno e in via correlata avvantaggiarsi della peculiare disciplina dettata dall’art. 2787, comma 4, c.c. tuttavia il riferimento normativo al credito su pegno , se da un lato deve continuare a confrontarsi con la l. n. 745/1938 e col Regolamento n. 1279/1939 dall'altro dev'essere pure collocato nel complessivo sistema normativo di cui al TUB e in particolare dall’art. 48. Sicché nel contesto di quanto disposto dall’art. 2787, comma 4, c.c. il sintagma credito su pegno non può ritenersi sprovvisto di un qualunque significato di connotazione operativa, sino a dissolversi nella semplice sussistenza di una garanzia pignoratizia posta a presidio di un qualunque credito bancario. Più indici contrastano, ad avviso degli Ermellini, una simile lettura i l'espressione credito su pegno richiama uno specifico tipo di operatività creditizia oggi aperta all'azione di qualunque banca, ma pure sempre disciplinata nelle sue linee cardinali costitutive dall'art. 48 TUB ii l’art. 2787, comma 4, c.c. indica come documento fondamentale e caratteristico dell'operatività del credito su pegno anche la polizza di pegno sicché nel contesto normativo in discorso, l'espresso riferimento a siffatto nomen documentale non può che possedere un significato qualificante e dunque paradigmatico anche delle altre scritture citate dalla disposizione in esame, da intendere nei termini di documentazione equivalente a quella che consegue alla polizza iii sul piano sistematico, la norma dell'art. 2787, comma 4, c.c. trova corrispondenza nella disposizione dell'art. 67, ultimo comma, l. fall. che esonera le operazioni di credito su pegno dalla revocatoria fallimentare. Al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza di legittimità hanno fissato il perimetro di tale esenzione sulla configurazione oggettiva delle operazioni regolate dalla l. n. 745/38 e dal regolamento n. 1279/39 sicché l'esonero della revocatoria fallimentare di cui al citato art. 67, comma 3, l. fall., tutela esclusivamente particolari attività di credito su pegno esercitate dalle banche, senza che abbia rilievo la mera circostanza di fatto che le stesse possano concedere crediti garantiti da pegno cfr. Cass., 18 novembre 1998, n. 11606 iv una lettura dell’art. 2787, comma 4, c.c., tesa ad esonerare dall’onere della prova l'intero spettro delle operazioni bancarie garantite da pegno, risulterebbe in contrasto con il principio della par condicio creditorum presentando significativi problemi di giustificazione oggettiva per la deteriore posizione in cui si verrebbero a collocare i creditori pignoratizi di diritto comune nei confronti del ceto dei creditori bancari. Alla luce di quanto sopra, precisa la Corte, il disposto di cui all'art. 2787, comma 4, c.c. si risolve nello stabilire un regime agevolato circa la prova del tempo della costituzione della garanzia, senza però in alcun modo incidere sulla disciplina delle altre condizioni richieste dall’art. 2787, commi 2 e 3, c.c. per l'operare della prelazione cfr. Cass., 1° marzo 1973, n. 560 . D'altro canto, la disciplina fissata dalla l. n. 745/1938 e dal Regolamento n. 1279/1939 non manca di esigere in modo esplicito che la documentazione connessa al prestito erogato contenga la descrizione sommaria della cosa costituita in pegno, il valore di stima attribuito, la data di concessione e quella della scadenza del pegno, l'indicazione dei corrispettivi dovuti art. 10 l. n. 745/1938 . Pertanto, conclude la Corte, non è sufficiente ai fini della prova del credito pignoratizio una scrittura che, seppur munita di data certa, contenga solo un'indicazione generica della cosa data in pegno, quand'anche accompagnata dall'indicazione del valore della medesima. Ciò anche al fine di evitare postume sostituzioni, ovvero pure addizioni, del bene dato in garanzia che nel frattempo abbia veduto diminuire il proprio valore di scambio cfr. Cass., 7 giugno 1999, n. 5562 . Sulla tempestività della produzione documentale in sede di opposizione allo stato passivo. Osservano da ultimo i giudici di legittimità che la documentazione prodotta dalla banca in copia con il ricorso in opposizione non recava apposto alcun timbro postale timbro invece presente nella documentazione in originale poi depositata in sede di prima udienza di comparazione. Ne consegue l’evidente tardività della seconda produzione, ai sensi dell'art. 99, comma 2, n. 4, l. fall., posto che la prima documentazione non può essere considerata copia della seconda.