La domanda di riduzione del canone idrico va proposta al giudice amministrativo o a quello ordinario?

Il giudizio promosso per ottenere la riduzione del canone di acqua potabile per i periodi di non potabilità e divieto di consumo, nonché la condanna del gestore idrico e dell’Ente Pubblico alla restituzione dei canoni già versati per i periodi in oggetto non rientrerebbe nella giurisdizione del giudice amministrativo, bensì di quello ordinario in quanto oggetto della domanda non sarebbe la natura pubblicistica della determinazione della tariffa, bensì semplicemente si è davanti ad una actio quanti minoris per la riduzione del prezzo di un prodotto privo dei requisiti di legge.

E’quanto rilevato nella pronuncia in oggetto ordinanza interlocutoria n. 3255/19 depositata il 5 febbraio che, a sua volta, rimanda la trattazione della causa per la decisione finale, alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il fatto. I ricorrenti evocavano in giudizio davanti al Giudice di Pace territorialmente competente il gestore unico del servizio idrico di una provincia italiana lamentando che l’acqua fornita non era potabile ed era priva dei requisiti di legge a causa del superamento dei parametri massimi di arsenico e cloruri. Essi, chiedevano pertanto, di dichiararsi l’inadempimento contrattuale del convenuto, nonché la sua condanna al risarcimento dei danni anche in via equitativa per lesione del diritto alla salute in ogni caso chiedevano il riconoscimento di corrispondere solo il 50% del canone di acqua potabile per i periodi di non potabilità e divieto di consumo, nonché la condanna del convenuto alla restituzione del 50% dei canoni già versati per i periodi di non potabilità dell’acqua erogata. Si costituiva il convenuto contestando la pretesa e chiedendo di chiamare in causa la competente Autority quest’ultima chiedeva ed otteneva – a sua volta - di chiamare in causa la competente Regione. Il Giudice di Pace accoglieva parzialmente le domande degli attori riconoscendo in loro favore il risarcimento del danno nella misura di € 600,00 e il diritto di manleva del convenuto nei confronti della Regione evocata in giudizio. Avverso la decisione del Giudice di Pace proponeva appello l’Ente pubblico deducendo, tra l’altro, il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, il difetto di legittimazione passiva della Regione convenuta in giudizio, la violazione dell’art. 1226 c.c. e la ultrapetizione. Si costituivano in giudizio le altre parti e gli odierni ricorrenti spiegavano appello incidentale relativamente alla decisione di primo grado con cui era stato escluso il diritto ad una riduzione del canone del servizio di somministrazione, trattandosi di attività amministrativa non censurabile davanti al giudice ordinario. Aggiungevano che già in quella sede il Giudice di Pace non avrebbe correttamente quantificato la domanda risarcitoria, ritenendola invece una contestazione della tariffa. Il Tribunale adito dichiarava con sentenza il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo. I ricorrenti proponevano ricorso per Cassazione avverso tale statuizione con un unico motivo di ricorso. Giurisdizione. Gli Ermellini hanno ritenuto di dover disporre la trattazione della causa davanti alle Sezioni Unite poichè questa riguardava la qualificazione della domanda giudiziale operata dal giudice di merito ai fini della individuazione della giurisdizione, ed era pertanto, riconducibile ai motivi di cui al n. 1 dell’art. 360 c.p.c Nel merito, invece, la difesa di parte ricorrente lamentava l’erronea statuizione e l’inesistenza circa la carenza di giurisdizione poiché il giudizio di primo grado era stato promosso per ottenere l’accertamento di somministrazione di acqua non potabile e comunque non conforme ai requisiti di legge. Pertanto, essa difesa aveva chiesto che fosse dichiarato l’inadempimento del gestore idrico e conseguentemente, lo stesso fosse condannato al risarcimento di alcune voci di danno, in particolare il risarcimento del pregiudizio riferito alla media di acqua potabile da fornire, un ulteriore danno da liquidare in via equitativa, oltre alla sua condanna per violazione del diritto alla salute. In ogni caso, era strato chiesto il riconoscimento del diritto degli attori a corrispondere solo la metà del canone di acqua potabile per i periodi di criticità ed il diritto alla restituzione del 50% dei canoni già versati. I ricorrenti precisano che non sarebbe contestata la natura pubblicistica della determinazione della tariffa come erroneamente preteso dal Giudice di appello, bensì semplicemente ci si trovava davanti ad una actio quanti minoris per la riduzione del prezzo di un prodotto privo dei requisiti. Concludendo. Sotto tale aspetto quindi, secondo i ricorrenti, il giudice avrebbe erroneamente interpretato la domanda di riduzione della tariffa. In secondo luogo la decisione sarebbe stata contraddittoria poiché il Tribunale, pur rilevando che l’ actio quanti minoris era stata esercitata per ottenere la restituzione del 50% delle somme già versate e che l’azione di riduzione della tariffa era stata proposta per un periodo di non potabilità dell’acqua, non avrebbe applicato i conseguenti principi in tema di inadempimento contrattuale. Al contrario, avrebbe affermato che la riduzione della tariffa incide sull’esercizio di poteri amministrativi discrezionali per i quali