Orientamento consolidato prima del termine di ragionevole durata? Niente equa riparazione

In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d’animo derivante dalla situazione di incertezza circa l’esito del giudizio è da escludersi non solo nel caso in cui la parte soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in tal caso la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dalla proposizione del giudizio, ma anche quando la consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese sia sopravvenuta prima che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole, come nel caso in cui si consolidi un orientamento giurisprudenziale contrario.

Tale in sintesi il contenuto della ordinanza della Corte di Cassazione n. 6241/19, depositata il 4 marzo, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. I fatti di causa. I ricorrenti nel giudizio deciso dalla sentenza in commento si erano visti respingere la richiesta di indennizzo per equa riparazione con la motivazione che, contrastando la domanda, proposta nel giudizio presupposto nell’anno 2002, con numerose pronunce rese sia in primo grado che in secondo a far data dal 1996 e dal 2003, non era riconoscibile il patema d’animo correlato all’incertezza dell’esito del giudizio. Impugnando il decreto emesso della Corte d’Appello davanti alla Corte di Cassazione, i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 2 l. n. 89/2001 c.d. Legge Pinto, la quale prevede l’equa riparazione per la violazione del termine di per ragionevole durata del processo e 6 Cedu Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo che nel disciplinare all’articolo 6 il diritto ad un equo processo prevede anche un termine ragionevole di durata . Secondo i ricorrenti, la Corte avrebbe errato, in base alla formulazione dell’articolo 2 applicabile ratione temporis alla fattispecie de qua , nel valutare, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, l’esito del giudizio. I ricorrenti aggiungono la considerazione che, non essendo stati condannati ex articolo 96 c.p.c., non poteva essere loro attribuita la temerarietà della lite, legittimante l’esclusione del patema. Lite temeraria nel testo dell’articolo 2 legge Pinto. In effetti, il testo della legge n. 89/2001 ha subìto varie modifiche nel tempo in particolare, per quanto attiene qui al riferimento alla versione ratione temporis operato dai ricorrenti, si osserva che nel 2016 ad opera della l. n. 208/2015 è stata introdotta l’esclusione dall’indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all'articolo 96 del codice di procedura civile nella versione precedente, la norma introdotta dal d.l. n. 83/2012 escludeva l’indennizzo a in favore della parte soccombente condannata a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile ricordiamo che l’articolo 96 c.p.c. disciplina la condanna della parte per responsabilità aggravata, altrimenti detta per lite temeraria”. Orientamento giurisprudenziale contrario consolidato ed equa riparazione. La Corte, nel respingere il ricorso, ribadisce il principio già affermato dalla giurisprudenza, per cui in tema di giudizi per equa riparazione il patema che giustifica il riconoscimento dell’indennizzo va escluso non solo in caso di proposizione di lite temeraria, ma anche quando la consapevolezza dell’infondatezza della domanda sopraggiunga prima che il processo superi il termine di durata ragionevole, come avviene nel caso in cui si consolidi definitivamente un orientamento della giurisprudenza avverso alla posizione dell’interessato menziona le sentenze di legittimità nn. 4890/2015, 11149/2016, 28592/2011 . Così è accaduto nel caso de quo , osserva la Corte, in cui il ricorso al TAR è stato proposto nel 2002, posto che già il Consiglio di Stato si era espresso in senso contrario, in adunanza plenaria nell’anno 1996 sentenze nn. 4 e 18/1996 il Consiglio di Stato aveva poi ribadito l’orientamento nel 2003 sentenza n. 842/2003 , dunque la consapevolezza circa l’infondatezza della domanda era da riportarsi almeno a tale ultimo anno. Evidenzia poi la Corte che gli stessi precedenti richiamati dai ricorrenti equiparano alla promozione della lite temeraria l’artata resistenza in giudizio volta al solo fine di superare il termine della ragionevole durata e quindi di conseguire il riconoscimento dell’indennizzo ex l. n. 89/2001. Dunque, osserva la Corte, l’accertamento della temerarietà non è fondamentale ai fini dell’esclusione del diritto all’equa riparazione. A tali fattispecie va ricondotto, conclude la Corte, il caso della prosecuzione del processo in caso di un consolidato orientamento negativo della giurisprudenza. Ciò in quanto la parte che ricorre al giudizio deve sempre rispettare i principi di buona fede e correttezza e dunque, ove non abbia una ragionevole aspettativa di tutela, astenersi da iniziative giudiziarie o da prosecuzioni delle stesse, le quali altrimenti si risolvono in una utilizzazione strumentale, e quindi abusiva, dello strumento processuale .