Sanzioni antiriciclaggio: si applica la nuova disciplina se più favorevole al sanzionato

Ai sensi dell’art. 69 del vigente d.lgs. n. 231/2007 anche per le sanzioni amministrative di cui alla normativa antiriciclaggio trova immediata applicazione, se più favorevole al soggetto sanzionato, la disciplina sopravvenuta di cui al d.lgs. n. 90/2017, così derogandosi il principio generale del tempus regit actum.

In questi termini si è espressa la Seconda Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13509/19, depositata il 20 maggio. Il caso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a seguito di un accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza di Bergamo, irrogava ad una società una sanzione contestando la violazione dell'art. 1, comma 1, l. n. 197/1991. La società proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Brescia lamentando a l'inesistenza della notifica del processo verbale di contestazione stante l'omessa compilazione della relata di notifica b la violazione dell'art. 14 l. n. 689/1981, essendo la notifica del processo verbale di contestazione intervenuta oltre i termini ivi stabiliti. Il Tribunale di Brescia rigettava l'opposizione e successivamente la Corte di Appello dichiarava l’inammissibilità ex artt. 348- bis e ter c.p.c. del gravame avanzato dalla società. Quest’ultima ricorreva per Cassazione formulando quattro motivi 1 violazione degli artt. 18, comma 6, l. n. 689/1981, 137 c.p.c., 156 c.p.c. e 3 della l. n. 890/198, non avendo il Tribunale rilevato che l'omessa compilazione della relata di notifica del verbale di contestazione integra un'ipotesi di inesistenza della stessa 2 violazione dell'art. 14 l. n. 689/1981 e dell'art. 115 c.p.c. non avendo il Tribunale rilevato la tardività della contestazione della violazione 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della Direttiva 91/308 CEE avendo il Tribunale ritenuto che fosse irrilevante la natura in sé lecita dell'operazione di pagamento in contanti, stante l'illiceità del trasferimento di denaro contante, senza il tramite di intermediario abilitato 4 violazione degli artt. 5, comma 1, l. n. 197/1991 e 3 l. n. 241/1990 per non aver il Tribunale applicato la norma più favorevole al soggetto ingiunto nella determinazione della sanzione irrogabile. Con ampia e convincente motivazione, la Corte di Cassazione ha respinto i primi tre motivi di ricorso accogliendo invece l’ultimo. Sulla nullità della relata di notifica. Quanto al primo motivo, ricorda la Corte il proprio orientamento Cass. n. 2817/2006 per cui, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., la nullità – e segnatamente la nullità per inosservanza di forme – non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Il principio vale anche in ipotesi di inesistenza della notifica la quale non determina in via automatica l'inesistenza anche dell'atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso all'Ufficio per adottare e notificare il provvedimento amministrativo tributario Cass. n. 4760/09 Cass. n. 13259/12 . Chiarisce poi la Corte, in ordine alla dedotta inesistenza della notifica, derivante dalla omessa compilazione della relata, che la notifica di un’ordinanza ingiunzione di pagamento, ex art. 14 l. n. 689/1981, può essere effettuata anche dal funzionario che abbia accertato la violazione, senza che lo stesso sia vincolato alle modalità di cui al c.p.c., avendo, invece, facoltà di scelta tra vari mezzi previsti dalla legge. Ne consegue che la notificazione di un’ordinanza ingiunzione eseguita come nella specie a mezzo del servizio postale, con plico raccomandato recante l’indicazione dell'effettivo destinatario, pur in assenza della compilazione della relata di notifica di cui al c.p.c., non può comportare l’inesistenza dell'atto ove lo stesso sia stato regolarmente ricevuto, così da consentire all'ingiunto una tempestiva e rituale opposizione Cass. n. 2079/2008 . La tempestività dell’accertamento. Quanto al secondo motivo, la Corte ricorda che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme antiriciclaggio, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione stessa, l'attività di accertamento dell'illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi oggettivi e soggettivi dell'infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell'infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. Compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all'Amministrazione per giungere a una simile completa conoscenza, individuando il dies a quo di decorrenza del termine, e tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell'assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione Cass. n. 9311/2007 Cass. n. 26734/2011 Cass. n. 18574/2014 Cass. n. 7681/2014 . Ad avviso della Corte, pertanto, il Giudice di merito, a fronte di circostanziate doglianze relative