L’accertamento sul doppio contributo unificato spetta all’amministrazione giudiziaria

Non spetta al giudice dichiarare se il ricorrente soccombente in giudizio sia tenuto o meno al versamento del c.d. doppio contributo unificato di cui all’art. 13-quater d.P.R. n. 225/2002. Tale compito compete esclusivamente all’Amministrazione giudiziaria che dovrà valutare se, nonostante la pronuncia di rigetto, ovvero la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità, la doppia contribuzione in concreto spetti.

È quanto stabilito dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 26907/18 depositata il 24 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello rigettava il gravame proposto da N.C. avverso la sentenza del Tribunale di Bari, la quale aveva respinto il suo reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c. inattività delle parti proposto contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva disposto l’archiviazione della procedura esecutiva esattoriale immobiliare a suo tempo introdotta nei suoi confronti dalla Sesit Puglia ora Equitalia Sud S.p.A. reputandola estinta a seguito della emissione del decreto di trasferimento. In particolare, la vicenda tra le sue origini dalla proposizione, da parte di N.C. di un’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del Giudice dell’esecuzione di revoca di un’ordinanza di sospensione della vendita ai sensi dell’art. 586 c.p.c. in accoglimento dell’istanza di N.C. presentata all’atto della proposizione dell’opposizione all’esecuzione. In pendenza del giudizio di merito sull’opposizione agli atti esecutivi, B.R. primo aggiudicatario del bene alienava l’immobile a I.R. e, successivamente, il Tribunale di Bari accoglieva l’opposizione dichiarando la nullità dell’ordinanza di revoca della sospensione ex art. 586 c.p.c La sentenza veniva appellata da B.R. gravame che veniva dichiarato inammissibile. Nella pendenza del giudizio di appello N.C., adducendo che, pur essendo stato emesso il decreto di trasferimento, non erano stati compiuti altri atti, chiedeva ed otteneva al giudice dell’esecuzione la sospensione della procedura esecutiva. Passata in cosa giudicata detta sentenza di appello, il N.C. riassumeva il giudizio dell’esecuzione e chiedeva la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e del decreto di trasferimento emessi a favore di B.R. e nel relativo procedimento interveniva I.R Il giudice dell’esecuzione rigettava dette richieste il provvedimento veniva impugnato da N.C. con opposizione agli atti esecutivi tramite ricorso, nonché depositava reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c. nel cui giudizio si costituiva I.R Il Tribunale dichiarava inammissibile il reclamo la Corte d’Appello adita con sentenza n. 1725/2015 confermava la pronuncia del giudice di prime cure. Avverso suddetta sentenza N.C. proponeva ricorso per cassazione fondato su sei motivi, deducendo il difetto di legitimatio ad causam o comunque dell’interesse a contraddire di I.R. la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. in merito alla condanna alle spese pronunciate in favore di Equitalia la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. n. 115/2002 in materia di contributo unificato. La Corte di Cassazione rigetta tutti i motivi ad eccezione del terzo che è accolto con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata quanto alla statuizione di condanna alle spese a favore di Equitalia. Soccombenza e spese di lite. Nel sistema processuale vigente, a norma dell’art. 91 c.p.c. il Giudice è tenuto a condannare la parte soccombente al rimborso delle spese in favore dell’altra parte. N.C. si duole della condanna alle spese pronunciata in favore di Equitalia Sud S.p.a., nonostante l’impugnazione fosse diretta soltanto a postulare l’inammissibilità della partecipazione di I.R. nel giudizio di cui all’art. 630 c.p.c In altri termini, l’appello poneva in discussione solo la partecipazione di I.R. al giudizio di primo grado e, conseguentemente, la statuizione sulle spese. Da quanto detto, correttamente, la Corte di Cassazione ritiene fondata la doglianza in quanto la Corte d’Appello di Bari ha pronunciato sulle spese in favore di Equitalia Sud S.p.A. sulla base di una soccombenza di N.C. inesistente. La portata del c.d. doppio contributo unificato. Seppur dichiarato inammissibile in quanto basato su una statuizione che non vi è stata nel caso di specie, e nonostante la complessità della vicenda giudiziaria, il motivo di doglianza più interessante che la Corte di Cassazione ha sapientemente esaminato risulta essere quello con cui N.C. