La protezione sussidiaria e le “fonti di informazione privilegiate”

In tema di concessione della protezione sussidiaria, in ordine alla verifica dei presupposti di cui all’art. 14 d.lgs. n. 251/2007, è onere del giudice ai sensi dell’art. 8 comma 3 d.lgs. n. 25/2008 specificare la fonte utilizzata ed il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione.

È quanto si legge nell’ordinanza n. 13452/2019 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 17 maggio. Il caso. A.H. presentava domanda di protezione internazionale in quanto minacciato di morte dai suoi fratelli per aver avuto rapporto sessuali e poi aver sposato una donna di fede cristiana successivamente convertitasi all’Islam. La minaccia di morte gli era stata comunicata da un parente che gli aveva altresì consigliato di lasciare il Pakistan. La commissione territoriale di Salerno rigettava la richiesta, in quanto le ragioni di A.H. non apparivano tali da giustificare il timore di persecuzione ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, né un rischio di danno grave ex art. 14 d.lgs. n. 251/2007, né emergevano condizioni per assicurare forme di protezione complementari. In particolare la commissione territoriale riteneva poco plausibile il racconto del richiedente la protezione non era stata fornita, infatti, alcuna informazione né su come aveva conosciuto la moglie, né sul perché l’aveva preferita a sua cugina, né sul motivo per il quale la moglie si era convertita all'islam, posto che i matrimoni interreligiosi non sono proibiti in Pakistan. Inoltre, nella regione pakistana di provenienza di A.H., il Panjab, pur essendo presenti elementi di tensione politica, non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata tale da comportare il rischio effettivo di un danno grave per l’intera popolazione ovvero una minaccia grave ed individuale per la sua vita. A.H. il 23.10.2017 impugnava il provvedimento de quo. Il Tribunale di Campobasso con decreto del 27.03.2018 rigettava il ricorso perché ritenuto manifestamente infondato. In particolare, il Tribunale ha ritenuto la insussistenza di elementi in grado di collegare l’espatrio di A.H. alle condizioni di cui all’art. 11 d.lgs. n. 251/2007 in quanto il racconto del ricorrente risultava lacunoso, incongruente e fumoso non veniva fornito né il nome dei fratelli-minacciatori, né il nome del parente che gli avrebbe consigliato di fuggire, nonché come questi fosse venuto a conoscenza del progetto omicida. Il Tribunale affermava poi che soltanto talune regioni del Pakistan erano interessate da guerre civili, così come da apposito report del Ministero degli Esteri del febbraio 2018, tra le quali non risultava ricompresa quella di provenienza di A.H. Avverso la pronuncia de qua, A.H. propone ricorso per cassazione lamentando, con un unico motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 25/2008 in relazione all’art. 360 ,comma 1, n. 3, c.p.c. Precipuamente il ricorrente lamentava che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere assente la situazione di pericolo nella regione del Panjab sulla base di un generico rapporto del Ministero degli Esteri. La Cassazione accoglie il ricorso. La protezione internazionale e lo status di rifugiato. In relazione alla particolare condizione, allo straniero può essere riconosciuto o lo status di rifugiato art. 1 Convenzione di Ginevra o lo status di protezione sussidiaria art 14 d.lgs. n. 251/2007 . Si tratta di due diverse forme di protezione internazionale, la cui differente tutela deriva dal verificarsi di taluni criteri di carattere sia oggettivo e soggettivo, e che si riferiscono alla storia personale del richiedente, alle ragioni della richiesta e al Paese di provenienza. Precipuamente, col termine rifugiato è indicato il cittadino straniero che, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. La protezione sussidiaria, diversamente, è concessa a favore del cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. La verifica dei presupposti per la protezione sussidiaria. L’art. 14 d.lgs. n. 241/2007 prescrive che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria sono considerati gravi danni la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano ai danni del richiedente nel suo Paese di origine la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Al fine di verificare la sussistenza dei presupposti menzionati, ci si avvale dei poteri di informazione e di indagine di cui all’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, in forza del quale la verifica deve essere fatta alla luce di informazioni precise e chiare nonché aggiornate sulla situazione esistente nel Paese di origine del richiedente elaborate da apposita Commissione nazionale, ovvero dal Ministero degli affari esteri c.d. fonti di informazione privilegiate . In particolare, se da un lato è vero che il richiedente ha l’onere di allegare ovvero produrre tutti gli elementi e la documentazione necessaria per supportare la propria domanda, è altrettanto vero che spetta all’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo pertinente, soprattutto per quanto concerne le condizioni generali in cui versa il Paese di origine, soprattutto laddove le informazioni del richiedente a riguardo sono scarse o comunque insufficienti. È quindi onere dell’autorità decidente procedere a tutti gli