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 4 dicembre 2018 – 4 marzo 2019, n. 6241 Presidente Petitti - Relatore Oliva Fatti di causa Con ricorsi originariamente depositati innanzi la Corte di Appello di Roma, e poi - a seguito della dichiarazione di incompetenza territoriale di quest’ultima - riassunti innanzi la Corte di Appello di Perugia, i ricorrenti invocavano il riconoscimento del diritto all’indennizzo per equa riparazione derivante dalla durata irragionevole del processo in relazione ad un giudizio svoltosi innanzi il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, distinto dal numero 10339/2002. Con il decreto impugnato, la Corte territoriale respingeva la domanda ritenendo che la tesi prospettata in sede amministrativa dai ricorrenti era stata smentita da numerose pronunce di vari T.A.R. e del Consiglio di Stato, queste ultime risalenti al 1996 e al 2003. Pertanto doveva escludersi almeno a partire dal 2003, secondo la Corte perugina, qualsiasi paterna d’animo correlato all’incertezza dell’esito del giudizio presupposto in capo ai ricorrenti. Interpongono ricorso per la cassazione di detto provvedimento A.G. , +Altri , affidandosi ad un unico motivo. Resiste con controricorso il Ministero. Ragioni della decisione Con l’unico motivo, i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell’art. 6 della C.E.D.U. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. perchè la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare l’esito del giudizio presupposto, in quanto - in base alla formulazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, applicabile ratione temporis alla fattispecie-avrebbe dovuto limitarsi al semplice accertamento della sussistenza, o meno, della violazione della durata ragionevole del giudizio. I ricorrenti evidenziano inoltre che, non essendo essi stati condannati, nel giudizio presupposto, al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., non potrebbe configurarsi a loro carico la temerarietà della lite, che - a loro avviso - costituisce il presupposto per l’esclusione del paterna d’animo in relazione all’esito del predetto giudizio. La doglianza è infondata. La Corte di Appello ha infatti escluso la sussistenza del paterna d’animo su cui si fonda il riconoscimento del danno derivante dalla irragionevole durata del giudizio alla luce della palese infondatezza della pretesa azionata dai ricorrenti e quindi, in ultima analisi, della natura temeraria della lite presupposta. Va al riguardo ribadito il principio secondo cui In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il paterna d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa è da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento di instaurazione del giudizio, ma anche quando la consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese sia sopravvenuta prima che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole, come nel caso in cui si sia definitivamente consolidato un orientamento sfavorevole della giurisprudenza Cass. Sez.6, Sentenza n. 4890 dell’11/03/2015, Rv.634840 Cass. Sez.2, Sentenza n. 11149 del 30/05/2016, non massimata Cass. Sez.6, Sentenza n. 28592 del 23/12/2011, Rv.620977 . Nel caso di specie è da escludere che l’incertezza circa l’orientamento della giurisprudenza amministrativa sulla spettanza del diritto al computo, nella base contributiva dell’indennità di buonuscita, delle due ore di lavoro aggiuntive rivendicate dai ricorrenti, permanesse all’atto della proposizione del ricorso al T.A.R. 2002 , posto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato era già intervenuta con sentenze n. 4 e n. 18 del 1996, con le quali era stata delineata la cornice del relativo giudizio e che comunque la questione era stata nuovamente affrontata dal predetto massimo organo della giustizia amministrativa con sentenza n. 842/2003 cfr. pag. 3 del decreto impugnato . Da quanto evidenziato dalla Corte territoriale si evince che, almeno a partire dal 2003 e quindi dall’anno successivo a quello di introduzione del giudizio amministrativo presupposto era chiara la manifesta infondatezza della domanda, con conseguente impossibilità di configurare in capo ai ricorrenti il diritto all’indennizzo per la durata irragionevole del processo, a fronte dell’assenza di paterna d’animo legato all’incertezza dell’esito della causa, la cui inutile prosecuzione presenta, in ultima analisi, natura temeraria. Peraltro, va evidenziato come anche i precedenti richiamati nel ricorso cfr. in particolare pag. 6 dello stesso equiparano alla promozione di una lite temeraria l’artata resistenza in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2 e quindi il diritto all’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 21131 del 19/10/2015, Rv. 636832 Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 9100 del 05/05/2016, Rv. 639641 Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 22150 del 02/11/2016, Rv. 641722 Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24190 del 13/10/2017, Rv. 645589 . Il che conferma che l’accertamento della temerarietà della difesa svolta nel giudizio presupposto non costituisce elemento necessario per il diniego del diritto all’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001. A queste fattispecie va ricondotta l’inutile prosecuzione del processo in presenza di un consolidato orientamento negativo della giurisprudenza, posto che la parte che agisce in giudizio ha sempre il dovere di mantenere un atteggiamento ispirato ai superiori principi di buona fede e correttezza e deve evitare il ricorso, o la prosecuzione, di iniziative processuali che, non trovando corrispondenza in una ragionevole aspettativa di tutela, si risolvono in una utilizzazione strumentale, e quindi abusiva, dello strumento processuale. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono determinate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500 oltre spese prenotate a debito.