Il ricorso per cassazione può integrare l’abuso del diritto, se non viene depositata la relazione di notifica

È indispensabile, all’atto dell’iscrizione a ruolo di un ricorso presso la Suprema Corte, allegare la relata di notifica alla copia autentica della sentenza impugnata, onde dimostrare la tempestività dell’impugnazione. In mancanza, il ricorso è improcedibile e si rischia la condanna ex art. 96 c.p.c

Questo è il principio di diritto, espresso con motivato ragionamento dalla Suprema Corte, III Sezione civile, nell’ordinanza n. 25176 del 2018, emessa nella camera di consiglio del 18 luglio 2018 e depositata in cancelleria il successivo 11 ottobre, in un ricorso risalente al 2016, relativo ad un contenzioso per la richiesta di un risarcimento danni subiti da un’autovettura per la presenza, su una strada, di un tombino divelto, questione su cui però la Corte non si è espressa, avendo dichiarato l’improcedibilità del ricorso per i motivi che stiamo per esaminare e che hanno impedito l’esame nel merito. Peraltro, la Corte, ritenendo che la violazione dell’art. 369, comma 2, c.p.c. integrasse la fattispecie dell’abuso del diritto all’impugnazione e quindi del processo ha condannato il ricorrente al risarcimento del danno, ex art. 96 c.p.c. in favore di ciascuno dei ricorrenti. Il caso. Il ricorrente aveva presentato ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato con memoria, avverso una sentenza del 2015 notificata a mezzo PEC, con cui il Tribunale aveva rigettato il gravame, da questi proposto, nei confronti del Comune di Avellino e della compagnia assicurativa di questo, relativamente alla domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti alla propria autovettura per la presenza di un tombino divelto, sulla strada da lui percorsa. Tutti gli intimati hanno resistito con controricorso. Il ricorrente lamentava, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di diverse norme di legge e il vizio di ultra petizione, l’omessa pronuncia e la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché la violazione dell’art. 167 c.p.c. per l’erronea valutazione delle deposizioni testimoniali. Il ricorso è stato deciso nella camera di consiglio del 18 luglio 2018, in cui il Collegio ha disposto il rigetto per improcedibilità per i motivi che stiamo per esaminare. Infatti, in realtà, la Corte come vedremo tra poco non è entrata nel merito della questione, avendo rilevato una questione preliminare, relativa alla mancanza della relata di notifica della sentenza impugnata, passibile di improcedibilità e della condanna ex art. 96 per abuso di processo. Non è sufficiente indicare nel ricorso la data in cui è stata notificata la sentenza impugnata deve essere depositata la relativa relata di notifica, onde consentire la valutazione sulla tempestività dell’impugnazione. In mancanza, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile e il ricorrente può essere condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c La Cassazione ha dichiarato improcedibile il ricorso, condannando il ricorrente anche ex art. 96 c.p.c. per abuso di diritto all’impugnazione e quindi del processo, in virtù del principio che prevede la necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni proposte senza l’osservanza delle norme processuali. Secondo la Suprema Corte, infatti, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al momento del deposito del ricorso deve essere depositata, a pena di improcedibilità, insieme alla copia autentica della sentenza impugnata, la relativa relata di notifica, ove naturalmente nel ricorso si citi l’avvenuta notifica, onde dimostrare la tempestività dell’impugnazione. Secondo l’ordinanza in commento, la previsione sopra citata è funzionale al riscontro da parte della Corte del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, e del controllo della tempestività dell’esercizio del diritto, il quale una volta avvenuta la notifica della sentenza impugnata, come nel caso in esame , è soggetto al cosiddetto termine breve. Secondo la Corte, quando il ricorrente dichiari che la sentenza gli è stata notificata, come nel nostro caso, ma si limiti a produrre copia autentica della sentenza senza la relata, il ricorso deve esser dichiarato improcedibile, non essendo possibile ricavare la prova della sua tempestività, e non rilevando nemmeno la mancata eccezione di controparte. Inoltre, secondo la III Sezione nel caso in esame ricorrono anche i presupposti per l’applicazione dell’art. 96, ultimo comma. c.p.c Infatti, la relativa norma prevede una sanzione di tipo pubblicistico, applicabile ogni qualvolta vi sia una lite temeraria ma anche un abuso di processo”, nel senso di avere inutilmente attivato un procedimento in questo caso in Corte di Cassazione, o per motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza, oppure come in questo caso non seguito da tutti gli incombenti necessari, processuali ma anche di rilievo pubblicistico, per la procedibilità del giudizio di legittimità. In queste ipotesi, il ricorso integra in ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo destinato soltanto ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti. Considerando anche che, secondo la Corte, il primo filtro valutativo, rispetto ai diritti e alle azioni da promuovere, è affidato agli avvocati, e visto che il mancato assolvimento dell’obbligo di cui all’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. dà luogo alla dichiarazione di improcedibilità, ma non è compatibile con un quadro ordinamentale che favorisce la giusta durata del processo, non solo ha dichiarato improcedibile il ricorso, ma ha condannato il ricorrente al pagamento di € 1.500,00 in favore di ciascun resistente ex art. 96 c.p.c., nonché al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 18 luglio – 11 ottobre 2018, n. 25176 Presidente Spirito – Relatore Di Florio Fatto e diritto Ritenuto che 1. F.D. ricorre, affidandosi a quattro motivo illustrati anche con memoria avverso la sentenza del Tribunale di Avellino che, confermando la pronuncia del giudice di pace, aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti alla propria autovettura per la presenza, sulla strada da lui percorsa, di un tombino divelto. Tutti gli intimati hanno resistito. Considerato che 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 n 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 2697 c.c nonché degli artt. 112,115 e 116 cpc e dell’art. 40 RD 2506 del 1923, art. 5 e 15 CdS lamenta altresì il vizio di ultrapetizione, l’omessa pronuncia e la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato. Con il secondo motivo ed il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 2697 c.c nonché degli artt. 112,115 e 116 cpc in relazione all’art. 360 n 3 e n 4 cpc, non avendo il Tribunale sufficientemente argomentato in ordine all’esistenza del tombino deduce altresì la violazione dell’art. 167 cpc, lamentando l’erronea valutazione delle deposizioni testimoniali assunte. Con il quarto motivo, infine, lamenta la violazione delle medesime norme sopra richiamate, il malgoverno delle prove raccolte, con erronea ricostruzione della posizione del tombino in relazione alle dimensioni della strada. 