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1- quater d.P.R. n. 115/2002 in quanto, ancorché egli risultasse ammesso al gratuito patrocinio, avrebbe dovuto prestare il c.d. doppio contributo unificato. In virtù di tale disposizione quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1- bis . Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso . Il comma de quo trova la sua ratio nell’intento di scoraggiare la proposizione di impugnazioni infondate, inammissibili od improcedibili mediante la previsione di un ulteriore versamento del contributo unificato si tratta, infatti, del c.d. servizio giustizia”, ossia del costo che si deve sostenere per il buon andamento della macchina giudiziaria. Dall’interpretazione letterale e teleologica della norma si evince che il giudice oltre a dichiarare la ricorrenza di uno dei presupposti di applicazione astratta del contributo ossia l’infondatezza, l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’impugnazione , non è tenuto altresì ad accertare, in concreto, se tale versamento sia effettivamente dovuto. Tale accertamento, invero, compete all’amministrazione giudiziaria così come si evince dall’art. 15 del decreto, che dovrà, oltre a verificare l’esistenza della dichiarazione della parte soccombente in ordine al valore della causa, altresì riscontrare l’esistenza di circostanze e condizioni per l’esenzione dall’obbligo tributario. È in tal modo che si risolve la questione interpretativa circa l’applicazione del contributo unificato previsto dal comma 1- quater dell’art. 13, d.P.R. n. 115/2002 anche nei confronti della parte che abbia dichiarato di trovarsi nelle condizioni reddituali per l’esenzione dal versamento del contributo al momento della proposizione della impugnazione principale od incidentale. Diversamente, si attribuirebbe al giudice un compito di natura amministrativa. In definitiva, a norma dell’art. 13, comma 1- quater , del decreto richiamato, al Giudice è richiesto solo l’attestazione di aver adottato una delle decisioni legittimanti in astratto la debenza del doppio contributo, spettando poi in concreto all’Amministrazione giudiziaria e quindi al funzionario di cancellaria, constatare se il contributo de quo debba essere o meno versato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 febbraio – 24 ottobre 2018, numero 26907 Presidente Chiarini – Relatore Frasca Fatti di causa 1. C.N. ha proposto ricorso per cassazione contro R.I. ed Equitalia Sud s.p.a. avverso la sentenza del 4 novembre 2015, con la quale la Corte d’Appello di Bari ha rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Bari, la quale aveva rigettato il suo reclamo ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ. avverso l’ordinanza dell’8 aprile 2014, con la quale quel tribunale, in funzione giudice dell’esecuzione aveva disposto l’archiviazione della procedura esecutiva esattoriale immobiliare a suo tempo introdotta nei suoi confronti dalla Sesit Puglia poi Etr s.p.a., E.tr. Equitalia s.p.a. e, da ultimo Equitalia Sud s.p.a. , reputandola definitivamente estinta a seguito dell’emissione del decreto di trasferimento . 2. La vicenda riguardo alla quale è insorta la controversia decisa dalla sentenza impugnata trae origine dalla proposizione da parte del C. - dopo la pregressa proposizione, nel maggio del 2006, di un’opposizione all’esecuzione avverso la detta esecuzione esattoriale in un momento in cui l’immobile di sua proprietà pignorato era stato già aggiudicato a Ru.Be. - di un’opposizione agli atti esecutivi. Quest’ultima era stata proposta avverso l’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di revoca - nel presupposto della inammissibilità per preclusione dipendente dall’operare dell’art. 187-bis disp. att. cod. proc. civ. - di un’ordinanza di sospensione della vendita ai sensi dell’art. 586 cod. proc. civ. disposta il 6 luglio 2006, in accoglimento dell’istanza del C. presentata all’atto della proposizione dell’opposizione all’esecuzione, nonché di declaratoria della inammissibilità dell’istanza di conversione del pignoramento presentata l’11 maggio 2007. 