I confini del vizio di extrapetizione

Il giudice di merito incorre nel vizio di extrapetizione laddove attribuisca alla parte un bene non richiesto poiché non compreso neppure implicitamente o virtualmente, nelle deduzioni od allegazioni e non quando ponga a fondamento della decisione esiti documentali, relativi agli atti del giudizio di primo grado, che naturalmente si offrono alla valutazione del giudice di appello .

Lo ha precisato la sentenza della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12014/19, depositata il 7 maggio. La vicenda. La questione è giunta in Cassazione a seguito della pronuncia con cui la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di prime cure, respingeva la domanda di assegno divorzile avanzata dall’ex moglie, confermando la decisione sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sull’affido della figlia minore, sulle modalità di visita e sull’assegnazione della casa familiare. Extrapetizione? Tra le doglianze proposte, la ricorrente lamenta il vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale per aver poggiato la propria decisione su elementi estranei alle allegazione effettuate in appello dall’ex marito. Il motivo risulta però infondato alla luce del principio secondo cui il giudice di merito incorre nel vizio di extrapetizione quando attribuisce alla parte un bene non richiesto, perché non compreso neppure implicitamente o virtualmente, nelle deduzioni od allegazioni, e non quando ponga a fondamento della decisione esiti documentali che, relativi agli atti del giudizio di primo grado, naturalmente si offrono alla valutazione del giudice di appello in quanto legittimamente acquisiti al preventivo e potenziale contraddittorio . Il motivo risulta dunque non perspicuamente dedotto. Spese processuali. Con il ricorso viene dedotta anche la violazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. per difetto di motivazione sulla parziale soccombenza reciproca delle parti. La Corte ricorda che nel regolare le spese di lite in caso di soccombenza reciproca, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi, sempre che non sussistano particolari motivi, da esplicitare in motivazione, per una integrale compensazione o comunque una modifica del carico delle spese in base alle circostanze di cui è possibile tenere conto ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c., nel testo temporalmente vigente . In conclusione, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 7 maggio 2019, n. 12014 Presidente Giancola – Relatore Scalia Fatti di causa 1. Il Tribunale ci Velletri, dopo aver pronunciato con sentenza parziale sulla domanda di cessazione degli effetti civili dei matrimonio celebrato tra i coniugi A.R. e S.A.M. , con cui decideva sulle domande sull’affido della figlia minore L. e le modalità di visita nonché sull’assegnazione della casa coniugale alla moglie, provvedeva con successiva sentenza a fissare a carico del marito un assegno mensile di Euro 250,00 per il mantenimento della ex moglie ed un assegno di contributo al mantenimento della figlia di Euro 500,00 mensili. La Corte ci appello di Roma su impugnativa di A. , che chiedeva dichiararsi i coniugi entrambi economicamente indipendenti, in parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda di assegno divorzile avanzata in primo grado da S.A.M. che condannava nella misura di un terzo, al pagamento delle spese di lite che nel resto compensava. 2. Avverso l’indicata sentenza ricorre in cassazione S.A.M. con tre motivi di ricorso. Resiste con controricorso A.R. . Con ordinanza interlocutoria in data 29 gennaio 2018 della sesta sezione le parti sono state rimesse all’odierna pubblica udienza nella rilevata pendenza, all’epoca, di questione dinanzi alle Sezioni Unite civile della cassazione in materia di assegno divorzile analoga a quella dedotta in lite. Fissata l’odierna udienza, con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la ricorrente ha insistito negli originari motivi deducendo, tra l’altro, la mancata applicazione, per l’intervenuta revoca dell’assegno divorzile, dei principi affermati medio tempore dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 del 2018. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 345 e 116 c.p.c., falsa applicazione del principio del contraddittorio ed omesso esame e pronuncia su di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte territoriale, in violazione del novum in appello segnato dalle previsioni di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, dopo aver rilevato a mancanza di documentazione fiscale aggiornata degli ex coniugi e aver ammesso le relative produzioni, nel ritenuto il ritardo della ricorrente nella cura dell’adempimento, avrebbe ritenuto inutilizzabile la produzione per non avere la controparte accettato il contraddittorio e, tanto, nonostante il carattere ordinatorio del termine la cui inosservanza non sarebbe stata neppure valutabile nei termini di cui all’art. 116 c.p.c Il motivo è infondato. La sollecitazione del giudice di appello ai coniugi, parti del giudizio di determinazione dell’assegno divorzile, a produrre nel grado la documentazione aggiornata sulle situazioni di reddito, non vale ad introdurre, per un non consentito esercizio di poteri ufficiosi in una materia rimessa alla disponibilità delle parti, un inammissibile novum probatorio in appello, ma è, piuttosto, espressiva di quegli accertamenti d’ufficio che il giudice del merito può disporre attraverso la polizia tributaria sui redditi e sui patrimoni dei coniugi secondo esigenza che ben può porsi anche in appello, nella necessità di adeguare la decisione all’attualità, previa integrazione del bagaglio istruttorio già fornito ma incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova arg. ex Cass. 15/11/2016 n. 23263 sulla officiosità del potere del giudice del merito di richiedere informazioni alla polizia tributaria . Nel resto, la critica difensiva non si confronta con la motivazione sul punto articolata dalla Corte di merito. I giudici di