all'ingiustificata dilatazione dei tempi di contestazione, ha puntualmente motivato sulle ragioni che lo hanno indotto a giudicare tali tempi come ragionevoli non essendo siffatto giudizio sindacabile in sede di legittimità Cass. n. 8204/2016 . Le limitazioni nell’uso del contante. Quanto al terzo motivo, è noto, ad avviso della Corte, che il divieto posto dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 143/1991, convertito, con modificazioni, l. n. 197/1991, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori ad euro 12.500, senza ricorrere ad intermediari abilitati, riguarda il trasferimento a qualsiasi titolo tra soggetti diversi. Ne deriva che ai fini della sussistenza dell'illecito - per il quale non costituisce circostanza esimente la liceità dell'operazione sottostante e la struttura causale del negozio giuridico ad esso correlato - è sufficiente che si realizzi la semplice traditio del denaro tra soggetti diversi, i quali si rendono quindi responsabili della violazione, non occorrendo che il trasferimento comporti una autonoma disponibilità del denaro in capo al percettore Cass. n. 1645/2017 Cass, n. 9881/2018 . Secondo gli Ermellini è dunque corretto il percorso motivazionale del giudice di merito il quale – accertata l’esistenza di trasferimenti di denaro in contante senza il tramite di intermediari abilitati – ha ritenuto che la ratio legis andasse individuata nell’esigenza di garantire la trasparenza e tracciabilità” delle operazioni finanziarie al fine di prevenire possibili illeciti, essendo invece irrilevante la natura in sé lecita delle operazioni sottostante. L’applicazione della legge più favorevole. La Corte accoglie invece il quarto motivo rilevando però che le doglianze della ricorrente risultano superate dall'entrata in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 90/2017. Ritiene infatti la Corte che la disciplina di cui al d.lgs. n. 90/2017, che ha innovato le disposizioni legislative presenti nel d.lgs. n. 231/2007, trovi applicazione anche ai procedimenti pendenti di opposizione alla sanzione amministrativa irrogata nella vigenza della precedente normativa Cass. n. 28888/2018 Cass. n. 20697/2018 . All'art 69 del vigente d.lgs. n. 231/2007 risulta codificato, in via generale, il principio del favor rei, consentendo anche per le sanzioni amministrative correlate alla disciplina antiriciclaggio l'immediata applicazione della normativa sopravvenuta, se più favorevole, così derogando al principio generale del tempus regit actum . La lettera del citato art. 69 appare, ad avviso della Corte, chiara nel disciplinare appositamente la sorte delle condotte illecite poste in essere precedentemente alla sua entrata in vigore ma ancora pendenti, ribadendo il principio della loro soggezione alla disciplina vigente al momento della commissione del fatto, ma solamente quando questa sia più favorevole al soggetto sanzionato, sicché in difetto di tale presupposto trova applicazione la nuova disciplina. La rilevazione di ufficio della sopravvenienza di un regime sanzionatorio che in concreto può risultare più favorevole all’ingiunto, in relazione all'esito degli apprezzamenti di fatto di cui dell'art. 67 d.lgs. n. 231/2007, come modificato dal d.lgs. n. 90/2017, impone pertanto la cassazione della sentenza ed il rinvio al giudice di merito perché valuti se, in relazione all'illecito contestato, debba ritenersi in concreto più favorevole il regime sanzionatorio precedente o quello successivo eventualmente rideterminando il trattamento sanzionatorio alla stregua della normativa sopravvenuta.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio – 20 maggio 2019, n. 13509 Presidente Manna – Relatore Bellini Fatti di causa R.R. e la C.S.C. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore R.P. , proponevano opposizione avverso il decreto di ingiunzione n. 82617 del 18.3.2011, con il quale il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE aveva irrogato loro la sanzione di Euro 709.698,00, a fronte della contestata violazione della L. n. 197 del 1991, art. 1, comma 1. Gli opponenti lamentando l’inesistenza della notifica del decreto per violazione della L. n. 890 del 1982, stante l’omessa compilazione della relata di notifica, il difetto di legittimazione della GdF. di Bergamo, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, essendo la notifica del processo verbale di contestazione intervenuta oltre i termini ivi stabiliti e contestando, comunque nel merito, la fondatezza della contestazione alla base della sanzione irrogata. La parte convenuta contestava quanto dedotto dalla controparte e chiedeva la conferma del provvedimento impugnato. Con sentenza n. 2935/2013, depositata il 17.9.2013, il Tribunale di Brescia rigettava l’opposizione, confermando il provvedimento impugnato e condannando la parte opponente alle spese di lite. Avverso detta sentenza - il cui appello è stato dichiarato inammissibile con ordinanza ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. dalla Corte d’Appello di Brescia - propongono ricorso per cassazione R.R. e la C.S.C. s.p.a., sulla base di quattro motivi resiste il Ministero dell’Economia e delle Finanze con controricorso. La causa, fissata per l’adunanza camerale del 5 marzo 2018 è stata fissata nella udienza pubblica del 17 luglio 2018 e su istanza, accolta, dei ricorrenti rinviata alla odierna pubblica udienza. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la Violazione della L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, art. 137 c.p.c., art. 156 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 3 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , poiché l’omessa compilazione della relata di notifica integra un’ipotesi di inesistenza della stessa, risultando violate le richiamate norme in materia di notifica a mezzo posta e di rilevanza della nullità degli atti. Viceversa il Tribunale, pur essendo incontestato che la notificazione a mezzo posta fosse viziata dalla omessa compilazione della relativa relata, ha ritenuto che il vizio non configurasse un’ipotesi di inesistenza, bensì di nullità del procedimento notificatorio, sanabile ex art. 156 c.p.c. per raggiungimento dello scopo dell’atto. 1.1. - Il motivo non è fondato. 1.2. - L’art. 156 c.p.c., comma 3, sancisce che la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato . Secondo il concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità Cass. n. 2817 del 2006 , la nullità per inosservanza di forme non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato nella specie, lo scopo era quello di rendere edotto l’interessato del verbale elevato nei suoi confronti e di porlo in grado di difendersi . Inoltre, questa Corte ha assimilato le ipotesi di nullità della notifica a quelle di inesistenza, giungendo alla stessa conclusione, cioè alla sanatoria ex art. 156 c.p.c. Cass. n. 4760 del 2009, per la quale l’inesistenza della notificazione non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso all’Ufficio per adottare e notificare il provvedimento amministrativo tributario nonché Cass. n. 13259 del 2012, secondo cui la rituale notificazione a mezzo del servizio postale del verbale di accertamento della violazione amministrativa e della conseguente ordinanza ingiunzione, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 14 e 18, attestata dai rispettivi avvisi di ricevimento, implica la conoscenza legale di tali atti in capo al destinatario, dovendosi, pertanto, escludere che spetti al mittente l’onere di fornire la prova anche del contenuto del plico notificato . Per quanto, più specificamente, riguarda la dedotta inesistenza della notifica, derivante dalla omessa compilazione della relata, questa Corte ha chiarito che la notifica di ordinanza ingiunzione di pagamento, L. n. 689 del 1981, ex art. 14, può essere anche effettuata da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione contestata, senza che detto funzionario sia vincolato alle modalità di notificazione previste dal codice di rito,avendo, invece, facoltà di scelta tra vari mezzi previsti dalla legge. Ne consegue che la notificazione di ordinanza ingiunzione eseguita come nella specie a mezzo del servizio postale, con plico raccomandato recante la indicazione dell’effettivo destinatario ed il domicilio, pur in assenza della compilazione della relata di notifica, prevista dal codice di rito, ove l’atto sia stato regolarmente ricevuto, in guisa da consentire all’ingiunto una tempestiva e rituale opposizione, non può comportare la inesistenza dell’atto stesso, ma, eventualmente, la sua nullità, comunque sanata dal raggiungimento dello scopo cui esso era preordinato Cass. n. 2079 del 2008 . Il Tribunale, nella regolamentazone della fattispecie, ha fatto corretta applicazione di tali principi, per cui va esclusa la configurabilià delle denunciate violazioni di legge. 2. - Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la Violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 e dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , in quanto il Tribunale ha ritenuto che, al fine di determinare il dies a quo del termine per la contestazione della violazione, occorresse computare il tempo occorrente all’Autorità amministrativa per avere il quadro completo dei dati oggettivi e soggettivi della violazione e, a tal fine, ha ritenuto ragionevole la contestazione avvenuta con il verbale di accertamento del 3.4.2006, affermando che la riprova della natura complessa degli accertamenti, benché essenzialmente basati su riscontri documentali, fosse da riscontrare nella circostanza dell’avvenuta rideterminazione della sanzione da parte della Guardia di Finanza, a seguito di un ricalcolo delle movimentazioni finanziarie, con scomputo di alcune in precedenza considerate illecite. Secondo i ricorrenti l’assunto è infondato, dal momento che la correzione, cui fa cenno il Tribunale, non è stata operata dalla GdF, bensì successivamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ne dà atto nel decreto opposto. Dunque, il Giudice di prime cure ha basato il proprio convincimento su un assunto del tutto indimostrato, anzi errato, in quanto frutto dell’erronea percezione della documentazione prodotta in giudizio. 