2.1. In pendenza del giudizio di merito sull’opposizione agli atti esecutivi il Ru. alienava l’immobile alla R. con atto notarile del marzo del 2010 e, successivamente, il Tribunale di Bari, con sentenza del giugno 2010, accoglieva l’opposizione, dichiarando la nullità dell’ordinanza di revoca della sospensione ex art. 586 cod. proc. civ. e di inammissibilità dell’istanza di conversione. 2.2. La sentenza veniva appellata dall’aggiudicatario Ru. , ma la Corte d’Appello di Bari con sentenza dell’ottobre 2013 dichiarava inammissibile l’appello. Nella pendenza del giudizio di appello il C. , adducendo che, pur essendo stato emesso il decreto di trasferimento, non erano stati compiuti altri atti ed in particolare la distribuzione del ricavato, chiedeva al Giudice dell’Esecuzione, ottenendola con provvedimento dell’aprile 2001, la sospensione della procedura esecutiva. Passata in cosa giudicata la detta sentenza di appello, il C. riassumeva il giudizio di esecuzione e chiedeva la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e del decreto di trasferimento emessi a favore del Ru. e nel relativo procedimento, introdotto contro la creditrice procedente ed il Ru. , interveniva, evidentemente nel processo esecutivo, la R. . 2.3. Il Giudice dell’Esecuzione, con la già indicata ordinanza dell’8 aprile 2014 rigettava le dette richieste di revoca e disponeva nei termini su indicati circa l’esecuzione. Il provvedimento veniva impugnato dal C. con opposizione agli atti esecutivi tramite ricorso che nell’esposizione del fatto si dice depositato il 7 maggio 2014, ma, nel contempo, il C. , il giorno dopo, depositava reclamo ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ., adducendo l’esistenza in seno a questa Corte ed allo stesso foro barese di dubbi sulla sua esperibilità anche per una fattispecie di c.d. estinzione atipica. Nel procedimento di reclamo, che veniva introdotto, non diversamente dall’opposizione agli atti, con ricorso che indicava come parti sia Equitalia che la R. , non si costituiva la creditrice procedente, mentre si costituiva la R. . Il Tribunale con la sentenza poi appellata dichiarava inammissibile il reclamo, in quanto proposto contro un provvedimento di estinzione atipica e condannava il C. alla rifusione delle spese alla Ru. . 3. Il ricorso per cassazione proposta contro la su indicata sentenza d’appello è fondato su sei motivi e le parti intimate non vi hanno resistito. 4. La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia la violazione o, in subordine, la falsa applicazione degli artt. 91, 630 e 632 c.p.c., e 187 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. . Vi si censura la motivazione con cui la corte territoriale ha disatteso il primo motivo di appello, con il quale il C. aveva dedotto - in funzione di ragione giustificativa per escludere la subita condanna alle spese nei confronti della R. - il difetto di legitimatio ad causam della interveniente R. , sostanzialmente desumendolo dalla restrizione della legittimazione a proporre il reclamo presente nel testo dell’art. 630, terzo comma, cod. proc. civ., modificato dalla riforma di cui al d.l. numero 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 80 del 2005 ed individuante come legittimati il creditore procedente, quelli intervenuti ed il debitore e, dunque, escludente la legittimazione dell’aggiudicatario, che in precedenza era stata sostenuta. 2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di violazione o, in subordine, falsa applicazione degli artt. 100 e 105 c.p.c., nonché 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. . Il motivo si duole che la corte territoriale abbia disatteso il secondo motivo di appello, con il quale si era prospettato, pur nella denegata ipotesi che, rigettandosi il primo motivo, fosse stata riconosciuta la legittimazione dell’aggiudicatario a proporre il reclamo, il difetto di interesse a contraddire nel giudizio di reclamo in capo alla Ru. , adducendosi a che esso non si configurava per la ragione che, essendo il provvedimento reclamato pacificamente successivo non solo all’aggiudicazione provvisoria, ma anche al decreto di trasferimento, sarebbe stato evidente che, anche ove il Tribunale avesse ritenuto ammissibile e fondato il reclamo, il suo accoglimento non avrebbe mai potuto travolgere l’acquisito dell’aggiudicatario e, quindi, il suo avente causa tanto ai sensi del combinato disposto degli artt. 187-bis disp. att. c.p.c. e 632 c.p.c. b che l’interesse della Ru. difettava anche perché, a differenza di quanto si era fatto con il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, nel ricorso per reclamo essa deducente non aveva chiesto in alcun modo la caducazione dell’ordinanza nella parte in cui aveva ritenuto irrevocabile il decreto di trasferimento in capo al dante causa della Ru. , bensì soltanto che si accertasse e dichiarasse il difetto dei presupposti di legge per la declaratoria di estinzione della procedura espropriativa numero r. es. 142/2006, dovendosi provvedere al suo completamento con la distribuzione del ricavato e la risoluzione delle eventuali controversie ex art. 512 c.p.c. . 