Nozze freschissime ma senza convivenza: niente ‘carta di soggiorno’ alla moglie straniera

Chiusa definitivamente la vicenda riguardante una donna di origini marocchine. Respinta la sua richiesta di ottenere la ‘carta di soggiorno’ per motivi familiari, ossia per il matrimonio contratto con un italiano. Decisiva la constatazione, effettuata dalla Polizia municipale, dell’assenza di convivenza tra i coniugi.

Ufficialmente sposata da tre mesi con un cittadino italiano. Questo dato non è sufficiente però per riconoscere alla donna straniera la ‘carta di soggiorno’. A tradirla, difatti, è la constatazione della mancanza di una effettiva convivenza” col coniuge Cassazione, ordinanza n. 13562/19, sez. I Civile, depositata oggi . Cerimonia. Riflettori puntati su una donna di origini marocchine, ovvero sulle nozze tra lei e un cittadino italiano. I due risultano infatti ufficialmente sposati, con tanto di cerimonia in Marocco, ed hanno fissato la residenza nel Comune del marito, in provincia di Foggia. Passaggio logico, quindi, è la sua pretesa di ottenere la ‘carta di soggiorno’ e di vedere tutelato il proprio diritto alla unità familiare . Ma la domanda non ha l’esito sperato alla donna – che in precedenza ha ottenuto dalla Questura il visto d’ingresso per ricongiungimento familiare – viene negata la ‘carta di soggiorno’ per motivi familiari . Decisivo, e a lei sfavorevole, è il controllo effettuato dalla Polizia municipale, controllo che ha permesso di accertare la mancanza di una effettiva convivenza coniugale . Su questa linea si assestano non solo i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello, ma anche quelli della Cassazione che, in ultima battuta, respingono il ricorso proposto dalla donna, sancendo la vittoria del Ministero dell’Interno. Convivenza. Per fare chiarezza i Magistrati del ‘Palazzaccio’ tengono a sottolineare, come già fatto in secondo grado, che nel riconoscere il diritto del familiare ad acquisire il diritto di soggiorno permanente la normativa intende assicurare tutela a un legame familiare effettivo, plasticamente rappresentato dalla convivenza in caso di coniugio . Di conseguenza, la mancanza di alcuna convivenza – accertata dalla Polizia municipale – tra la moglie marocchina e il marito italiano fa venire meno i presupposti per il rilascio della ‘carta di soggiorno’ . Irrilevante il richiamo fatto dalla donna ai tre mesi di matrimonio , alla residenza nel Comune del marito e alla effettività del vincolo affettivo tra lei e il coniuge. A fronte di questa obiezione, difatti, i Giudici della Cassazione sottolineano che ciò che conta è l’esistenza di un concreto legame familiare che ben può essere rappresentato dalla convivenza , mentre è evidente che l’assenza di tale elemento disvela il carattere abusivo del vincolo matrimoniale .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 10 aprile – 20 maggio 2019, n. 13562 Presidente Didone – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. La cittadina marocchina Ly. Ai. adiva il Tribunale di Foggia con ricorso ex artt. 20 D.Lgs. 150/2011 e 702-bis cod. proc. civ. chiedendo di accertare l'illegittimità del provvedimento di rifiuto del rilascio della carta di soggiorno che aveva richiesto ai sensi dell'art. 10 D.Lgs. 30/2007 o di dichiarare lo stesso nullo per violazione del diritto all'unità familiare. La ricorrente spiegava di essersi unita in matrimonio in omissis con Pa. Mo., fissando la residenza coniugale in omissis , dove lo stato coniugale era stato regolarmente trascritto nei registri dello stato civile Ly. Ai. aveva così ottenuto dalla Questura di Foggia il visto d'ingresso per ricongiungimento familiare. La Polizia Municipale di Apricena tuttavia aveva riferito, a seguito dei sopralluoghi effettuati, la mancanza di un'effettiva convivenza coniugale, la cui constatazione aveva condotto al rifiuto del rilascio della carta di soggiorno per motivi di famiglia. Sulla base delle medesime informazioni il Tribunale di Foggia rigettava, all'esito del rito sommario, le domande proposte dalla ricorrente. 2. La Corte d'appello di Bari, a seguito dell'impugnazione proposta da Ly. Ai., osservava che la fattispecie rimaneva regolata dal D.Lgs. 30/2007, che, nel riconoscere il diritto del familiare ad acquisire il diritto di soggiorno permanente, intendeva assicurare tutela a un legame familiare effettivo, plasticamente rappresentato dalla convivenza in caso di coniugio, dovendosi invece escludere dall'ambito applicativo della norma ogni comportamento abusivo volto a eludere la disciplina sull'immigrazione. La corte distrettuale pertanto, una volta preso atto della mancanza di alcuna convivenza fra i coniugi, rigettava l'appello proposto. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Ly. Ai. affidandosi a due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell'Interno. Ragioni della decisione 4.1 Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115, 116, 257, comma 2, e 356 cod. proc. civ. in relazione all'art. 2697 cod. civ. la corte distrettuale, dopo aver rilevato che l'appellante non aveva assolto l'onere di dimostrare che dopo il matrimonio fosse iniziata un'effettiva convivenza, avrebbe rigettato l'impugnazione proposta senza preoccuparsi di provvedere in merito alla richiesta di rinnovazione dei mezzi istruttori già disattesa dal primo giudice e omettendo di sopperire d'ufficio al vizio probatorio riscontrato ai sensi dell'art. 356 cod. proc. civ 4.2 Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. 