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 maggio – 6 giugno 2019, n. 15421 Presidente Didone – Relatore Dolmetta Fatti di causa 1.- La società cooperativa Banco Popolare come all’epoca diversamente denominata ha presentato domanda di insinuazione, con prelazione pignoratizia, di un credito derivante da scoperto di conto corrente nel passivo fallimentare della s.r.l. omissis . Il giudice delegato ha ammesso il credito per la somma richiesta, ma in via chirografaria, avendo il curatore eccepito, in specie, la mancata apposizione di data certa sui titoli costituenti il pegno . 2.- Con sentenza depositata il 4 febbraio 2015, il Tribunale di Roma ha poi respinto l’opposizione presentata in proposito dalla Banca, rilevando che, a fronte dell’eccezione del curatore, la creditrice istante non ha dimostrato la costituzione delle garanzie pignoratizie in data antecedente alla dichiarazione di fallimento della debitrice , mediante la produzione di uno dei fatti previsti dall’art. 2704 c.c. o di fatti equivalenti . 3.- Più in particolare, il giudice del merito ha rilevato - con specifico riferimento alla lettera inviata dalla Banca Popolare di Lodi alla debitrice in data 10 gennaio 2011 che questa, pur essendo contenuta in una busta sigillata recante l’impronta del timbro postale apposto in data 12 gennaio 2011 , non soddisfa il requisito di specificità richiesto dall’art. 2787 c.c., comma 3, poiché contiene un riferimento assolutamente generico alla esistenza di titoli costituiti in garanzia . Con riferimento all’altro documento prodotto al riguardo dalla Banca - consistente in una lettera che sarebbe stata inviata dalla omissis s.r.l. alla Banca in data 12 ottobre 2009 - il Tribunale ha distintamente rilevato che questa missiva presentava, da un lato, analoghi profili di indeterminatezza in punto di indicazione dei titoli posti in garanzia dall’altro, che la stessa non possedeva elementi idonei a conferire certezza alla data della sua spedizione o del ricevimento . Il decreto ha inoltre ritenuto non ammissibile l’ulteriore produzione documentale effettuata dall’opponente alla prima udienza di comparizione , rilevando che a ciò era di ostacolo l’ attuale formulazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4 . 4.- Avverso questo provvedimento la banca ha presentato ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Fallimento ha presentato controricorso. 5.- La controversia è stata chiamata all’adunanza non partecipata della Prima Sezione civile del 13 giugno 2018. Con ordinanza n. 27977/2018, il Collegio ha disposto di rimettere la stessa alla pubblica udienza. Ragione della decisione 6.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati. Primo motivo violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 2787 c.c., commi 3 e 4, artt. 2704 e 2714 c.c Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 . Secondo motivo violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, art. 2704 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 . 7.