3. L’esame dei due motivi può procedere congiuntamente, atteso che entrambi pongono questioni riguardo alle quali questa Corte deve rilevare che sia parte ricorrente sia la corte territoriale hanno commesso un errore di diritto nel considerare la posizione della R. . L’esatta considerazione di tale posizione evidenzia soltanto una situazione nella quale la motivazione della sentenza impugnata deve correggersi a norma dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ A tanto si provvederà non senza dar conto, dopo avere proceduto alla correzione, che tanto il primo che il secondo motivo non avrebbero avuto alcuna fondatezza se pure non avesse acquisito rilevanza l’effettiva posizione della R. nel giudizio di reclamo. 3.1. Invero, tale posizione emerge da un dato che risulta taciuto, se non travisato, dall’esposizione del ricorso, ed anche non evidenziato dalla resistente e che nemmeno considerato dalla sentenza impugnata. Esso assume rilievo dirimente per individuare la posizione della R. ai fini della statuizione sulle spese nel giudizio di reclamo. Si tratta di un dato che nell’esposizione del fatto del ricorso risulta sottaciuto, perché in essa, a pagina 11, si dice che la sig.ra R.I. - dichiaratasi interventrice, in qualità di acquirente dell’immobile aggiudicato a Ru. Be., nella procedura esecutiva numero r.g.e. 142/06 -, depositava una comparsa di costituzione , così suggerendo l’idea o almeno adombrandola che la costituzione della R. fosse avvenuta con il dispiegamento di un atto di intervento nel processo di reclamo, sebbene nella qualità pregressa di interventrice nel processo esecutivo, e ciò senza che il reclamo fosse stato proposto pure nei suoi confronti, ma in una situazione di sua proposizione solo contro la creditrice procedente. 3.2. Ebbene, dall’esame del ricorso per reclamo, che è presente sia nel fascicolo di parte davanti al tribunale che è inserito nel fascicolo di parte del ricorrente in questa sede, sia con il numero 01 indicato nel relativo indice nel fascicolo di parte della resistente dinanzi al tribunale, prodotto in seno al suo fascicolo in questa sede di legittimità, emerge invece che il reclamo venne proposto dal C. con l’indicazione come parti contro cui veniva introdotto sia della creditrice procedente sia della R. . Poiché il ricorso per reclamo venne proposto dal ricorrente contro la R. e considerato, peraltro superfluamente, conformemente a quanto risulta dalla copia del reclamo presente nel fascicolo della resistente, che la cancelleria del Tribunale di Bari correttamente diede comunicazione - come dal relativo biglietto di cancelleria del 15 maggio 2014 - alla R. del termine per depositare memoria, concesso con decreto scritto a mano in calce al ricorso dal presidente del tribunale in data 13 maggio 2014 , risulta evidente che la medesima assunse nel procedimento di reclamo la qualità di parte già su indicazione dello stesso C. e non dispiegò affatto, dunque, con la memoria che depositò, un atto di intervento nel detto procedimento. 3.3. Ne consegue che tanto la prospettazione del primo motivo quanto quella del secondo, trascurando tale dato, ragionano della posizione della R. ignorando che essa era parte per scelta dello stesso C. . Tale qualità di parte, in quanto provocata da una scelta del C. , ai fini della statuizione sulle spese, che, com’è noto obbedisce al noto principio della causalità, cioè della responsabilità per la provocazione del giudizio, giustificava, una volta dichiarata l’inammissibilità del reclamo e, dunque, configurandosi una soccombenza del C. , che egli dovesse sopportare, appunto in ragione della soccombenza e sul riflesso di avere provocato il giudizio coinvolgente come parte la R. , il carico delle spese da questa a sua volta sopportate. E tanto a prescindere dalle ragioni enunciate dalla corte territoriale, che svolgono rilievi che ignorano il dato decisivo messo qui in evidenza e paiono considerare del tutto erroneamente, ancorché senza nemmeno giustificare l’assunto, la posizione della R. come quella di una interventrice. Il primo ed il secondo motivo di appello avrebbero, dunque, dovuto rigettarsi con l’enunciazione della motivazione qui ora prospettata e, pertanto, i primi due motivi di ricorso non possono giustificare la cassazione della sentenza impugnata, una volta corretta la motivazione nei detti termini. 