accertamenti finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente avendo poi cura di indicare esattamente nel provvedimento conclusivo le fonti utilizzate ed il loro aggiornamento. Nel caso di specie, il Tribunale ha fatto un generico riferimento ad un report del Ministero degli Esteri risalente a febbraio 2018, senza la puntuale verifica d’ufficio della situazione del Pakistan e, nel dettaglio, la zona del Punjab, indicando nella motivazione una fonte non determinata a sufficienza, e non considerando le altre fonti richiamate dall’art. 8 summenzionato, né delle informazioni provenienti dalle principali organizzazioni non governative nel settore della cooperazione internazionale, ritenendo meramente e semplicemente inverosimile il racconto del richiedente in base a valutazioni di elementi secondari e omettendo la valutazione di elementi essenziali della storia. In definitiva, in tema di concessione della protezione sussidiaria, in ordine alla verifica dei presupposti di cui all’art. 14 d.lgs. n. 251/2007, è onere del giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, specificare la fonte utilizzata ed il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione. Sulla base di tale argomentazioni, la Cassazione accoglie il ricorso di A.H.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 marzo – 17 maggio 2019, n. 13452 Presidente Bisogni – Relatore Oliva Fatti di causa Con ricorso del 23.10.2017 il ricorrente impugnava il provvedimento della Commissione Territoriale di Salerno, sezione di Campobasso, con il quale era stata rigettata la domanda, da lui avanzata, di riconoscimento della protezione internazionale. A sostegno della sua domanda il ricorrente aveva dedotto di esser stato costretto a lasciare il Pakistan in quanto era stato minacciato di morte dai suoi fratelli per aver prima messo incinta e poi sposato una donna di fede cristiana, poi convertitasi all’islam. Il richiedente aveva precisato che suo zio, residente a con la sua famiglia, gli aveva consigliato di espatriare perché i suoi fratelli avevano ingaggiato un sicario per ucciderlo, anche in base al suggerimento dell’imam della loro città di origine Rawalpindi che aveva prescritto di uccidere sia il richiedente che la moglie per aver fatto sesso prima del matrimonio. La Commissione territoriale aveva ritenuto che le ragioni addotte dal ricorrente non potessero essere ritenute sufficienti a giustificare il timore di persecuzione ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra sul diritto dei rifugiati del 1951, né un rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e che non emergessero le condizioni idonee ad assicurare allo straniero forme complementari di protezione. In particolare la Commissione territoriale aveva ritenuto vago e non plausibile il racconto dell’odierno ricorrente, il quale non aveva fornito alcuna informazione sul modo con cui aveva conosciuto la moglie e sul perché l’aveva poi preferita alla cugina, né sul motivo per cui la moglie si era convertita all’islam, posto che i matrimoni interreligiosi non erano proibiti in Pakistan. Inoltre, aveva affermato che nella regione del Punjab, della quale il ricorrente era originario, pur essendo presenti elementi di tensione politica, non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata tale da comportare un rischio effettivo di danno grave per l’intera popolazione civile ovvero una minaccia grave e individuale alla sua vita. Con il decreto oggi impugnato il Tribunale di Campobasso respingeva il ricorso ritenendolo manifestamente infondato. Osservava che non risultavano, in concreto, elementi idonei a collegare l’espatrio del ricorrente alle condizioni di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 11, in quanto il racconto del ricorrente è palesemente portatore delle lacune e incongruenze puntualmente rilevate dalla Commissione, né risultano specifici elementi che leghino il suo espatrio alle condizioni poste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 11, avendo raccontato al più un fumoso episodio relativo ad una presunta controversia di natura privata e religiosa, non sfociato in aggressioni fisiche e violenze ma solo in asserite minacce verbali ad opera dei suoi stretti familiari . Inoltre, evidenziava che il ricorrente non aveva fornito i nomi delle persone che lo avrebbero minacciato né dello zio che gli avrebbe suggerito di abbandonare il Paese non aveva detto come lo zio avesse appreso del progetto omicida dei suoi fratelli non aveva spiegato per quale motivo sarebbe stato in pericolo visto che la moglie si era convertita all’islam ed infine non avrebbe chiarito come mai, trovandosi a , non si era rivolto alle locali forze dell’ordine per invocare protezione. Affermava poi che il Pakistan non era afflitto da guerra civile o da situazioni di conflitto interno ad essa paragonabili, in quanto la violenza dovuta alle forze terroriste, secondo il più recente report del Ministero degli Esteri consultato a Febbraio 2018 attiene solo ad alcuni territori Baluchistan, Khyber Pakhtunkhwa, Gilgit Baltistan tra cui non è compresa la distante regione di provenienza dell’istante Punjab, città di Gujrat . Ed infine, valorizzava la circostanza che questa Corte avesse respinto per analoghi motivi i ricorsi di altri cittadini pakistani provenienti dal distretto del Punjab. Ricorre