Compensazioni spese di lite: il ritorno delle gravi ed eccezionali ragioni

A seguito della sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale, devono considerarsi gravi ed eccezionali ragioni che consentono al giudice di compensare le spese di giudizio, oltre alle ipotesi espressamente previste all’art. 92 c.p.c., altresì i casi che rispondono alla medesima ratio della disposizione, come la complessità delle questioni giuridiche e la presenza di una giurisprudenza di merito molto contraddittoria presso lo stesso Tribunale.

È quanto si legge nell’ordinanza n. 4360/2019 della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 14 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 7304/2017, pur accogliendo l’opposizione agli atti esecutivi proposta da E.A. avverso un’ordinanza di improcedibilità di un pignoramento presso terzi, disponeva la compensazione delle spese processuali in forza della particolarità e complessità delle questioni giuridiche a fondamento del provvedimento. E.A. propone ricorso per cassazione denunciando la nullità della sentenza del Tribunale di Napoli per violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Il ruolo della compensazione delle spese processuali in giudizio. L’avvio di un processo comporta il sorgere di spese per l’assistenza legale in capo sia alla parte attrice che alla parte convenuta e, al termine del contenzioso, il giudice, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., si pronuncia anche su tali spese. La regola generale a tal riguardo è quella dell’addebito alla parte soccombente la norma sopra citata, infatti, sancisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa”. In altri termini, alla soccombenza segue, generalmente, la condanna alle spese di lite. La ratio della regola de qua è da ricercarsi nel principio di responsabilità e di effettività della tutela giurisdizionale, in virtù dei quali l’alea del processo deve gravare sulla parte soccombente in quanto è essa che dà la stura all’apertura del giudizio. Quanto appena illustrato, tuttavia, conosce un temperamento nelle deroghe previste dal successivo art. 92 c.p.c. che prevede la possibilità della c.d. compensazione, ossia che a prescindere dall’esito della controversia ciascuna parte sarà tenuta solo alle spese per la propria assistenza legale. Precipuamente, ai sensi del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”. Vengono fissate, quindi, tre ipotesi tassative di compensazione delle spese processuali la soccombenza reciproca che si verifica anche in caso di soccombenza parziale la novità della questione trattata in giudizio il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni sottoposte a giudizio. L’intervento della Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale con sentenza n. 77/2018 ha dichiarato incostituzionale il secondo comma dell’art. 92 c.p.c. nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Sussiste cioè, ad avviso della Consulta, una violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza, in quanto non sono considerate dalla norma altre fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa di quelle espressamente contemplate nella citata disposizione del codice di rito. Al fine di comprendere meglio la decisione del Giudice delle leggi, occorre ripercorrere brevemente l’evoluzione legislativa dell’art. 92 c.p.c L’originaria lettera della norma prevedeva, quale deroga alla regola della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., il giusto motivo”, che veniva poi di volta in volta identificato e motivato dal giudice nel caso concreto. Si veniva così a creare un sistema di deroghe rimesso al libero ma prudente apprezzamento dell’organo giudicante che, secondo la giurisprudenza consolidatasi nel tempo ex multis Cass. Sezioni Unite n. 14989/2005 , era insuscettibile di censura in sede di legittimità. Tale assetto normativo comportava, a ben vedere, un aumento del contenzioso. Per tal ragione si diede avvio ad una intensa stagione di riforme che culminò nel 2014 con la formulazione oggi vigente e con la quale sono stati espunti dalla lettera della norma sia i giusti motivi”, sia le gravi ed eccezionali ragioni”, espressione quest’ultima con cui le precedenti riforme del 2005 e del 2009 cercarono di adeguare l’art. 92 c.p.c. ai moniti della dottrina e della giurisprudenza. In definitiva, nell’attuale secondo comma dell’art. 92 c.p.c., sono previsti nominativamente i casi di deroga al principio di soccombenza si tratta di ipotesi tassative, e per questo insuscettibili di applicazione analogica. Premesso ciò, la Consulta sostiene che le gravi ed eccezionali ragioni” che, si ripete, sono state tassativamente enucleate dal legislatore del 2014 nella assoluta novità della questione e nei mutamenti giurisprudenziali rispetto alle questioni dirimenti, potrebbero verificarsi anche in altri casi quali, a titolo meramente esemplificativo, nel caso di intervento di una legge di interpretazione autentica, ovvero nel caso di ius superveniens . Anche in queste ipotesi vi sarebbe, per la Corte Costituzionale, una questione dirimente” per la controversia oggetto del giudizio. Nel caso di specie, le decisioni poste a fondamento della decisione da parte del Tribunale di Napoli, ossia la complessità delle questioni giuridiche e la presenza di una giurisprudenza sia di legittimità che di merito molto contraddittoria anche all’interno dello stesso Tribunale, rispondono alle caratteristiche di gravità ed eccezionalità che, a seguito della sentenza della Consulta n. 77/2018, giustificano la compensazione delle spese processuali. E poiché gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale retroagiscono fino al momento dell’introduzione nell’ordinamento della norma oggetto del sindacato, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 18 luglio 2018 – 14 febbraio 2019, n. 4360 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto A.E. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Napoli, decidendo l’opposizione agli atti esecutivi dalla stessa proposta avverso un ordinanza di improcedibilità di un pignoramento presso terzi, pur accogliendo le ragioni dell’opponente, ha disposto la compensazione delle spese processuali in considerazione della particolarità e complessità delle questioni giuridiche poste a fondamento di un provvedimento preso d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, in presenza di una giurisprudenza di merito di legittimità molto contraddittoria sul punto, anche presso lo stesso Tribunale di Napoli . L’Azienda Sanitaria Locale Napoli X Centro non ha svolto attività difensiva. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c., come modificato dal comma 1, lett. e , del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. La ricorrente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2. Considerato Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 24 Cost., degli artt. 12 e ss. delle disposizioni sulla legge in generale, nonché dell’art. 132 c.p.c., n. 4. La violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., costituisce oggetto anche del secondo motivo. Le due censure, strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente. Esse si rivolgono nei confronti della decisione del Tribunale di compensare le spese di lite pur non ricorrendo le ipotesi dell’assoluta novità della questione trattata o del mutamento della giurisprudenza, le quali soltanto, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., così come modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dall’11 dicembre 2014 , avrebbero potuto legittimare un simile provvedimento. Prima ancora di verificare se le ragioni ravvisate dal Tribunale di Napoli siano ascrivibili ad una delle due ipotesi tipiche previste dalla norma testè citata, occorre rilevare che, con sentenza del 19 aprile 2018, n. 77, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente o per intero le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale retroagiscono fino al momento dell’introduzione nell’ordinamento della norma dichiarata illegittima. Pertanto, l’apprezzamento della sussistenza del vizio denunciato con il ricorso dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità. Va dunque affermato il seguente principio di diritto Poiché gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo, nel caso in cui con un ricorso per cassazione sia denunciata - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, - la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162 , che la Corte costituzionale, con sentenza 19 aprile 2018, n. 77, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, la valutazione della fondatezza o meno del ricorso deve farsi con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o addirittura la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del Giudice delle leggi . In applicazione di tale principio, deve rilevarsi che le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata rispondono certamente alle caratteristiche di gravità ed eccezionalità che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, giustificano la compensazione delle spese processuali. Pertanto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Poiché la parte intimata non ha svolto attività difensiva, non si fa luogo alla liquidazione delle spese processuali. Ricorrono, tuttavia, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lei proposta. P.Q.M. rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.