Gli Ermellini sulla proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del giudizio presupposto

Gli Ermellini ricordano che, stante la possibilità derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 88/2018 di proporre domanda di equa riparazione anche in pendenza del giudizio presupposto, diviene irrilevante la dimostrazione della irrevocabilità del provvedimento che lo abbia definito .

Così il Supremo Collegio con l’ordinanza n. 3205/19, depositata il 4 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello di Salerno rigettava l’opposizione proposta dal ricorrente avverso il decreto emesso dalla stessa Corte, con il quale era stata respinta la domanda di equa riparazione proposta dal medesimo ricorrente in relazione al pregiudizio sofferto dall’irragionevole durata del procedimento divorzile svolto in altra sede. La Corte distrettuale rigettava la domanda di equa riparazione poiché riteneva che non fosse stata fornita la prova della definitività del provvedimento che aveva chiuso il processo presupposto . In particolare la Corte rilevava che non era stata depositata la documentazione integrativa richiesta, più precisamente, non era prevenuta la certificazione idonea a comprovare il passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio presupposto. Il ricorrente propone ricorso in Cassazione, illustrando di aver provveduto, oltre al deposito della documentazione richiesta sin dal momento del deposito del ricorso per equa riparazione, ad un ulteriore deposito a mezzo PEC. La pronuncia della Corte Costituzionale. Ai fini della definizione del giudizio, gli Ermellini ritengono necessario ricordare gli effetti della recente pronuncia della Corte Costituzione sentenza n. 88/18 la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 l. n. 89/2001 Legge Pinto come sostituito dall’art. 55, comma 1, lett. d , d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni nella l. n. 134/2012 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento proposto . Di conseguenza la S.C. adita ribadisce che fino quando il diritto all’equa riparazione non si sia prescritto ovvero sia coperto da giudicato negativo [], occorra tener conto della dichiarazione di incostituzionalità nelle more intervenuta, non potendo il giudice applicare norme dichiarate illegittime, la cui efficacia retroattiva incontra il solo limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito . Nel caso di specie, appare evidente che il diritto all’equo indennizzo non sia prescritto atteso che la proposizione del ricorso mira appunto a ribadire la sussistenza del diritto medesimo. Inoltre, il provvedimento di rigetto gravato era stato adottato sul presupposto della vigenza della norma dichiarata incostituzionale. In conclusione, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale in considerazione, per la proposizione della domanda di equa riparazione, la prova della definitività del provvedimento che chiude il processo presupposto non appare più necessaria per tali ragioni, la S.C. accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 6 dicembre 2018 – 4 febbraio 2019, n. 3205 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione La Corte d’appello di Salerno con decreto del 30 novembre ha rigettato l’opposizione proposta da D.M. avverso il decreto emesso dalla stessa Corte d’Appello in composizione monocratica in data 26/9/2017, con il quale era stata rigettata la domanda di equa riparazione proposta dal ricorrente, in relazione al pregiudizio derivante dall’irragionevole durata del procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, svoltosi dinanzi al Tribunale di Salerno a far data dall’8 febbraio 2007 e conclusosi con la sentenza del 6 luglio 2016. Rilevava il Collegio della Corte distrettuale che la domanda era stata disattesa in quanto nel termine assegnato dal Consigliere delegato non era stata depositata la documentazione integrativa richiesta, ed in particolare la certificazione idonea a comprovare il passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio presupposto. Secondo il decreto oggi gravato, stante l’inidoneità della prodotta certificazione, correttamente era stato pronunciato il decreto di rigetto, non essendosi adempiuto a quanto richiesto nel termine a tal fine concesso. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso D.M. sulla base di un motivo. Il Ministero non ha svolto difese in questa fase. Con il mezzo di gravame si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, nonché degli artt. 2712 e 2719 c.c. e degli artt. 156 e 640 c.p.c Assume il ricorrente che la produzione dei documenti attestanti la definizione del processo presupposto deve avvenire nell’ambito del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001 anche nel termine concesso ai sensi dell’art. 640 c.p.c Nel caso in esame il ricorrente aveva in realtà depositato la documentazione de qua sin dal momento del deposito del ricorso per equa riparazione, provvedendo ad un ulteriore deposito a mezzo pec una volta ricevuta la comunicazione della richiesta di integrazione. Ne deriva che pertanto è illegittima la decisione adottata dalla Corte d’Appello in composizione collegiale, occorrendo tenere conto anche di tutti i documenti nelle more versati in atti dal ricorrente. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, ma alla luce degli effetti scaturenti dalla sentenza della Corte Cost. n. 88 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d , convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto infatti, rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dello strumento volto a rimediare alla lesione dell’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le istanze di giustizia significa inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale la normativa è stata concepita, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina. Il provvedimento di rigetto gravato è stato adottato sul presupposto invece della vigenza della norma dichiarata incostituzionale, essendosi ritenuto che non fosse stata fornita la prova della definitività del provvedimento che aveva chiuso il processo presupposto, prova che, invece, alla luce del quadro normativo scaturente dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, non appare più necessaria, essendo dato avanzare domanda di equa riparazione anche nella pendenza del processo presupposto. Ritiene poi il Collegio che ancorché la questione circa la compatibilità con i principi della Costituzione della norma dichiarata illegittima non fosse stata direttamente investita dal motivo di ricorso, debba in ogni caso tenersi conto degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale. In tal senso depone la costante giurisprudenza di questa Corte a mente della quale cfr. Cass. n. 9977/2014 fin quando il diritto non si sia prescritto ovvero sia coperto da giudicato negativo come appare evidente non sia accaduto nella fattispecie, atteso che la proposizione del ricorso mira appunto a ribadire la sussistenza del dritto all’equo indennizzo , occorra tenere conto della dichiarazione di incostituzionalità nelle more intervenuta, non potendo il giudice applicare norme dichiarate illegittime, la cui efficacia retroattiva incontra il solo limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito in senso conforme Cass. n. 15809/2005 Cass. n. 8761/2002 Cass. n. 14859/2001 Cass. n. 14632/2001 . Trattasi di principio che mira ad assicurare l’adeguamento della soluzione alle modifiche sopravvenute del quadro normativo, in questo caso per effetto della pronuncia di incostituzionalità, che trova poi conforto anche nella giurisprudenza in tema di ius superveniens Cass. S.U. n. 21691/2016 che appunto ribadisce che l’unico limite è costituito dal formarsi del giudicato. Ne consegue che, stante la possibilità derivante dalla richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale, di proporre domanda di equa riparazione anche in pendenza del giudizio presupposto, diviene irrilevante la dimostrazione della irrevocabilità del provvedimento che lo abbia definito, palesandosi in tal modo anche l’illegittimità del decreto impugnato, che va pertanto cassato con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Salerno, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Salerno.