Mancata allegazione degli elementi da cui desumere la tempestività del ricorso e improcedibilità del ricorso

La II sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27168/18 depositata il 26 ottobre, si è pronunciata in materia d’inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del termine breve d’impugnazione precisando che, in caso di mancata allegazione degli elementi da cui desumere la tempestività del ricorso, la S.C. può dichiarare improcedibile il ricorso ove emergano evidenze che escludano il diritto del ricorrente di fruire del cd. termine lungo.

Il ricorso per Cassazione proponibile ex art. 348-ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza di primo grado, entro 60 giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ai sensi dell’art. 348- bis c.p.c., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, c.p.c. ad un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza che, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione. In difetto il ricorso è improcedibile, salvo che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d'ufficio alla cancelleria del giudice a quo , la Corte nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei 60 giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza, dell’una e dell’altra, entro il termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c Il fatto. La vicenda posta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione concerne un caso di divisione ereditaria. Nel giudizio di primo grado sostanzialmente era stata accertata e dichiarata la titolarità dominicale in capo alle attrici di taluni cespiti rivenienti da una divisione ereditaria. Tale domanda era stata proposta in danno di una convenuta, che a sua volta aveva spiegato domanda riconvenzionale. Il giudizio si era concluso con l’accoglimento delle domande principali ed il rigetto della riconvenzionale. La sentenza era impugnata dinanzi alla Corte di Appello che dichiarava il gravame inammissibile stante le non ragionevoli possibilità di trovare accoglimento, tanto ai sensi dell’art. 34- ter c.p.c Tale articolo, come noto, in caso di inammissibilità dell’appello consente alla parte soccombente la possibilità di proporre ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Così la parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado affidato a plurimi motivi di gravame. L’onere di allegare copia della sentenza, della comunicazione o della notificazione del provvedimento d’inammissibilità dell’appello. Gli Ermellini, senza entrare nel merito della vicenda litigiosa, hanno dichiarato il ricorso inammissibile. In materia i Giudici di nomofilachia evidenziavano che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 25513/16 , avessero già avuto occasione di affermare che, in caso di ricorso proposto ex art. 348- ter c.p.c. comma 3 la parte dovesse assolvere ad un duplice onere di deposito riguardante la copia autentica della sentenza di primo grado, nonché la copia dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello completa di comunicazione o notificazione. Tanto al fine di verificare che fosse stato rispettato il termine di sessanta giorni per il proponimento del ricorso, decorrente dalla comunicazione o dalla notificazione, ove anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello. Specificava la Cassazione che il ricorrente, al fine di dimostrare la tempestività del ricorso, proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, per provare il rispetto del termine di cui all’art. 325, comma 2, c.p.c. avesse a tal uopo l’onere di allegare sia l’assenza di notificazione che di comunicazione, così sostenendo di usufruire del termine lungo. I poteri officiosi della cassazione e la verifica in ordine all’insussistenza dei presupposti per usufruire del termine lungo d’impugnazione. Nel caso di specie la ricorrente non faceva alcuna esplicita menzione né della comunicazione né della notificazione, lasciando implicitamente intendere che l’ordinanza non le fosse stata né notificata né comunicata. La Cassazione, attraverso l’acquisizione della certificazione di cancelleria della Corte di Appello, effettuata in quanto parte ricorrente aveva richiesto l’acquisizione del fascicolo di ufficio, aveva invece potuto appurare che l’ordinanza le era stata comunicata telematicamente, il medesimo giorno del suo deposito in cancelleria. Motivo per cui nella vicenda odierna non poteva trovare applicazione il termine lungo, ex art. 327 c.p.c., implicitamente invocato dalla ricorrente, bensì il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., con conseguente declaratoria d’inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente proposto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 29 maggio – 26 ottobre 2018, n. 27168 Presidente Oricchio – Relatore Carrato Rilevato in fatto Con sentenza n. 466/2011, depositata il 20 luglio 2011, il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, in accoglimento per quanto di ragione delle domande proposte da S.U. e S.R. nei confronti di S.E. , S.M. e S.T. , accertava e dichiarava l’autenticità di tutte le sottoscrizioni apposte alla scrittura privata del 17 marzo 1999 integrata dagli allegati prospetto contabile e piano condominiale sottoscritto dal geom. R. e, per l’effetto, accertava e dichiarava che le attrici erano proprietarie del locale al piano terra Ente 4 del fabbricato p.c. del Comune di p.t. come individuato nel suddetto piano condominiale che si richiamava integralmente con le quote millesimali per immobile ivi indicate inoltre, accertava e dichiarava che la convenuta S.M. era proprietaria del locale al piano 1 Ente 2 in p.t. p.c. del Comune di come riportato nel medesimo piano condominiale, dichiarando, altresì, che le tre convenute S.R. , S.U. e S.M. erano comproprietarie dell’Ente 0, in p.t. p.c. di , individuato nello stesso piano condominiale in proporzione delle rispettive quote di proprietà. Con la stessa sentenza venivano respinte le domande di S.E. , la quale era condannata anche al pagamento, in favore delle menzionate attrici, della somma di Euro 3.599,66 oltre interessi legali di mora alla domanda al saldo , quale importo da restituire per le rate residue dovute in ordine all’accollo del mutuo, e di quella di Euro 630,00 per spese notarili anticipate. Decidendo sull’appello formulato da S.E. e nella costituzione di tutte le parti appellate ad eccezione di S.T. , che rimaneva contumace , la Corte di appello di Trieste, con ordinanza adottata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., depositata il 15 maggio 2013, dichiarava l’inammissibilità del gravame per non essere munito di una ragionevole probabilità di essere accolto. Considerato in diritto 1. Avverso la sola sentenza di primo grado ha proposto - ai sensi dell’art. 348-ter, comma 3, c.p.c. - ricorso per cassazione S.E. , riferito a cinque motivi, in riferimento al quale si è costituita con controricorso l’intimata S.M. , mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa fase. 2. Con la prima censura la ricorrente ha dedotto - in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e con riferimento all’art. 132 c.p.c. - l’omessa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto della sentenza di primo grado per effetto delle quali il primo giudice aveva ritenuto, a seguito dell’intervenuta natura dichiarativa dell’atto di divisione ereditaria di cui alla scrittura privata della quale era stata accertata l’autenticità delle sottoscrizioni, che si fosse venuto a realizzare anche il trasferimento del diritto di proprietà dei beni immobili non rientranti nella comunione ereditaria, con assegnazione anche della proprietà dell’Ente 0 in P.T. p.c. di , malgrado nel piano condominiale non fosse stata mai menzionato tale Ente. 3. Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato - ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 32 del nuovo testo della legge generale sui libri fondiari allegato al R.D. 28 marzo 1929, n. 499, sul presupposto che la scrittura privata divisionale non conteneva - come era necessario - l’esatta indicazione tavolare degli immobili identificantisi con i locali nn. 2,3 e 4 del piano terra, n. 6 del primo piano e n. 9 del secondo piano di proprietà esclusiva di essa S.E. e di S.M. e mai facenti parte di comunione ereditaria, ragion per cui il contratto transattivo divisionale avrebbe dovuto essere ritenuto nullo. 4. Con la terza doglianza la ricorrente ha denunciato - in ordine all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 713 e segg. C.c. avendo il Tribunale di primo grado ritenuto applicabile l’istituto della divisione ereditaria anche a beni immobili non facenti parte della comunione ereditaria. 5. Con quarta censura la ricorrente ha dedotto - in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione del combinato disposto degli artt. 112 e 132 c.p.c. e degli artt. 1326 e 1362 c.c., nonché il vizio di omessa motivazione e, comunque, di omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio costituito dal reale oggetto della divisione ereditaria. 6. Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente ha prospettato - con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. - l’omesso esame del fatto decisivo del giudizio che aveva costituito oggetto di discussione fra le parti avuto riguardo alla mancata valutazione dell’estraneità dei locali n. 2,3 e 4, del pianoterra, e n. 6 del primo piano all’asse ereditario e alla conseguente divisione ereditaria. 