Credito da “inumana detenzione” e debito per pene pecuniarie, ammessa la compensazione

Il credito di un soggetto nei confronti dello Stato, riconosciuto ex art. 35-ter legge n. 354/1975 c.d. da inumana detenzione”, può essere compensato da un controcredito vantato dalla stessa amministrazione per pene pecuniarie.

E’ quanto precisato dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, con ordinanza n. 10130/18 del 26 aprile 2018, respingendo il ricorso di un soggetto, avverso il decreto con cui il Tribunale aveva dichiarato estinto un suo credito, accertato ex art. 35 ord. pen., per compensazione con un maggior debito per pene pecuniarie. Avverso la statuizione, in particolare, il ricorrente denunziava la violazione dell’art. 1243, comma 1, c.c., assumendo che l’obbligazione di pagamento della posta risarcitoria da inumana detenzione”, non potesse essere compensata da un credito vantato dall’amministrazione statale per pene pecuniarie. Invero, secondo la Cassazione, la censura non trova fondamento, erroneamente assumendo ostativa alla compensazione la natura giuridica del controcredito. Al contrario, secondo gli Ermellini, la natura giuridica del credito non ostacola affatto la possibilità di compensazione, atteso che la pena pecuniaria giuridicamente rappresenta una mera entrata patrimoniale dello Stato, oltretutto suscettibile di riscossione mediante ruolo ai sensi del d.lgs. n. 46/1999. Nessun divieto di compensazione per le entrate patrimoniali dello Stato. Giova in proposito osservare che l’ordinamento non contempla alcun divieto di compensazione per le entrate patrimoniali dello Stato. E non lo contempla nemmeno in riferimento alle entrate tributarie, data la possibilità del pagamento spontaneo mediante compensazione volontaria con crediti d’imposta fatta salva, in detta ultima ipotesi, l’identità della natura dei crediti tributari da compensare. Una identità che è in tal caso eccezionalmente stabilita in considerazione dell’oggetto della prestazione il tributo , ma che non può essere estesa oltre l’ambito per cui è contemplata. Ne consegue – conclude la Sesta Sezione Civile – che per le altre entrate patrimoniali l’amministrazione è abilitata a opporre in compensazione i propri crediti qualunque ne sia la fonte, con la sola necessità del requisito di certezza del credito vantato. Tanto premesso, il ricorso va dunque rigettato, atteso che la certezza del credito posto in compensazione, nel caso de quo, risulta implicitamente accertata dal Tribunale, non essendovi stata sul punto alcuna contestazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 28 novembre 2017 – 26 aprile 2018, n. 10130 Presidente Scaldaferri – Relatore Terrusi Fatto e diritto Rilevato che V.V. ricorre per cassazione, con unico motivo, avverso il decreto col quale il tribunale di Napoli ha dichiarato estinto il suo credito di Euro 4.144,00, accertato ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen., per compensazione con un maggior debito per pene pecuniarie il ministero della Giustizia ha replicato con controricorso. Considerato che il ricorrente, denunziando la violazione dell’art. 1243, primo comma, cod. civ., assume che l’obbligazione di pagamento della posta risarcitoria cd. da inumana detenzione , art. 35-ter ord. pen., non possa essere compensata da un controcredito vantato dall’amministrazione per pene pecuniarie il motivo è nella sua astrattezza manifestamente infondato, dal momento che erroneamente assume ostativa alla compensazione la natura giuridica del controcredito in contrario deve invece osservarsi che la natura giuridica del credito non ostacola affatto la possibilità della compensazione, in quanto la pena pecuniaria giuridicamente rappresenta una mera entrata patrimoniale dello Stato, oltre tutto suscettibile di riscossione mediante ruolo a seguito dell’estensione operata dal d.lgs. n. 46 del 1999 in particolare, secondo l’art. 17 di tale d.lgs. - salvo quanto previsto dal comma 2 vale a dire salvo che per le entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali, nonché per la tariffa di cui all’articolo 156 del d.lgs. n. 152 del 2006 - si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici , con conseguente applicabilità delle disposizioni di cui al capo II del titolo I e al titolo II del d.P.R. n. 602 del 1973 come modificate è decisivo osservare che l’ordinamento non contempla un divieto di compensazione per le entrate patrimoniali dello Stato non lo contempla neppure con riferimento alle entrate tributarie, attesa la possibilità del pagamento spontaneo mediante compensazione volontaria con crediti d’imposta v. artt. 28-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 e 20-bis del d.lgs. n. 46 del 1999 derivante dal d.l. n. 262 del 2006, conv. in l. n. 286 del 2006 in altre parole, finanche rispetto alle entrate tributarie è consentita la compensazione tra poste a debito e poste a credito, fatta salva in quel solo caso l’identità delle natura dei crediti tributari da compensare tale relazione di identità è in quel caso eccezionalmente stabilita in considerazione dell’oggetto della prestazione il tributo , donde non può essere estesa oltre l’ambito per il quale è contemplata ne consegue che, per le altre entrate patrimoniali, l’amministrazione è abilitata a opporre in compensazione i propri crediti qualunque ne sia la fonte, con la sola necessità del requisito di certezza del credito vantato secondo quanto da tempo affermato in giurisprudenza, l’operare della compensazione propria postula in sé - a differenza di quella cd. impropria cfr. Cass. n. 12302-16, Cass. n. 7474-17 - l’autonomia dei rapporti oltre che ovviamente l’eccezione di parte , cosicché ai fini del suo operare resta salvo esclusivamente il fatto che il credito opposto in compensazione possieda il requisito di certezza il ricorso va dunque rigettato, poiché tale requisito risulta implicitamente accertato dal tribunale e poiché il medesimo non appare esser stato minimamente contestato le spese processuali seguono la soccombenza dal ricorso risulta che le spese relative al contributo unificato sono state prenotate a debito consegue che non opera il meccanismo del raddoppio di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrent-e alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.