2.1. - Il motivo non è fondato. 2.2. - Questa Corte ha affermato che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme antiriciclaggio, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione stessa, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. Compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile completa conoscenza, individuando il dies a quo di decorrenza del termine, e tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione Cass. n. 9311 del 2007 conf. Cass. n. 18574 del 2014 Cass. n. 26734 del 2011 cfr., altresi, Cass. n. 7681 del 2014 . 2.3. - Orbene, il giudice di merito ha coerentemente ed adeguatamente motivato in ordine alla congruità del suddetto termine. Il Tribunale ha, infatti, espressamente posto in evidenza che, nel caso di specie, la Guardia di Finanza aveva iniziato la verifica il 24.11.2005 e che - stante la natura degli accertamenti, implicanti la valutazione di danni emergenti da una variegata tipologia di documentazione contabile nonché attività di riscontro anche presso soggetti terzi - l’avvenuta redazione del verbale di accertamento in data 3.4.2006, con contestuale notifica all’A.U. della società opponente, R.R. , previa acquisizione delle dichiarazioni di quest’ultimo, dovesse ritenersi legittima ai sensi della disposizione in esame laddove il Tribunale ha, altresì, rilevato che la riprova della natura complessa degli accertamenti, benché essenzialmente basati su riscontri documentali, schede del conto cassa, ma anche ricevute di pagamento e contabili di prelievo della provvista da conto corrente della società opponente, acquisite dalla G.d.F. in data 28.11.2005 trovava riscontro anche nella circostanza dell’avvenuto ricalcolo della sanzione, melius re perpensa ed evidentemente compiuta in bonam partem, sicché risulta di per sé privo di rilievo attribuire tale operazione alla G.d.F. piuttosto che al Ministero dell’Economia e delle Finanze , previo scomputo di talune operazioni in precedenza considerate illecite v. sentenza impugnata pag. 3 . Risulta, pertanto, rispettato il principio secondo il quale il giudice di merito, a fronte di circostanziate doglianze relative all’ingiustificata dilatazione dei tempi di contestazione, debba motivare come nella specie ha fatto sulle ragioni che lo hanno indotto a giudicare tali tempi come ragionevoli Cass. n. 8204 del 2016 . 3. - Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della Direttiva 91/308 CEE art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che fosse irrilevante la natura in sé lecita dell’operazione di pagamento in contanti, stante l’illiceità in sé del trasferimento di denaro contante, senza il tramite di intermediario abilitato. Viceversa, secondo i ricorrenti, il Legislatore, con la L. n. 197 del 1991 - nel quadro di un più ampio disegno regolamentare sancito a livello Europeo - ha inteso perseguire un ben definito ordine di comportamenti potenzialmente illeciti, cioè diretti ad avvalersi del sistema bancario per scopi di riciclaggio. Da ciò, i ricorrenti deducono la violazione della Direttiva 91/308/CEE artt. 1 e 2 , in quanto essa sancisce che l’intendimento perseguito dalla normativa sull’antiriciclaggio non è quello di colpire qualsiasi movimento finanziario, bensì prevenire che gli enti creditizi e finanziari possano essere utilizzati per riciclare i proventi di attività illecite mentre nella fattispecie, la condotta degli opponenti nulla aveva a che fare con le enunciazioni elencate in sede comunitaria, non essendovi provenienza da attività criminosa, in quanto come rilevato dallo stesso organo accertatore le somme di denaro oggetto di contestazione risultavano essere state prelevate da conti bancari aziendali e i relativi movimenti erano stati contabilizzati. 3.1. - Il motivo è infondato. 3.2. - Come affermato da questa Corte, quanto alla normativa diretta a limitare l’uso del contante nella transazioni e a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, il divieto posto dal D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 1991, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori ad Euro 12.500, senza ricorrere ad intermediari abilitati, riguarda il trasferimento a qualsiasi titolo tra soggetti diversi. Ne deriva che ai fini della sussistenza dell’illecito - per il quale non costituisce circostanza esimente la liceità dell’operazione sottostante e la struttura causale del negozio giuridico ad esso correlato - è sufficiente che si realizzi la semplice traditio del denaro tra soggetti diversi, i quali si rendono quindi entrambi responsabili della violazione, non occorrendo che il trasferimento comporti una autonoma, e finale in base al negozio sottostante, disponibilità del denaro in capo al soggetto percettore Cass. n. 1645 del 2017 conf. Cass., n. 9881 del 2018 . 