4.2.1 La stessa ricorrente assume che le proprie richieste istruttorie non siano state ammesse dal primo giudice perché formulate in maniera generica, in violazione del disposto dell'art. 244 cod. proc. civ A fronte di un simile provvedimento la parte aveva l'onere, in ragione dell'effetto devolutivo dell'appello, di censurare la statuizione di rigetto delle istanze istruttorie con uno specifico motivo di gravame, reiterandole nell'atto introduttivo ai sensi degli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., affinché il giudice d'appello compisse un nuovo apprezzamento dell'ammissibilità e della rilevanza delle richieste disattese in primo grado Cass. 1532/2018, Cass. 23978/2015 . A questo proposito il ricorrente sostiene di aver chiesto l'ammissione dei mezzi istruttori già domandati e non ammessi dal primo giudice, ma non ha indicato dove e in che modo la sollecitazione sia avvenuta. Questa Corte, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è si anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purché però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale si vedano in questo senso, ex multis, Cass. 2771/2017, Cass. 19410/2015 . Occorreva pertanto che l'odierna ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell'atto di appello che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a una autonoma ricerca degli atti rilevanti ai fini del vizio denunciato ma solo a una verifica del contenuto degli stessi. In mancanza di una simile indicazione le doglianze in esame risultano giocoforza inammissibili per violazione del disposto dell'art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ 4.2.2 Il motivo è del pari inammissibile, laddove, sotto le spoglie della eccepita violazione di legge processuale derivante dal rigetto della richiesta di prova avanzata, tenta di introdurre un sindacato di fatto sull'esito della prova documentale. In proposito occorre richiamare il consolidato principio secondo cui, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è rubricato della valutazione delle prove Cass., Sez. U., 15486/2017, Cass. 5009/2017, Cass. 24548/2016 e Cass. 11892/2016 . 4.2.3 Il collegio d'appello non era poi tenuto ad assumere d'ufficio alcuna iniziativa istruttoria, perché l'art. 356 cod. proc. civ. non prevede certo che il giudice dell'impugnazione sopperisca di proprio impulso al mancato rituale assolvimento dell'onere probatorio che ricade sulla parte. 5.1 Il secondo mezzo lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 113 cod. proc. civ., 10 e 23 D.Lgs. 30/2007 e 30 D.Lgs. 286/98 nonché della direttiva 2004/38/CE, in relazione agli artt. 10, comma 3, 29, comma 1, e 111 Cost. la corte distrettuale avrebbe erroneamente disapplicato al caso di specie l'art. 23 D.Lgs. 30/2007, malgrado Ly. Ai. avesse richiesto il rilascio del titolo di soggiorno come familiare di un cittadino dell'Unione Europea, a distanza di tre mesi dal matrimonio e dalla collocazione della sua residenza nel Comune di Apricena. A tal fine assumevano rilievo, piuttosto che la convivenza, la sussistenza del vincolo familiare e l'effettività del legame affettivo per di più il giudice di secondo grado avrebbe travisato il concetto di convivenza, attribuendogli il significato di coabitazione, sebbene il legislatore, alludendo a una convivenza effettiva, intendesse valorizzare lo stabile e continuativo vincolo affettivo esistente fra i coniugi, intima espressione dell'affectio maritalis. Né la Questura avrebbe fornito, nel giudizio di primo grado, prove idonee a confutare l'asserita sussistenza di un valido matrimonio tra le parti, così violando il diritto all'unità familiare, riconosciuto dagli artt. 10, comma 3, e 29, comma 1, della Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei Diritti Umani del 1948 art. 16 comma 3 , dal Patto internazionale dei diritti civili e politici art. 23 comma 1 e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali art. 10, comma 1 . 5.2 Il motivo è inammissibile. Gli argomenti addotti nella censura non si pongono affatto in termini disarmonici con il tenore della decisione impugnata, la quale, proprio come propone il ricorrente, individua come rilevante per il rilascio della carta di soggiorno prevista dall'art. 10 D.Lgs. 30/2007, sulla scorta di criteri mutuati dal successivo art. 14, l'esistenza di un effettivo legame familiare ed attribuisce alla convivenza il valore di elemento rappresentativo di un simile rapporto o meglio ritiene che l'assenza di alcuna convivenza disveli il carattere abusivo del vincolo matrimoniale contratto . Una volta registrata la mancanza di qualsiasi contrasto in merito all'interpretazione da attribuire al quadro normativo di riferimento, non rimane che registrare come la doglianza in esame, a fronte dell'accertamento dell'assenza di alcuna convivenza - che rientra nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito -, intenda non tanto criticare gli apprezzamenti in diritto del giudice di merito, ma, nella sostanza, proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un'inammissibile richiesta di rivisitazione del merito Cass. 8758/2017 . 6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito, accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.