appello qualificano invero come pacifico l’ammontare del reddito di lavoro dei coniugi per poi sottolineare, valorizzata la consensuale esclusione dell’assegno in sede di separazione, che la richiesta successivamente avanzata in sede divorzile sia stata determinata, secondo riportate dichiarazioni della moglie non Per modifiche sopravvenute delle proprie entrate ma unicamente in quanto si era accorta di dover sostenere spese superiori a Quanto aveva stimato all’epoca dell’omologa p. 3 sentenza di appello . L’inadempimento dell’onere della prova individuato nell’impugnata sentenza si traduce poi nell’esplicito riferimento ad asseriti prestiti contratti per la famiglia ed alle esigenze in tal modo fronteggiate p. 4 . Si tratta di estremi rimasti inesplorati dal proposto motivo che come tale si rivela infondato, con assorbimento dell’ulteriore dedotto profilo circa la non configurabilità di preclusioni processuali dalla inosservanza di termini ordinatori. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione del principio del tantum devolutum quantum appalatum. La Corte di appello avrebbe revocato l’assegno divorzile riconosciuto dal primo giudice nella misura di Euro 250,00 violando i motivi di appello, con i quali, peraltro tardivamente e solo nella conclusionale di primo grado, il ricorrente, poi appellante, aveva richiesto la revoca dell’assegno deducendo l’esistenza di una convivenza more uxorio della moglie e non altro, ogni altra valutazione risultando poi resa dalla Corte di merito non secondo allegazione di parte ed in contrasto con il principio di devolutivo. La sentenza avrebbe violato la giurisprudenza di legittimità correttamente applicata dal primo giudice, risultando in atti l’inadeguatezza dei redditi della ricorrente a consentire il mantenimenti/ricostituzione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e quindi a mantenere e conservare una villa di grande pregio, quale era la ex casa coniugale, nell’onerosità dello sport praticato dalla figlia minore con lei convivente la durata del matrimonio, pari a 23 anni la disparità dei redditi, guadagnando il marito il doppio rispetto alla moglie l’impegno della ricorrente profuso nella cura ceda figlia con lei convivente il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio Lu. per il quale l’ex marito non versava più l’assegno di contributo al mantenimento. 2.1. Il motivo di natura processuale là dove denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e che come tale legittima questa Corte ad una lettura diretta degli atti del processo, si rivela infondato per una plurima lettura per le ragioni di seguito esposte. 2.2. Ed invero l’appellante ha dedotto in appello i profili patrimoniali che sostengono la questione della debenza dell’assegno riconosciuto alla ex moglie nel precedente grado, L. n. 898 del 1970, ex art. 5, commi 6 e 7 e succ. modif. pp. 8 e ss. . 2.3. D’altra parte, con il motivo non viene dedotto il rilievo avuto sulla decisione dagli esiti delle prove relative alla convivenza more uxorio della ricorrente, anche in punto di regolamentazione delle spese di lite, e, ancora, la censura portata alla sentenza di appello risulta non specifica ed autosufficiente quanto al rilievo che la documentazione debitoria, non transitata in atti per le ragioni indicate a paragrafo che precede, avrebbe avuto. 2.4. La contestazione sul vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte di merito per aver poggiato le raggiunte conclusioni su evidenze, quali le richieste e le dichiarazioni rese dalla ricorrente all’epoca della separazione nella fase presidenziale, estranee alle allegazioni effettuate in appello dall’ex marito, è infondata, in ragione del principio di seguito indicato. Il giudice di merito incorre nel vizio di extrapetizione quando attribuisce alla parte un bene non richiesto, perché non compreso neppure implicitamente o virtualmente, nelle deduzioni od allegazioni, e non quando ponga a fondamento della decisione esiti documentali che, relativi agli atti del giudizio di primo grado, naturalmente si offrono alla valutazione del giudice di appello in quanto legittimamente acquisiti al preventivo e potenziale contraddittorio . Estraneo pertanto al tema dell’allegazione di parte, ma ricompreso in quello della prova nell’osservanza del principio del contraddittorio, il motivo risulta non perspicuamente dedotto. 3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di motivazione sul giudizio di parziale soccombenza delle parti e sulla condanna de residuo della ricorrente là dove controparte era risultata soccombente sull’assegnazione della ex casa coniugale, sul collocamento della figlia minore e sulla stessa revoca dell’assegno divorzile riconosciuta per un motivo diverso da quello dedotto in lite. Il motivo infondato. La soccombenza reciproca invero sostiene la motivazione sulla compensazione che come tale non resta, come invece dedotto in ricorso, immotivatamente sostenuta da una discrezionalità sconfinata in arbitrarietà. Vale invero in materia il principio in ragione del quale Nel regolare le spese di lite in caso di reciproca soccombenza, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi, sempre che non sussistano particolari motivi, da esplicitare in motivazione, per una integrale compensazione o comunque una modifica del carico delle spese in base alle circostanze di cui è possibile tenere conto ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c., nel testo temporalmente vigente” Cass. 22/02/2016 n. 3438 . Al principio si adegua la motivazione adottata dalla Corte romana in punto di regolamentazione delle spese processuali che come tale si sottrae alla dedotta censura. 4. Il ricorso complessivamente infondato va rigettato, con condanna della ricorrente, secondo la regola della soccombenza, alle spese che vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente S.A.M. a rifondere a A.R. le spese del procedimento di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese vive oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.