- Il primo motivo di ricorso muove al decreto impugnato una censura complessa. Il ricorrente afferma, dunque, che il Tribunale ha errato, essendo evidente che il Tribunale avrebbe dovuto applicare il quarto e non l’art. 2787 c.c., comma 3 le banche rientrano tra gli enti richiamati dall’art. 2787 c.c., comma 4 , posto che in tal senso si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite Cass., 15 aprile 1976, n. 1333 , ritenendo sufficiente la generica autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria per l’abilitazione ancorché in via non esclusiva all’operazione di credito su pegno . Assunta questa prospettiva, il ricorrente poi sostiene, da un lato, che la data certa apposta sui pegni è stata fornita, potendo la stessa essere provata con ogni mezzo dall’altro, che entrambe le lettere prodotte fanno riferimento ai titoli concessi in pegno , una delle due anche indicando una somma in proposito così, in specie, la lettera dell’ottobre 2009, in cui si fa riferimento alla posizione debitoria della società omissis s.r.l. nei Vostri confronti attualmente controgarantita da titoli per un importo di Euro 275.000,00 , quella del gennaio 2011 enunciando che l’istituto procederà alla vendita dei titoli costituiti in garanzia . 8.- Il motivo non è fondato. La norma dell’art. 2787 c.c., comma 4 non stabilisce una esenzione dall’onere della data certa per le banche regolarmente autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria ex art. 14 TUB che faccia riferimento unicamente al genere dei soggetti creditori e cioè relativa a qualsivoglia operazione, posta in essere da banche, che si venga comunque a trovare anche o solo garantita da un pegno. Tanto meno questa norma può essere intesa come regola di esonero delle banche seppure autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria dal requisito della sufficiente indicazione scritta della cosa data in garanzia, che la norma dell’art. 2787 c.c., comma 3 pone, tra le altre, come condizione necessaria per l’eventuale operatività della prelazione pignoratizia salvo solo trattarsi di crediti non eccedenti la somma di Euro 2,85 . 9.- Per meglio procedere nell’esposizione delle ragioni che fondano la detta, articolata soluzione, è opportuno muovere dal riscontro della sentenza n. 1333/1976 delle Sezioni Unite di questa Corte. Sull’autorità di questa pronuncia, in effetti, il ricorrente basa per intero la sua pretesa di applicare la norma dell’art. 2787 c.c., comma 4, alla fattispecie concretamente in esame. Posta di fronte a una fattispecie di pegno nel concreto costituita da polizza di pegno n. 791, sottoscritta dal debitore poi fallito ed esibita in originale , come pure costituente parte integrale delle scritture contabili della Banca creditrice e soggetta quindi a speciali forme di controllo secondo l’accertamento compiuto dalla sentenza della Corte di Appello di Bari che era stata impugnata , la detta pronuncia ebbe a confrontarsi specificamente con il problema di interpretare la formula enti che, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno , contenuta nell’ultimo comma della norma dell’art. 2787 c.c Per risolverlo nel senso di ritenere che, in tale categoria dommatica enti autorizzati a compiere professionalmente operazioni di credito su pegno , sono da ricomprendere non soltanto gli enti previsti dalla L. 10 maggio 1938, n. 745 e dal R.D. 25 maggio 1939, n. 1279, e cioè i monti di pegno e gli altri istituti autorizzati espressamente all’esercizio del credito pignoratizio, secondo le modalità previste dalle suddette norme, ma anche gli istituti di credito in genere abilitati ancorché in via non esclusiva alle operazioni di credito su pegno, in base alla generica autorizzazione all’esercizio del credito . Di conseguenza, il principio di diritto desumibile da tale contesto motivazionale è che tutte le banche autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria secondo le leggi del tempo e secondo quanto oggi dispone la norma dell’art. 14 del testo unico bancario, D.Lgs. n. 385 del 1993 possono compiere professionalmente operazioni di credito su pegno e in via correlata avvantaggiarsi della peculiare disciplina dettata dal comma 4 dell’art. 2787 c.c 10.