L’ultrattività del mandato in caso di morte della parte assistita

In caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, opera il principio dell’ultrattività del mandato alla lite a prescindere dalla mancata dichiarazione in udienza o notificazione alle altre parti di tali eventi.

Il fatto. Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11767/19, depositata il 6 maggio, pronunciandosi su una controversia avente ad oggetto la proprietà di un terreno. Dinanzi alla Corte di legittimità viene infatti dedotta la questione relativa alla notifica dell’atto di appello che sarebbe stata effettuata al procuratore costituito dell’attrice nonostante la parte difesa fosse deceduta in precedenza. Secondo la ricorrente ciò comporterebbe la nullità della sentenza, posta la conseguente venuta meno del mandato e l’irrilevanza della mancata dichiarazione del decesso nel corso del giudizio. L’ultrattività del mandato. Il Collegio, dichiarando infondato il ricorso, ricorda che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dalle stesso non dichiarate in udienza né notificate alle altre parti, comportano, in virtù del principio dell’ultrattività del mandato alla lite, che la notifica della sentenza al procuratore è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del legale rappresentante dell’incapace. Il medesimo procuratore è inoltre legittimato a proporre impugnazione ad eccezione del ricorso per cassazione , sempre che fosse munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo. In tal caso la parte rappresentata, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace . È infine ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui ex art. 330, comma 1, c.p.c. senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante. Respingendo l’ulteriore motivo di ricorso che censura sostanzialmente la ricostruzione in fatto operata dal giudice di merito, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 3 ottobre 2018 6 maggio 2019, n. 11767 Presidente Oricchio Relatore Tedesco Ritenuto in fatto che - L.S.M. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Lamezia Terme G.C. e R.F. - l’attrice chiedeva l’accertamento del proprio diritto di proprietà su un terreno sito in OMISSIS a lei pervenuto per successione ereditaria di B.C. fu G. , che l’aveva acquistato in forza di compravendita del 19 giugno 1911 da S.S. - i convenuti, costituendosi, affermavano a loro volta di essere proprietari del terreno in contesa sulla base di titoli - nel corso del giudizio di primo grado interveniva il decesso del difensore dei convenuti e il processo era riassunto nei confronti dei rispettivi eredi - il tribunale accoglieva la domanda - contro la sentenza proponevano appello G.V. e R.C. due degli eredi dei convenuti originari - essi sostenevano che il primo giudice aveva qualificato la domanda di controparte quale azione di accertamento della proprietà, mentre si trattava in effetti di azione di rivendicazione, con il conseguente onere dell’attrice di offrire la c.d. probatio diabolica - il primo giudice aveva invece ritenuto che l’attrice, già nel pieno dominio dell’immobile conteso, non avesse altro onere, onde conseguire l’accoglimento della domanda, se non quello di allegare il proprio titolo di acquisto - la Corte d’appello di Catanzaro accoglieva il gravame, riconoscendo che la domanda, originariamente proposta da L.S.M. , doveva essere qualificata come azione di rivendicazione - ciò posto riteneva che l’attrice non avesse assolto all’onere probatorio che ne conseguiva - conseguentemente rigettava la domanda e compensava le spese di lite - contro la sentenza A.A. , erede di L.S.M. , ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi - R.C. ha resistito con controricorso - gli altri intimati sono rimasti tali. Considerato in diritto che - con il primo motivo il ricorrente si duole perché la corte d’appello non ha rilevato che l’atto di appello era stato notificato al procuratore costituito di L.S.M. , nonostante la parte difesa fosse già deceduta in precedenza, essendo venuto meno di conseguenza anche il mandato - la corte d’appello ha ritenuto invece valida la notificazione, facendone derivare la contumacia di L.S.M. - secondo il ricorrente ciò comporta la nullità della sentenza, essendo circostanza irrilevante che la morte non fosse stata dichiarata nel corso del giudizio di primo grado dal procuratore costituito - si sostiene che il principio di ultrattività del mandato vale solo con riferimento al grado di giudizio nel quale si è verificato l’evento che ha colpito la parte rappresentata - il motivo è infondato - la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che a la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c , è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace b il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace c è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., da parte del notificante Cass. n. 15295/2014 . - il secondo motivo denuncia l’errore commesso dalla corte di merito nella qualificazione della domanda - non si trattava di azione di rivendicazione, ma di azione di accertamento della proprietà sulla base dei titoli - era conseguentemente diverso il regime probatorio, posto che la probatio diabolica è imposta solamente a carico di chi agisce in rivendicazione - il motivo è infondato - è chiaro che la censura muove dalla premessa che le due azioni, di accertamento della proprietà e di rivendicazione, siano soggette a un regime probatorio diverso - ciò è invece in contrasto con i recenti insegnamenti della Suprema Corte cui si intende dare continuità , in base ai quali colui il quale agisca per ottenere il mero accertamento della proprietà o comproprietà di un bene, anche unicamente per eliminare uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto esercitato sullo stesso, è tenuto, al pari che per l’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., alla probatio diabolica della titolarità del proprio diritto, trattandosi di onere da assolvere ogni volta che sia proposta un’azione, inclusa quella di accertamento, che fonda sul diritto di proprietà tutelato erga omnes Cass. n. 1210/2017 - in questa debita prospettiva, la questione della qualificazione della domanda, oggetto specifico della censura, è assorbita e superata dalla valutazione negativa in ordine alla prova offerta per la dimostrazione della proprietà - in verità con il motivo in esame, oltre all’aspetto riguardante la qualificazione della domanda, il ricorrente censura anche la ricostruzione in fatto operata dalla corte di merito, nella parte in cui ha ritenuto che l’attrice non avesse dato la prova del proprio diritto di proprietà - tuttavia esso continua a porsi nella prospettiva di un onere probatorio attenuato, rimproverando essenzialmente alla corte d’appello di avere privilegiato l’ultima delle consulenze tecniche espletate in corso di causa, che a torto aveva negato la possibilità di identificare l’oggetto della pretesa nel bene descritto nel titolo - tale censura, però, in quanto disgiunta dalla deduzione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di uno di uno o più fatti la cui considerazione avrebbe dovuto indurre la corte a riconoscere che la prova offerta a sostegno della domanda rispondeva comunque ai requisiti della probatio diabolica Cass., S.U., n. 8053/2014 , non attinge efficacemente la ratio decidendi - si menziona una dichiarazione autenticata del 1923 allegata al fascicolo di primo grado e esibita al consulente tecnico, che non è un fatto, ma al limite un elemento istruttorio e, in ogni caso, la dichiarazione, per il suo contenuto, è priva di decisività - si ricorda che in tema di ricorso per cassazione costituisce fatto o punto decisivo ai sensi del’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa Cass. n. 18368/2013 - il ricorso, pertanto, è rigettato, con addebito di spese. - poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.