3.4. Per completezza, peraltro, si rileva che, se pure la R. non fosse stata indicata dal C. come parte contro la quale veniva proposto il reclamo ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ. ed essa fosse effettivamente intervenuta nel giudizio di reclamo, né il primo né il secondo motivo avrebbero avuto la possibilità di essere accolti. 3.4.1. Il primo motivo, pur correlandosi alla motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stato inidoneo a giustificare la cassazione della sentenza perché imputa ad essa di avere commesso un errore quello di non aver considerato fondato il primo motivo di appello basato sull’esclusione della legittimità del preteso intervento in causa della Ru. per non essere stata essa legittimata a proporre il reclamo - che quella corte non avrebbe potuto commettere e non ha commesso. Invero, a prescindere dalle considerazioni sull’ampiezza della legittimazione a proporre il reclamo, si sarebbe dovuto rilevare che il primo motivo, là dove discute di tale ampiezza, prospetta una questione irrilevante è sufficiente osservare che, se la R. fosse stata interventrice nel processo di reclamo, la sua legittimazione non sarebbe dipesa dall’ampiezza della legittimazione a proporre il reclamo, bensì dall’applicazione delle regole che presiedono all’individuazione della legittimazione ad intervenire nel processo altrui, onde del tutto priva di rilevanza è la prospettazione della questione relativa a quella ampiezza ed in particolare alla legittimazione dell’aggiudicatario e, di riflesso, del suo avente causa, qual è la R. nella specie. 3.4.2. Il secondo motivo, a sua volta, avrebbe richiesto solo l’enunciazione di una motivazione diversa rispetto a quella erroneamente prospettata dalla corte territoriale. Essa si sarebbe dovuta qui enunciare ai sensi dell’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ. ed avrebbe dovuto rilevare che, sempre qualora la R. non fosse stata evocata come parte del giudizio di reclamo dallo stesso C. , essa sarebbe stata legittimata a dispiegare un intervento nel procedimento di reclamo di natura c.d. principale, cioè diretto a postulare il riconoscimento, per il caso di accoglimento del reclamo, dell’indifferenza della sua posizione di acquirente dall’aggiudicatario rispetto alla vicenda estintiva, alla luce dell’art. 187-bis disp. att. cod. proc. civ L’interesse a dispiegare un simile intervento non poteva certo essere escluso dalla circostanza che il reclamo avesse riguardato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione solo nella parte in cui aveva disposto la archiviazione del processo esecutivo anziché disporne la prosecuzione sebbene ai soli fini della distribuzione e non anche nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di revoca dell’aggiudicazione e del decreto di trasferimento del bene pignorato. È sufficiente osservare che la stessa circostanza della pendenza del giudizio di opposizione agli atti esecutivi sulla stessa ordinanza anche per la parte non attinta dal reclamo, ponendo in discussione la posizione della R. , giustificava che essa facesse valere la sua posizione pure nel giudizio sul reclamo, se non altro perché fosse conclamata l’irrilevanza dell’esito del reclamo nei confronti di essa. Onde l’intervento sarebbe stato pienamente assistito dall’interesse ad agire. 4. Con il terzo motivo si fa valere violazione o, in subordine, falsa applicazione degli artt. 91 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360, numero 3 cpc, in merito alla condanna alle spese pronunciata in favore di Equitalia Sude s.p.a. . Ci si duole che, ancorché l’appello fosse stato notificato soltanto sub specie di litis denuntiatio alla Equitalia Sud e fosse stato diretto a postulare la riforma della sentenza di primo grado riguardo alla sola statuizione di condanna alle spese a favore della R. , la sentenza impugnata abbia disposto la condanna alte spese del giudizio di appello anche a favore di Equitalia Sud. 4.1. Il motivo è fondato. L’appello, come rilevasi