- Come ha sottolineato l’ordinanza che ha rimesso la controversia in esame alla pubblica udienza, la fattispecie concreta, che formò oggetto dell’analisi delle Sezioni Unite, è piuttosto remota risalendo, nelle sue radici, al giugno 1963 . Tanto più che, nell’abbondante mezzo secolo che è passato, la materia bancaria ha subito fortissimi per quantità e qualità rivolgimenti legislativi. Nella specie, la formula enti debitamente autorizzati a compiere professionalmente operazioni di credito su pegno - di cui appunto all’art. 2787 c.c., comma 4 - ha visto mutare il termine dei suoi riferimenti normativi. Che è attualmente costituito dalla norma dell’art. 48 testo unico bancario, sotto la rubrica credito su pegno . Nella versione odierna - introdotta con il D.Lgs. n. 342 del 1999 e dunque applicabile alla fattispecie concretamente in esame la cui dimensione fattuale richiama la parte finale del primo decennio degli anni 2000 - tale norma dispone, in particolare, che le banche possono intraprendere l’esercizio del credito su pegno di cose mobili disciplinato dalla L. 10 maggio 1938 e dal R.D. 25 maggio 1939, n. 1279, dotandosi delle necessarie strutture e dandone comunicazione alla Banca d’Italia così esprimendo, in particolare, uno dei fenomeni cardine dell’evoluzione normativa che ha attraversato l’ordinamento bancario, quale rappresentato dalla c.d. despecializzazione delle relative imprese . È dunque da rilevare che il testo normativo vigente viene in modo esplicito a confermare quanto meno il nocciolo di ciò che ebbero a suo tempo a ritenere le Sezioni Unite tutte le banche, in quanto autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria, possono svolgere attività professionale di credito su pegno e, quando lo fanno, vengono in via correlata a giovarsi della peculiare disciplina scritta nell’ultimo comma dell’art. 2787 c.c 11.- Ciò posto, si tratta adesso di affrontare il nodo problematico rappresentato dall’interpretazione della formula credito su pegno , di cui ancora al testo normativo in esame. Problema, questo, che, per un verso, non è stato affrontato dalla sentenza delle Sezioni Unite, limitata a considerare il punto dell’identificazione soggettiva posto dalla norma, degli enti, cioè, che possono giovarsi della relativa disciplina. E che, per altro verso, propone - per l’identificazione del tipo di operatività avvantaggiato da tale disciplina - uno scenario per una parte diverso da quello in origine presentato dalla norma dell’art. 2787, comma 4 il riferimento normativo al credito su pegno , se da un lato deve continuare a confrontarsi con le regole della L. n. 745 del 1938 e del regolamento n. 1279/1939 nelle parti tuttora in vigore, come richiamate dal citato art. 48 , cioè, dall’altro dev’essere pure collocato nel complessivo sistema normativo conformato dal testo unico bancario del 1993. 12.- Il Collegio non ritiene che - nel contesto della norma dell’art. 2787 c.c., comma 4 - il sintagma credito su pegno rimanga sprovvisto di un qualunque significato di connotazione operativa, sino a dissolversi nella semplice sussistenza di una garanzia pignoratizia posta a presidio di un qualunque credito bancario. Più indici contrastano, invero, una simile lettura, nel contempo indicando, o altrimenti suggerendo, lo schema di operatività bancaria che risulta conformato dalla L. n. 745 del 1938 e dal regolamento n. 1279/39. Un primo aspetto va direttamente alla capacità evocativa dell’espressione in discorso credito su pegno , appunto, o anche, con variante meno frequente, prestito su pegno che da sempre richiama un dato e specifico tipo di operatività creditizia un tempo, di pertinenza caratteristica dei monti di pietà e di pegno, quale loro attività fondamentale , e oggi aperta sì all’azione di qualunque banca, ma pure sempre conservata nelle sue linee cardinali costitutive, secondo il disegno per l’appunto formato dall’attuale norma dell’art. 48 TUB la peculiarità strutturale di vertice dell’operazione consisterebbe, secondo studi di recente dottrina, in ciò che al rimborso del finanziamento risulta destinato il solo bene dato in garanzia, il finanziato non rispondendo della restituzione con gli altri beni del proprio patrimonio . 13.