non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. L’ultima parola alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza interlocutoria 25 ottobre 2018 – 5 febbraio 2019, n. 3255 Presidente Frasca – Presidente Positano Rilevato che C.B.M. , F.A. e J.K.S.M. evocavano in giudizio davanti al Giudice di pace di Viterbo il gestore unico del servizio idrico della provincia di Viterbo, Società Talete S.p.A. lamentando che l’acqua fornita non era potabile ed era priva dei requisiti di legge a causa del superamento dei parametri massimi di arsenico e cloruri e chiedendo dichiararsi l’inadempimento contrattuale di Talete S.p.A., la condanna al risarcimento della somma di Euro 800 riferita al quantitativo di acqua potabile per nucleo familiare medio ed al risarcimento del danno in via equitativa, anche per lesione del diritto alla salute in ogni caso, chiedevano il riconoscimento del diritto di corrispondere solo il 50% del canone di acqua potabile per i periodi di non potabilità e divieto di consumo, nonché la condanna della convenuta alla restituzione del 50% dei canoni già versati per i periodi in oggetto si costituiva Talete S.p.A. contestando la pretesa e chiedendo di chiamare in causa l’Autorità d’Ambito omissis e quest’ultima chiedeva e otteneva di chiamare in causa la Regione Lazio il Giudice di pace con sentenza del 12 dicembre 2014 accoglieva parzialmente le domande degli attori riconoscendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 600 e il diritto di manleva di Talete nei confronti della Regione Lazio avverso tale sentenza proponeva appello l’ente pubblico davanti al Tribunale di Viterbo deducendo, tra l’altro, il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, il difetto di legittimazione passiva della Regione Lazio, la violazione dell’art. 1226 c.c. e la ultrapetizione. Si costituivano in giudizio le altre parti e gli odierni ricorrenti spiegavano appello incidentale, relativamente alla decisione di primo grado con cui era stata escluso il diritto ad una riduzione del canone del servizio di somministrazione, trattandosi di attività amministrativa non censurabile davanti al giudice ordinario. Aggiungevano che già in quella sede il Giudice di pace non avrebbe correttamente qualificato la domanda risarcitoria, ritenendola, invece, una contestazione della tariffa il Tribunale di Viterbo con sentenza del 10 marzo 2017 dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo avverso tale statuizione propongono ricorso per cassazione C.B.M. , F.A. e J.K.S.M. affidandosi ad un motivo. Resistono con separati controricorsi, Talete S.p.A. e la Regione Lazio. I ricorrenti e Talete S.p.A. depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c Considerato che la motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico con l’unico motivo di ricorso si lamenta l’erronea statuizione e l’inesistenza, contraddittorietà e infondatezza della motivazione in relazione all’erronea decisione circa la carenza di giurisdizione. I ricorrenti hanno adito il Giudice di pace di Viterbo per ottenere l’accertamento che la somministrazione idrica da parte di tale ente riguardava acqua non potabile o comunque non conforme ai requisiti di legge. Pertanto, chiedevano che fosse dichiarato l’inadempimento ed un serie di voci di danno il risarcimento del pregiudizio riferito alla media di acqua potabile da fornire, un ulteriore danno da liquidare in via equitativa, oltre alla condanna di Talete per violazione del diritto della salute ed il risarcimento di un ulteriore importo. In ogni caso, si chiedeva, il riconoscimento del diritto degli attori a corrispondere solo la metà del canone di acqua potabile per i periodi di criticità ed il diritto alla restituzione del 50% dei canoni già versati. I ricorrenti precisano che non sarebbe contestata la natura pubblicistica della determinazione della tariffa, trattandosi di di un criterio che non sarebbe mai stato contestato, poiché gli attori si sarebbero limitati a proporre una actio quanti minoris per la riduzione del prezzo di un prodotto privo di requisiti. Sotto tale profilo il giudice avrebbe erroneamente interpretato la domanda di riduzione della tariffa. In secondo luogo, la decisione sarebbe contraddittoria, poiché il Tribunale, pur rilevando che l’actio quanti minoris è stata esercitata per ottenere la restituzione del 50% delle somme già versate e che l’azione di riduzione della tariffa è stata proposta per il periodo di non potabilità dell’acqua, non avrebbe applicato i conseguenti principi in tema di inadempimento contrattuale. Al contrario, avrebbe affermato che la riduzione della tariffa incide sull’esercizio di poteri amministrativi discrezionali, per i quali non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario rileva la Corte che il motivo di ricorso per cassazione con cui si censuri la qualificazione della domanda giudiziale operata dal giudice di merito ai fini della individuazione della giurisdizione, si riverbera sempre sull’applicazione delle norme regolatrici della giurisdizione, sicché è riconducibile ai motivi di cui al n. 1 dell’art. 360 c.p.c. Sez. U, Sentenza n. 1513 del 27/01/2016, Rv. 638245 - 01 conseguentemente poiché la censura riguarda le norme regolatrici della giurisdizione va disposta la trattazione davanti alle Sezioni Unite di questa Corte. P.Q.M. Dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.