dall’atto propositivo che è stato prodotto dal ricorrente, aveva svolto un’impugnazione che era rivolta soltanto a postulare l’inammissibilità della partecipazione al giudizio della R. e conseguentemente della condanna alle spese nei suoi confronti pronunciata. In particolare, le conclusioni prese in chiusura dell’atto di appello furono, peraltro in coerenza con argomentazioni svolte a sostegno dell’appello, le seguenti, come si legge nelle ultime due righe della pagina 11 e nelle prime otto della pagina successiva 1 accertare e dichiarare, in via alternativa e per i motivi innanzi esposti, il difetto di legitimatio ad causam e/o di interesse ad agire della sig.ra R.I. nel giudizio ex art. 630 cpc introdotto dal sig. C.N. , e per l’effetto l’inammissibilità della condanna alle spese pronunciata in suo favore dal Tribunale collegiale di Bari con la sentenza impugnata 2 in subordine, accertare e dichiarare, per i motivi qui esposti, la sussistenza dei presupposti per l’integrale compensazione delle spese di lite del giudizio conclusosi con la sentenza qui impugnata 3 in ulteriore subordine, accertare e dichiarare la violazione del D. M. numero 55/2014 e, per l’effetto, procedere ad una nuova liquidazione dei compensi liquidati dal Tribunale di Bari in favore della sig.ra R.I. , in conformità ai vigenti parametri. . È palese che l’appello poneva in discussione solo la partecipazione della R. al giudizio di primo grado e la conseguente statuizione sulle spese. L’impugnazione non era diretta contro la statuizione di inammissibilità del reclamo ex art. 630 cod. proc. civ. e, dunque, l’assetto scaturito dalla sentenza di primo grado quanto alla posizione della Equitalia Sud, quale creditrice procedente, non risultava posto in alcun modo in discussione. Ne segue che, effettivamente, la notificazione dell’appello non riguardava la detta società rispetto alla controversia sull’estinzione, riguardo alla quale il cumulo di domande emergente dalla proposizione del reclamo contro di essa e contro la R. integrava certamente situazione di inscindibilità, atteso che l’introduzione del reclamo contro entrambe dette parti dava luogo ad una situazione in cui la decisione doveva avere luogo unitariamente verso entrambe, in quanto parti in senso lato del processo esecutivo. La notificazione della impugnazione concerneva solo la posizione della R. . Ne discende che Equitalia Sud non aveva alcuna necessità di costituirsi nel giudizio di appello, non essendo l’impugnazione rivolta contro di essa, né in via diretta, né in via indiretta, cioè in modo da provocare un qualche effetto riflesso sulla sua posizione siccome consacrata dalla sentenza di rimo grado. Tanto comporta che la corte barese abbia pronunciato sulle spese a favore di Equitalia Sud sulla base di una soccombenza del tutto inesistente, essendo stata la partecipazione della medesima al giudizio del tutto inutile. 4.2. La sentenza impugnata dev’essere dunque cassata quanto alla condanna alle spese a carico del ricorrente e nei confronti della s.p.a. Equitalia Sud. La cassazione può essere disposta senza rinvio a norma dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto detta corte non poteva pronunciare sulle spese riguardo al detto rapporto processuale. 5. Con il quarto motivo si deduce violazione o, in subordine, falsa applicazione dell’art. 13 co. 1-quater, D.P.R. 115/2002, in relazione all’art. 360, numero 3 c.p.c. e vi si lamenta che la corte territoriale, ancorché il ricorrente risultasse ammesso al patrocinio a spese dello Stato, abbia dichiarato dovuto dal medesimo il c.c. doppio contributo unificato. 5.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse. La norma dell’art. 13-quater del d.p.r. numero 115 del 2002, là dove, dopo avere disposto che Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. , prevede che Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso , dev’essere interpretata in modo ragionevole e tenendo conto che è estranea all’ambito della giurisdizione civile ordinaria la cognizione della debenza del c.d. contributo unificato, come costo che si deve sopportare o non si deve sopportare per il costo del funzionamento della macchina giudiziaria, cioè del c.d. Servizio Giustizia . Ne segue che la prescrizione dettata dalla norma deve essere letta, quando si riferisce al dovere di attestazione dei presupposti di cui al periodo precedente, non già nel senso che il giudice deve dichiarare oltre alla ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, anche se la parte, in dipendenza di tale esito, sia in concreto tenuta oppure non al versamento del contributo. Tale accertamento, come, del resto, fa manifesto il successivo art. 15 del d.P.R. spetta all’amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria ed è in relazione all’agire dell’amministrazione che rileva l’esistenza di eventuali condizioni di esenzione dall’obbligo tributario, come quelle indicate nell’art. 10 oppure dell’esistenza della c.d. prenotazione a debito per l’ammissione della parte nel giudizio concluso dall’impugnazione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. o per essere la parte un’amministrazione pubblica. La ricorrenza tanto di un’eventuale esenzione quanto dell’esistenza della prenotazione a debito, che all’atto dell’iscrizione a ruolo dell’impugnazione non dà luogo all’obbligo di pagamento del contributo, è compito dell’amministrazione nell’articolazione della cancelleria dell’ufficio ricevente l’impugnazione. Una diversa interpretazione comporterebbe, in mancanza di qualsiasi espressa previsione, l’attribuzione alla giurisdizione civile anche quando viene esplicata nel processo penale di un vero e proprio potere decisionale sulla debenza del contributo e del doppio del contributo e, dunque su una vicenda di natura tributaria, riguardo alla quale il giudice naturale è quello tributario. L’alternativa sarebbe che al giudice dell’impugnazione risulterebbe attribuito un ruolo di natura amministrativa e, quindi, di responsabilità per la relativa pretesa erariale, in mancanza di una esplicita previsione di legge. Ne segue che ciò che al giudice la norma dell’art. 13-quater richiede è solo l’attestazione dell’avere adottato una decisione incasellabile o come pronuncia di inammissibilità o improcedibilità o come di respingimento integrale”. Tale dichiarazione compete al giudice, perché rientra nell’ambito dei poteri inerenti la sua iurisdictio, in quanto, a seconda delle tipologie di impugnazione, il tenore della decisione sia siccome espresso dalla motivazione, sia siccome espresso dal dispositivo, potrebbe ingenerare dubbi sulla ricorrenza o di una fattispecie di inammissibilità e improcedibilità o di un respingimento integrale . Ne consegue ulteriormente che, tanto nei casi di esenzione dal contributo, quanto nei casi di prenotazione a debito, il giudice deve comunque attestare se ha adottato una pronuncia di inammissibilità o improcediblità o di respingimento integrale”, competendo poi esclusivamente all’Amministrazione valutare se nonostante l’attestato tenore della pronuncia, che evidenzia il presupposto giurisdizionale dell’esito del processo di impugnazione legittimante in astratto la debenza del doppio contributo, in concreto la doppia contribuzione spetti. Di modo che se l’Amministrazione constati l’esenzione o la prenotazione a debito come nel caso di patrocinio a spese dello Stato , le ulteriori deliberazioni competono esclusivamente ad essa e contro di esse la reazione della parte dovrà estrinsecarsi con i mezzi di tutela contro l’eventuale illegittima pretesa di riscossione e ciò senza che l’attestazione del giudice civile possa leggersi come di debenza della doppia contribuzione, atteso che essa non ha tale oggetto. Sulla base di tali precisazioni il motivo è inammissibile perché impugna una statuizione inesistente. 6. Con il quinto motivo si deduce violazione o, in subordine, falsa applicazione degli artt. 131 DPR numero 115/002, 10 c.p.c. e 5 del D.M. 10.03.2014 numero 55, in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. e ci si duole della motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato il terzo motivo di appello. La motivazione enunciata dalla corte territoriale è erronea, ma il dispositivo di rigetto del motivo di appello è conforme a diritto, perché la statuizione di rigetto si giustifica sulla base di una diversa motivazione che questa Corte può enunciare a norma dell’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ Viene qui in rilievo il principio di diritto già affermato da Cass. numero 15810 del 2006 e, quindi, da altre decisioni delle Sezioni Semplici , secondo cui Sulla base del principio di economia processuale, ormai espressamente accolto anche nel giudizio di legittimità dalla seconda parte dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., nonché di un’interpretazione complessiva dell’art. 384 che induce