2. Preliminarmente, tuttavia, deve essere esaminata la questione, per la quale si impone il rilievo d’ufficio, riguardante la procedibilità del ricorso. Risulta infatti dall’esame di esso e del fascicolo del ricorrente - che ha impugnato la sentenza dando atto che la stessa era stata notificata a mezzo PEC in data 30.12.2015 - che manca del tutto la relata di notifica che, ex art. 369 co.2. n 2 cpc, deve essere depositata unitamente al ricorso ed alla copia autentica della sentenza impugnata, a pena di improcedibilità. 3. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che la previsione - di cui al secondo comma, n. 2, dell’art. 369 cod. proc. civ. - dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione - a tutela dell’esigenza pubblicistica e, quindi, non disponibile dalle parti del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale - della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 cod. proc. civ., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione. Cass. SU 9005/2009 nello stesso senso Cass. 20883/2015 e Cass. 21386/2017 . 3.1. Nel caso in esame a. non ricorre la peculiare ipotesi secondo cui la notifica risulti, comunque, nella disponibilità del collegio perché prodotta da una parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio cfr. al riguardo Cass. SU 10648/2017 , in quanto dall’esame degli atti prodotti non si rinviene alcuna prova dell’incombente, in relazione al quale risultano, dunque, sconosciute, al di là della mera indicazione contenuta nel ricorso notificata con modalità telematiche in data 30.12.2015 , le modalità con le quali il F. ha provveduto b. il ricorso non supera la c.d. prova di resistenza, essendo stato notificato in data 10.2.2016 successivamente allo spirare del sessantesimo giorno 8.2.2016, lunedì dalla data di pubblicazione della sentenza 9.12.2015 quindi, in assenza dell’unica ipotesi in cui perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato in relazione al termine di cui all’art. 325 cpc cfr. Cass.10 luglio 2013, n. 17066, richiamata anche nel par. 22 di Cass. 30765/2017 , era necessario che fossero rigorosamente osservate le formalità imposte dall’art. 369 co 2 n 2 cpc, declinate nel giudizio di Cassazione - ove la notifica sia stata effettuata in via telematica, come dedotto dal ricorrente cfr. pag. 2 del ricorso - alla luce della normativa sulle notifiche a mezzo PEC art. 9 commi 1-bis e 1 -ter della legge 53/1994 che impone la autenticazione, con sottoscrizione autografa del difensore, della copia analogica delle ricevute di trasmissione ed avvenuta consegna e del messaggio di ricezione dell’atto. 4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. 5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 6. Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione dell’art. 96 u.co cpc. Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma testè richiamata, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei danni punitivi che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento. 6.1. Al riguardo, è stato affermato che la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo , quale l’aver agito o resistito pretestuosamente Cass. 27623/2017 e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione. Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto volto a valorizzare la sanzione prevista dalla norma, secondo il quale nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi Cass.SSUU 16601/2017 nella motivazione della sentenza richiamata l’art. 96 u.co cpc è stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza. 6.2. In relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360 n 5 cpc, ove sia applicabile, ratione temporis, l’art. 348ter u.co cpc che ne esclude la invocabilità oppure, come nel caso di specie, non seguito da tutti gli incombenti processuali, anche di rilievo pubblicistico, necessari per la procedibilità del giudizio di legittimità. In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. 6.3. Nel caso in esame, il mancato assolvimento dell’obbligo di cui all’art. 369 co 2 n 2 cpc, oltre a determinare la dichiarazione di improcedibilità del giudizio, non è compatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti cfr. art. 6 CEDU e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo art. 111 Cost. e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni proposte senza l’osservanza delle norme procedurali o con gravi errori di diritto in tale contesto questa Corte intende valorizzare la sanzionabilità dell’abuso dello strumento giudiziario Cass. n. 10177 del 2015 , proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione e consentire l’accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo - rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere - è affidato alla prudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilità delle parti. 7. Deve pertanto concludersi per la condanna del ricorrente, d’ufficio, al pagamento in favore di ciascun contro ricorrente, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in Euro 1500,00,pari, all’incirca, in termini di proporzionalità cfr. Cass. SU 16601/2017 sopra richiamata alla misura dei compensi liquidabili in relazione al valore della causa. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma ibis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte, dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida nei confronti di ciascun controricorrente in Euro 1200,00 per compensi ed esborsi oltre accessori e rimborso spese forfettario nella misura di legge. Condanna altresì il ricorrente al risarcimento del danno ex art. 96 u co.cpc che liquida, in favore di ciascun contro ricorrente, in Euro 1500,00. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.