per la cassazione di detto provvedimento A.H. affidandosi ad un unico articolato motivo. Ragioni della decisione Con il motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché il Tribunale avrebbe erroneamente ravvisato l’assenza di situazioni di pericolo derivante da violenza indiscriminata nel Paese di origine del richiedente, basando il proprio giudizio su un rapporto del Ministero degli Esteri, non meglio individuato, senza considerare che da altre fonti qualificate emergeva, al contrario, una situazione di generale pericolosità dell’intero Paese, e della zona del Punjab in particolare. Il motivo è fondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28990 del 12/11/2018, Rv.651579 Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 17075 del 28/06/2018, Rv. 649790 Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018 Rv. 649647 Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 9427 del 17/04/2018, Rv. 648961 Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 14998 del 16/07/2015, Rv.636559 Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv.634949 Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv.623728 Cass. Sez. U, Sentenza n. 27310 del 17/11/2008, Rv.605498-01 . Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e quindi . alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa . Ne deriva l’insufficienza del riferimento - operato nel provvedimento impugnato - ai più recenti report del Ministero degli Esteri , in quanto trattasi di indicazione generica, non idonea a specificare quale fonte, in concreto, è stata utilizzata dal giudice di merito e quindi non sufficiente ad assicurare il controllo sull’attendibilità di essa e soprattutto sulla sua effettiva ricomprensione nel novero di quelle previste dal richiamato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Al riguardo, va considerato da un lato che questa Corte ha ritenuto insufficiente il riferimento alle risultanze del sito del Ministero degli Esteri destinato all’informazione turistica, in quanto rivolte all’utenza di coloro che intendono recarsi nel Paese oggetto di indagine e quindi non idonee a descrivere l’effettiva condizione di vita dei cittadini del predetto Paese Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728 . E, dall’altro lato va ribadito che, fermo il dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la normativa in tema di protezione umanitaria . pone a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti. In particolare, deve ritenersi necessario l’approfondimento istruttorio officioso allorquando il richiedente descriva una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali ciò proprio al fine di verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv.634949, cit. . È quindi onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento. In proposito, va ribadito anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale quali ad esempio Amnesty International e Medici Senza Frontiere , che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate. Da quanto esposto discende che il Tribunale ha errato nell’omettere la puntuale verifica d’ufficio della situazione in cui versa il Pakistan, e la zona del Punjab in particolare, indicando nella motivazione del provvedimento impugnato una fonte non sufficientemente determinata, non considerando le varie fonti indicate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non tenendo conto delle informazioni provenienti dai siti web delle principali organizzazioni non governative attive nel settore della cooperazione internazionale e ritenendo inverosimile il racconto del richiedente in base da un lato alla valorizzazione di elementi di carattere secondario, e dall’altro alla totale omissione della valutazione degli elementi essenziali della storia. Va sul punto affermato il seguente principio di diritto Il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle cd. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione sul punto, cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimata . Nemmeno appare pertinente il richiamo, operato nella parte finale della motivazione del provvedimento impugnato, ad altri precedenti di questa Corte concernenti diversi cittadini pakistani originari della zona del Punjab. Va infatti riaffermato che l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14006 del 31/05/2018, Rv. 649169 , onde non è possibile ritenere esclusa tale condizione sulla base del mero riferimento a casi di altre persone provenienti dalla stessa area geografica. Peraltro detti precedenti non sono neanche pertinenti, posto che la sentenza n. 3233 del 2017, della sezione seconda di questa Corte, è relativa ad una controversia in materia di possesso, mentre le ordinanze della sezione sesta - prima nn. 3718, 17894, 26402 e 22621 del 2017 non contengono alcuna affermazione circa l’assenza di violenza e situazione di pericolo per l’incolumità individuale nel Punjab. In definitiva, il ricorso va accolto con conseguente cassazione del provvedimento impugnato e rinvio della causa al Tribunale di Campobasso, in persona di diverso giudice, affinché provveda al riesame della situazione nel rispetto dei principi enunciati in motivazione, regolando altresì le spese del presente giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Campobasso, in persona di diverso giudice.