ad escludere che l’ambito di applicazione del primo comma - tradizionalmente identificato con l’ipotesi della violazione o falsa applicazione di una norma di diritto sostanziale di cui al numero 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. - coincida con quello del secondo comma - dove si fa riferimento alle sentenze erroneamente motivate in diritto e, quindi, essendo la sentenza risultante tanto dall’applicazione di norme sostanziali quanto di norme processuali, all’incidenza causale dell’errore sulle une e sulle altre deve ritenersi configurabile il potere della Corte di Cassazione di correzione della motivazione della sentenza impugnata anche in relazione ad un error in procedendo , fermi restando anche in tal caso i limiti della non necessità di indagini di fatto ulteriori rispetto a quelle che la Corte di Cassazione può compiere sul fascicolo, come di norma, nell’esame di detto error e del rispetto del principio dispositivo dovendosi trattare di fatti ed eccezioni rilevati dalle parti o rilevabili d’ufficio . La correzione della motivazione non si giustifica perché parte ricorrente sostiene che il valore della controversia quanto al rapporto processuale fra il ricorrente e la R. si doveva commisurare, attesa la sua posizione di avente causa dell’aggiudicatario, al valore dell’aggiudicazione, ma perché il valore dell’interesse in causa della R. doveva ritenersi invece pari al prezzo di acquisito dall’aggiudicatario. Ebbene, sia nell’atto di intervento nel processo esecutivo, sia nella memoria di costituzione davanti al giudice del reclamo, la R. non aveva dichiarato quel prezzo e, pertanto si configurava una situazione di indeterminabilità del valore della causa fra il C. e la R. . Ne segue che lo scaglione di riferimento per gli onorari avrebbe dovuto essere quello delle cause di valore indeterminabile, come ha ritenuto, sebbene male evocando Cass. numero 1360 del 2014, la corte territoriale. Così corretta la motivazione il motivo non può dare luogo a cassazione della sentenza. Peraltro, se si fosse potuto fare riferimento al valore del prezzo di aggiudicazione, si sarebbe dovuto considerare che l’importo dovuto sarebbe stato di C 2.907,00, tenuto conto dell’aumento fino all’80% degli onorari medi. Se si considera, poi, che il Tribunale, come emerge dalla sentenza prodotta dallo stesso ricorrente, non ha parlato di onorari, ma di spese giudiziali, come tali comprensive delle spese vive, l’importo di Euro 3.000,00 appare congruo, atteso che le spese vive sarebbero state liquidate in soli Euro 93,00. 7. Il sesto motivo resta assorbito, in disparte la sua palese infondatezza. 8. Conclusivamente sono rigettati tutti i motivi ad eccezione del quarto che è dichiarato inammissibile e del terzo, che è accolto con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata quanto alla statuizione di condanna alle spese a favore di Equitalia Sud s.p.a., che si intende caducata. Le statuizioni residue della sentenza restano ferme. 9. Non avendo resistito in questa sede la s.p.a. e considerato che, in ragione della applicabilità al processo dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo anteriore alla modifica di cui al 2014, si rivengono gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione nel rapporto processuale fra ricorrente ed s.p.a Esse, dunque, si compensano. Analoghe ragioni di compensazione si rinvengono nella disposta correzione della motivazione su tre motivi di ricorso nel rapporto processuale fra ricorrente e resistente. Il parziale accoglimento del ricorso impone, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, di dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto eventualmente per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, fermo restando quanto si è detto sul significato di tale attestazione, che in questo caso si limita a rilevare che il tipo di pronuncia adottato non è riconducibile alle formule decisorie che astrattamente giustificano la doppia contribuzione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata quanto alla statuizione di condanna alle spese a favore di Equitalia Sud s.p.a., che si intende caducata, perché non poteva essere resa, ferme le altre statuizioni della stessa. Rigetta per il resto il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione sia nel rapporto fra ricorrente e resistente sia nel rapporto fra ricorrente ed intimata. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.