L’aggressione coatta del patrimonio del debitore per soddisfare l’obbligazione pecuniaria del creditore

La condanna che ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro non può essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e può attuarsi esclusivamente attraverso il processo esecutivo di espropriazione forzata.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 23900/18 depositata il 2 ottobre. Il caso. La ricorrente propone ricorso in Cassazione avverso la decisione di secondo grado con cui la Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale che accoglieva l’opposizione proposta dall’intimata all’esecuzione nel corso del procedimento esecutivo promosso nei suoi confronti nelle forme di espropriazione presso terzi. La sentenza di condanna. Nel caso in esame occorre partire dal presupposto che la condanna che ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro non può essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e può attuarsi esclusivamente attraverso il processo esecutivo di espropriazione forzata, non trovando esecuzione attraverso il procedimento di cui all’art. 612 c.p.c In proposito non è rilevante che nel titolo siano indicate specifiche modalità di adempimento dell’obbligo di pagamento, poiché l’esecuzione di tale obbligo può trovare attuazione esclusivamente attraverso il procedimento di espropriazione forzata, in quanto esso comporta l’aggressione coatta del patrimonio del debitore e la sua liquidazione per soddisfare l’obbligazione pecuniaria del creditore.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 19 giugno – 2 ottobre 2018, n. 23900 Presidente Amendola – Relatore Tatangelo Fatti di causa M.S. ha proposto opposizione all’esecuzione nel corso del procedimento esecutivo promosso nei suoi confronti da B.G. quale rappresentante del figlio M.S.M. nelle forme dell’espropriazione presso terzi. L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Roma. La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre la B. , sulla base di tre motivi. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente fondato. È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 324 c.p.c e 2909 cod.civ Vizio motivazionale per omesso esame del giudicato esterno . Con il secondo motivo del ricorso si denunzia nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione delle norme sulla rilevabilità d’ufficio e sull’efficacia del giudicato esterno . I primi due motivi - aventi ad oggetto l’eccezione di giudicato esterno sollevata nel corso del giudizio di merito e rigettata dalla corte di appello - sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono inammissibili, per difetto di specificità. La corte di appello - pur affermando, in diritto, che l’eventuale giudicato esterno avrebbe potuto e dovuto essere rilevato anche di ufficio - ha però ritenuto insussistente, in fatto, la prova dell’avvenuta formazione del giudicato formale in ordine alle sentenze del Tribunale di Tivoli invocate dall’opposta a fondamento della propria eccezione, in mancanza della relativa certificazione e di altri elementi che deponessero univocamente in tal senso. Nel ricorso non solo non è affermato espressamente che l’avvenuta formazione del giudicato in ordine alle indicate sentenze di primo in grado era stata in realtà documentata o comunque emergeva dagli atti del giudizio di merito né che il giudicato si era eventualmente formato successivamente alla sentenza impugnata e che quindi poteva essere documentato nel corso del giudizio di legittimità , ma addirittura non si allega neanche in modo chiaro, espresso e specifico che il predetto giudicato si sia effettivamente formato e la data in cui ciò sarebbe avvenuto. 2. Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia omesso esame della quaestio facti costituita dall’interpretazione del titolo esecutivo secondo criteri logico giuridici . Il motivo è manifestamente fondato. Al di là della formulazione letterale della rubrica, la ricorrente, nell’esporre le relative censure, denunzia chiaramente l’error in iudicando commesso dalla corte di appello, la quale ha qualificato, in diritto, la sentenza di condanna posta in esecuzione come condanna avente ad oggetto un Tacere e non un dare, e quindi come titolo esecutivo suscettibile di esecuzione esclusivamente nelle forme di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., e non mediante il procedimento di espropriazione forzata. La suddetta censura coglie nel segno. La condanna avente ad oggetto il pagamento di una somma di danaro non può in nessun caso essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e non può in alcun modo trovare esecuzione attraverso il procedimento di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., ma può attuarsi esclusivamente attraverso il. processo esecutivo di espropriazione forzata. È irrilevante in proposito che nel titolo siano indicate determinate e specifiche modalità di adempimento dell’obbligo di pagamento, in quanto l’esecuzione di un siffatto obbligo può comunque trovare attuazione esclusivamente attraverso il procedimento di espropriazione forzata esso implica infatti necessariamente l’aggressione coatta dal patrimonio del debitore e la sua liquidazione al fine di soddisfare l’obbligazione pecuniaria del creditore ciò non può avvenire attraverso il procedimento di cui all’art. 612 c.p.c., che consente esclusivamente di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile ovviamente diversa da quella avente ad oggetto il pagamento di una somma di danaro in sostituzione del debitore, ma richiede necessariamente il pignoramento e la conseguente espropriazione forzata dei beni del debitore. Il processo esecutivo per espropriazione era dunque l’unica via processuale percorribile per ottenere l’attuazione coatta dell’obbligo contenuto nel titolo esecutivo, e tale processo era stato correttamente instaurato dall’avente diritto. La sentenza impugnata, laddove ha invece erroneamente ritenuto che la procedura esecutiva da utilizzare era quella di esecuzione degli obblighi di fare, va di conseguenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’opposizione. 3. Sono dichiarati inammissibili i primi due motivi del ricorso, è accolto il terzo. La sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, l’opposizione del M. è rigettata. Per le spese del giudizio si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte - dichiara inammissibili i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta da M.S. - condanna M.S. a pagare le spese dell’intero giudizio in favore della parte opposta, liquidandole, per il primo grado, in complessivi Euro 2.000,00, per il secondo grado in complessivi Euro 2.300,00 e, per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 3.500,00, nonché Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.