7. Rileva, in via pregiudiziale, il collegio che emerge una ragione di inammissibilità in radice del proposto risultando lo stesso proposto tardivamente. Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 25513/2016 confermata da Cass. S.U. n. 11850/2018 , hanno enunciato il principio di diritto per cui il ricorso per cassazione proponibile, ex art. 348-ter, comma 3, c.p.c., avverso la sentenza di primo grado, entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, c.p.c., ad un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta che, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione in difetto, il ricorso è improcedibile, salvo che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo , la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c Questa pronuncia ha, peraltro, posto riferimento ad altro precedente indirizzo giurisprudenziale v., per tutte, Cass. n. 2594/2016, ord. ad avviso del quale la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter, comma 3, c.p.c. deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325, comma 2, c.p.c., che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se questa sia stata del tutto omessa dalla cancelleria, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione, con la conseguenza che il ricorrente, per dimostrare la tempestività del ricorso ex art. 348 ter c.p.c. proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione potendo quest’ultima avvenire sin dallo stesso giorno della pubblicazione , sia la mancata notificazione, affermando, pertanto, di fruire del cd. termine lungo. Orbene, con riferimento al ricorso che viene qui in rilievo, la difesa della ricorrente ha dichiarato v. pagg. 2-3 di aver inteso proporre ricorso notificandolo tra il 9 e il 12 maggio 2014 avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Gorizia a seguito dell’inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte di appello di Trieste con ordinanza del 25 marzo 2013 ai sensi e per gli effetti dell’art. 327 c.p.c. e dell’art. 58, comma 1, della legge n. 69/2009 poiché il giudizio era stato introdotto anteriormente al 4 luglio 2009 , così lasciando implicitamente trasparire che l’ordinanza della Corte triestina non le era stata né comunicata né notificata, non evincendosi dalla prodotta copia autentica della stessa alcuna pertinente annotazione al riguardo, pur avendo ella inoltrato istanza di acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di merito. Senonché, dall’acquisita certificazione della cancelleria della Corte di appello di Trieste che ha emesso l’ordinanza ex art. 348-bis e ter c.p.c., si evince che, invece, la stessa risulta essere stata comunicata telematicamente ai domiciliatari di tutte le parti costituite lo stesso giorno del suo deposito ovvero in data 25 marzo 2013 . Pertanto, in virtù di questo ufficiale riscontro proveniente dalla cancelleria dello stesso ufficio giudiziario che ha emanato l’ordinanza impugnata in questa sede, scaturisce - per effetto dei principi affermati dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte - che, nel caso in esame, non avrebbe potuto trovare applicazione il termine c.d. lungo di cui all’art. 327 c.p.c. ratione temporis vigente bensì le parti interessate a proporre ricorso per cassazione avrebbero dovuto rispettare il termine c.d. breve di cui all’art. 325 c.p.c., giusta il disposto del terzo comma dell’art. 348-ter c.p.c., che, invece, la parte ricorrente S.E. non ha osservato. Da ciò non può che derivare la declaratoria di inammissibilità - per tardività del ricorso oltretutto illegittimamente privo anche della indicazione dei motivi di appello e del richiamo al contenuto dell’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., requisiti che pure sarebbero stati necessari ai fini della sua ammissibilità cfr. Cass. 26936/2016, ord. , con conseguente preclusione dell’esame dei relativi motivi. 8. In definitiva, il ricorso deve essere ritenuto inammissibile, con la correlata condanna, in virtù del principio della soccombenza, della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della sola controricorrente S.M. , che si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore del suo difensore, per dichiarato anticipo ai sensi dell’art. 93 c.p.c Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente S.M. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge, con distrazione in favore dell’avv. Renzo Pecorella, per dichiarato anticipo. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.