- Un altro rilievo discende immediato dal testo proposto dal comma 4 dell’art. 2787 c.c. Che, oltre a richiamare l’attività imprenditoriale di operazioni di credito su pegno, viene in modo specifico ad appuntarsi sulla polizza di pegno cfr. l’incipit della norma . Si tratta, in effetti, del documento fondamentale e caratteristico dell’operatività del credito su pegno cfr. la L. n. 745 del 1938, art. 10 e il R.D. n. 1279 del 1939, art. 37 , non certo dei pegni in genere costituiti nell’ambito dell’attività creditizia delle banche. Sarebbe dunque senz’altro scorretto trascurare un’indicazione di simile spessore. 14.- In realtà, nel contesto normativo in discorso, l’espresso riferimento al nomen documentale caratteristico delle operazioni di credito su pegno - e tale considerato dalla legge e dal regolamento a tali operazioni dedicate - non può che possedere un significato qualificante. E perciò pure paradigmatico e parametrico delle altre scritture dalla disposizione in esame e da intendere, dunque, nei termini di documentazione nella sostanza equivalente a quella che consegue alla polizza . Tanto più che si tratta di estensione non già al genere della scrittura privata in quanto tale, ma circoscritta alle scritture provenienti dagli enti debitamente autorizzati all’operatività del credito su pegno come pure sono le polizze, firmate dal rappresentante legale del Monte o da un funzionario all’uopo delegato dal Consiglio e dal perito , L. n. 745 del 1938, ex art. 10, comma 2 . Si tratta, perciò, di documentazione sicuramente non sovrapponibile a quella richiamata dall’art. 2787 c.c., comma 3, che risulta puntualizzata invece sulla provenienza dello scritto da parte del datore del pegno cfr., sul punto, Cass., 4 febbraio 2019, n. 3199 . Nella prospettiva dell’esenzione dalla data certa per l’indiscriminato genere delle operazioni bancarie garantite da pegno, per contro, la stessa posizione di un presupposto del genere che il pegno, cioè, risulti da polizza o altra scrittura proveniente dall’ente garantito apparirebbe oggettivamente inspiegabile. 15.- Va ancora aggiunto che, sul piano sistematico, la norma dell’art. 2787, comma 4, trova corrispondenza nella disposizione della L. Fall., art. 67, u.c., appunto intesa nell’attuale versione a esonerare, tra l’altro, le operazioni di credito su pegno dalla revocatoria fallimentare la formula originaria discorreva invece di enti autorizzati a compiere operazioni di credito su pegno, limitatamente a queste operazioni . È da notare, al riguardo, come la dottrina - segnalato il fenomeno di despecializzazione degli enti bancari che è stato condotto anche dall’art. 48 TUB v. già sopra, nel n. 10 - sia ferma nel fissare il perimetro dell’esenzione sulla configurazione oggettiva delle operazioni regolate dalla L. n. 745 del 1938 e dal regolamento n. 1279/39. Nè potrebbe risultare in qualche modo giustificata, sul piano oggettivo, la soluzione di una diversa applicazione di fronte a norme così simmetriche quali appunto sono, nell’attuale, quelle dell’art. 2787, comma 4, e quella dell’art. 67, comma 4 . È appena il caso di ricordare, poi, come la giurisprudenza di questa Corte - che non risulta abbia avuto modo di confrontarsi sul testo vigente dell’esenzione revocatoria in discorso - abbia sempre tenuto, davanti al testo originario, concentrata l’attenzione sui termini oggettivi dell’operatività data dal credito su pegno cfr. Cass., 18 novembre 1998, n. 11606 . 16.- Una lettura della norma dell’art. 2787 c.c., comma 4, che intenda esonerare l’intero spettro delle operazioni bancarie garantite da pegno, risulta pure sconsigliata, com’è evidente, dalla perdurante vigenza del principio della par condicio creditorum e pure si pone in sostanziale distonia, se non più, con il dovere di sana e prudente gestione che il testo unico del 1993, con l’introdurre la norma dell’art. 5, ha posto in capo alle imprese bancarie . Una simile lettura non mancherebbe, del resto, di presentare significativi problemi di giustificazione oggettiva per la deteriore posizione in cui verrebbe a collocare i creditori pignoratizi di diritto comune nei confronti del ceto dei creditori bancari. Anche perché, comunque, potrebbe facilmente apparire, nell’intrinseco, non razionale un sistema che - esentando le imprese bancarie dalla data certa per l’intero genere delle operazioni di pegno - lasci tuttavia integra, per tutta la restante loro attività, la soggezione di queste imprese alla regola generale posta dall’art. 2704 c.c 17.