3.3. - Del tutto correttamente, dunque, il Tribunale ritenuto incontestato, e comunque documentale, che i trasferimenti di denaro in contante senza il tramite di intermediari abilitati, oggetto di contestazione, afferivano ad operazioni commerciali tra imprenditori e risultavano supportate da regolari fatture del destinatario dei singoli pagamenti e rilevato che peraltro la ratio legis andasse individuata nella esigenza di garantire la trasparenza e tracciabilità delle operazioni finanziarie al fine di prevenire possibili illeciti ha affermato essere irrilevante la natura in sé lecita dell’operazione di pagamento in contanti, stante l’illiceità in sé del trasferimento di denaro contante, senza il tramite di intermediario abilitato sentenza impugnata, pag. 4 . 4. - Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentavano la Violazione della L. n. 197 del 1991, art. 5, comma 1, e L. n. 241 del 1990, art. 3 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . In particolare essi avevano eccepito la mancata applicazione della norma più favorevole, deducendo che la L. n. 197 del 1991, art. 5, prevedeva, originariamente, una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 40%, mentre, per effetto del D.Lgs. n. 56 del 2004, art. 6, ha previsto l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% ed avevano contestato la carente motivazione dell’entità della sanzione, stante la mancanza di indicazioni dei parametri assunti al fine di addivenirne all’irrogazione, chiedendo che fosse rideterminata l’entità della sanzione irrogabile, in misura pari al minimo edittale, prevista dal testo di legge ritenuto più favorevole. Viceversa, il Tribunale di Brescia aveva ritenuto congrua la sanzione applicata, pari al 7% dell’importo delle movimentazioni oggetto di contestazione, implicitamente rigettando l’eccezione degli opponenti sul vizio di motivazione del decreto. 4.1. - Il motivo va accolto. 4.1. - Le su esposte doglianze rimangono superate dall’entrata in vigore, nelle more di questo giudizio di legittimità, della sopravvenuta normativa di cui al D.Lgs. n. 90 del 2017, oggetto specifico delle argomentazioni illustrate dalle parti nelle memorie difensive. In quella depositata dai ricorrenti ex art. 378 c.p.c. si evidenzia che, in materia di limitazioni all’uso del contante, il D.Lgs. n. 90 del 2017, attuativo della Direttiva UE 2015/849, ha modificato il precedente D.Lgs. n. 231 del 2007, con previsione di sanzioni più miti per i trasferimenti in contanti, e con introduzione del principio del favor rei. Per cui, nel caso di specie, sarebbe irrogabile una sanzione edittale compresa tra un minimo di Euro 15.000,00 e un massimo di Euro 250.000,00. In quella depositata dal Ministero si osserva che il nuovo D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 69 prevede il principio del favor rei, che, tuttavia, non può estendersi ai casi in cui il procedimento sanzionatorio si sia concluso e il decreto sia stato emesso come nella fattispecie alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 90 del 2017, e cioè prima del 4.7.2017. 4.2. - E opinione di questa Corte Cass. n. 28888 del 2918 Cass. n. 20697 del 2018 che la disciplina portata dal D.Lgs. n. 90 del 2017, che ha innovato le disposizioni legislative presenti nel D.Lgs. n. 231 del 2007, trovi applicazione anche ai procedimenti pendenti di opposizione alla sanzione amministrativa irrogata nella vigenza della precedente normativa. Difatti, con chiarezza, all’art. 69 del vigente testo normativo risulta posto, in via generale, il principio del favor rei, consentendo anche per le sanzioni amministrative correlate alla normativa antiriciclaggio l’immediata applicazione della normativa sopravvenuta, se più favorevole, così derogando al principio generale sino ad oggi ritenuto per le sanzioni amministrative del tempus regit actum. La lettera dell’art. 69 citato appare perspicua nel disciplinare appositamente la sorte delle condotte illecite poste in essere precedentemente alla sua entrata in vigore ma ancora pendenti, ribadendo bensì il principio della loro soggezione alla disciplina vigente al momento della commissione del fatto, ma solamente quando questa sia più favorevole al soggetto sanzionato, sicché in difetto di tale presupposto trova applicazione la nuova disciplina in quanto sia più favorevole. Le ragioni illustrate dalla difesa dell’Amministrazione per ritenere che la norma