- A fronte degli assunti formulati dal ricorrente cfr. sopra, il n. 7 appare opportuno precisare, in via ulteriore, che la disciplina dettata dalla norma dell’art. 2787 c.c., u.c. si risolve nello stabilire un regime agevolato circa la prova del tempo della costituzione della garanzia, senza in alcun modo incidere sulla disciplina delle altre condizioni richieste dalla legge per l’operare della prelazione art. 2787 c.c., commi 2 e 3 . In questi termini si è puntualmente espressa, invero, una non recente decisione di questa Corte Cass., 1 marzo 1973, n. 560 , a cui il Collegio ritiene si debba senz’altro dare continuità. Il tenore della disposizione in questione si mostra, infatti, del tutto univoca al riguardo. D’altro canto, la disciplina fissata dalla legge e dal regolamento relativi all’operatività del credito su pegno non manca di esigere in modo esplicito con previsione in sé idonea a soddisfare le condizioni della sufficiente indicazione del credito garantito e della cosa data in garanzia , di cui alla norma dell’art. 2787 c.c., comma 3 che la documentazione connessa al prestito erogato contenga la descrizione sommaria della cosa costituita in pegno, il valore di stima attribuito, la data di concessione e quella della scadenza del pegno, l’indicazione dei corrispettivi dovuti al Monte L. n. 745 del 1938, art. 10 . 18.- Non può essere dubbio, d’altra parte, che - per il rispetto della prescrizione dettata dalla norma dell’art. 2787 c.c., comma 3 - non basta che la scrittura munita di data certa contenga un’indicazione generica della cosa data in pegno, quand’anche accompagnata dall’indicazione del valore della medesima pur al di dà della constatazione che il passo della scrittura, che è stato riportato dal ricorrente, non viene a riferire nè il momento temporale a cui la valutazione fa riferimento, nè i parametri costitutivi della valorizzazione così effettuata . Secondo l’opinione corrente per la giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass., 7 giugno 1999, n. 5562 , la noma persegue lo scopo di evitare postume sostituzioni, ovvero pure addizioni, del bene dato in garanzia che nel frattempo abbia veduto diminuire il proprio valore di scambio in effetti, l’enunciazione di un dato valore rispetto a beni indicati in modo generico non risulta per nulla idonea a scongiurare il rischio di una simile eventualità. 19.- Il secondo motivo di ricorso assume che il Tribunale ha errato nell’ affrontare la circostanza relativa alla produzione documentale fornita dall’odierna ricorrente antecedentemente e contestualmente la prima udienza di comparizione delle parti . Più specificamente, il ricorrente assume di avere prodotto, in sede di opposizione allo stato passivo, . gli originali dei titoli costituivi del pegno già in precedenza prodotti in copia in sede di ammissione dello stato passivo e che lo stesso decreto del Tribunale riconosce che alla prima udienza di comparizione la ricorrente ha prodotto l’originale dei titoli costitutivi del pegno, recante l’impronta dei timbri postali di spedizione . 19.- Il motivo va respinto. La documentazione prodotta in allegato al ricorso in opposizione non reca apposto il timbro postale. La documentazione fatta valere nell’ambito della prima udienza di comparazione reca apposto, per contro, il detto timbro. Ne consegue che la prima documentazione non può essere considerata copia della seconda in ragione della assai rilevante differenza di documentato, che intercorre tra l’una e l’altra, nonché la evidente tardività della seconda produzione, giusta il disposto della norma della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4. 20.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi . Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto del comma 1 bis dell’art. 13.