in questione non trovi applicazione alle sanzioni già irrogate non convincono poiché estranee alla lettera della norma, altrimenti priva di significato in quanto comunque i fatti illeciti commessi prima dell’entrata in vigore del provvedimento legislativo rimanevano soggetti alla normativa vigente al momento del fatto, secondo il costante insegnamento sul punto di questa Suprema Corte. Quindi la prescritta espressa disposizione legislativa per derogare al principio generale dell’irretroattività della legge ex art. 11 preleggi risulta presente in dipendenza della disposizione di cui al D.Lgs. n. 90 del 2017, art. 69, che appositamente disciplina la sorte delle violazioni alla normativa antiriciclaggio commesse anteriormente alla sua entra in vigore. Non concorre, dunque, la prospettata antinomia con la previsione di apposita applicazione retroattiva della nuova normativa presente nel D.Lgs. n. 90 del 2017, art. 68 comma 5, posto che detta disposizione regola la possibilità di definizione agevolata in sede amministrativa anche per situazioni,siccome quella dell’avvenuta emanazione del provvedimento sanzionatorio, che ne comportano il definitivo superamento. 4.3. - In difetto di norma espressa al riguardo, si porrebbe seriamente il problema se al sanzionato fosse consentito riproporre l’istanza di definizione agevolata, propria di una fase del procedimento - quello avanti l’Autorità amministrativa sanzionante - oramai definitivamente chiusa. Laddove, nemmeno appare aver pregio il richiamo alla clausola d’invarianza economica, ex art. 74 D.Lgs. n. 90 del 2017, posto che il credito litigioso giammai può esser ritenuto entrata stabile per l’Erario poiché la sua effettiva esistenza è soggetta all’esito incerto della lite giudiziaria. Ed un tanto trova puntuale evidenziazione normativa proprio nel testo del citato art. 74 che specificatamente disciplina la copertura finanziaria degli effetti derivanti alle casse erariali da una norma che consente la modifica di una situazione già cristallizzatasi art. 68 con l’emanazione del provvedimento sanzionatorio, come dianzi già illustrato, quando non ancora impugnato. 4.4. - La Corte ha, dunque, enunciato il seguente principio In materia di sanzioni amministrative, le norme sopravvenute nella pendenza del giudizio di legittimità che dispongano retroattivamente un trattamento sanzionatorio più favorevole devono essere applicate anche d’ufficio dalla Corte di cassazione, atteso che la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione nè tale conclusione contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, perché la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato e pertanto, ai sensi del’art. 336 c.p.c., è destinata ad essere travolta dall’eventuale caducazione di quest’ultima, cosicché essa non può passare in giudicato fino a quando l’accertamento della responsabilità dei sanzionato non sia a propria volta passata in giudicato Cass. n. 20697 del 2018 . La rilevazione di ufficio della sopravvenienza di un regime sanzionatorio che in concreto può risultare più favorevole al sanzionato, in relazione all’esito degli apprezzamenti di fatto di cui del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 67, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017, impone la cassazione della sentenza gravata ed il rinvio al Tribunale giudicante perché valuti se, in relazione all’illecito commesso dai ricorrenti, debba per costoro ritenersi in concreto più favorevole il regime sanzionatorio di cui al D.L. n. 143 del 1991 o quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017 e, in questa seconda ipotesi, ridetermini il trattamento sanzionatorio alla stregua della normativa sopravvenuta. 5. - Di conseguenza, rigettati i primi tre motivi di ricorso, ed accolto il quarto, la sentenza impugnata va cassata esclusivamente in relazione al trattamento sanzionatorio ed in ragione della sopravvenuta disciplina in materia che impone una nuova valutazione circa la quantificazione della sanzione pecuniaria alla luce dei nuovi parametri normativi, e la causa va rimessa al Tribunale di Brescia, in persona di altro magistrato, per nuovo esame sul punto, e per disciplinare le spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, provvedendo sul ricorso, rigetta i primi tre motivi ed accoglie il quarto. Cassa la sentenza gravata nella parte concernente la misura della sanzione irrogata e rinvia al Tribunale di Brescia, altro magistrato, perché oltre a disciplinare le spese di questo giudizio valuti se, in relazione all’illecito commesso dal ricorrente, debba per costui ritenersi in concreto più favorevole il regime sanzionatorio di cui al D.L. n. 143 del 1991 o quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017 e, in questa seconda ipotesi, ridetermini il trattamento sanzionatorio alla stregua della normativa sopravvenuta.