Nell’ambito di un procedimento ex articolo 700 c.p.c. per chiedere la cancellazione del nominativo di una società dall’elenco della centrale rischi con effetto retroattivo, il Tribunale di Napoli ha chiarito che gli articolo 4 ss., 9 e 43 d.lgs. numero 196/2003 c.d. Codice privacy , a seguito della riforma introdotta dalla l. numero 214/2011, non si applicano alle persone giuridiche, trovando per esse applicazione solo le norme del Titolo X Comunicazioni elettroniche . Non è possibile, perciò, invocare il rimedio cautelare previsto dall’articolo 152 d.lgs. numero 196/2003.
È quanto sancito dall’ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli il 1° dicembre 2017. Il caso. Una società, senza ricevere alcun avviso, veniva edotta della chiusura di un rapporto fiduciario con un istituto bancario con cui intratteneva rapporti. Quest’ultimo motivava la decisione sulla base della segnalazione della società alla centrale rischi da parte di un’altra banca. In realtà il bilancio era in assoluto pareggio e già una sentenza del Tribunale di Napoli numero 9688/17 aveva dichiarato nulli i contratti di credito intervenuti tra le parti perché privi di forma scritta ad substantiam. Sul punto l’istituto convenuto ha eccepito un'altra sentenza in cui, invece, si affermava la validità del rapporto e, quindi, del credito Trib. Roma numero 13303/17 . Eccepiva anche l’improponibilità del 700 c.p.c., poiché la ditta si sarebbe dovuta avvalere del rimedio specifico previsto dall’articolo 152 d.lgs. numero 196/12. Il giudice ha accolto le istanze della ricorrente condannando la banca alla cancellazione con effetto retroattivo della segnalazione ed alle spese di lite. No privacy per le ditte. Come sopra esplicato le tutele ed i relativi rimedi previsti dalla legge sulla privacy, dopo la recente riforma, non si applicano più alle persone giuridiche. Sul punto è stato chiarito quanto in epigrafe dalla nota 262/12 del Garante della privacy. Segnalazione anche quando il credito non è certo? L’esistenza del credito malgrado la nullità dei contratti è un punto marginale essa non comporta l’inesistenza del credito, che andrà semmai rimodulato, perché c’è stata un’effettiva apertura della linea di credito ed è stato versato capitale sul conto della ditta. «Il sistema della segnalazione dei crediti a sofferenza, infatti, risponde ad un'esigenza di ordine generale, volta a tutelare l'intero sistema economico e ad evitare che venga concesso credito a soggetti che non saranno prevedibilmente in grado di restituire quanto ricevuto. L'obbligo della segnalazione è previsto a carico delle banche che, vantando un credito inadempiuto nei confronti di un soggetto, a seguito di adeguata istruttoria si avvedano della sua situazione di difficoltà, simile allo stato di insolvenza, sebbene non così grave. In tale ottica, quindi, è evidente come il vantare un credito non è un vero e proprio requisito di legittimità della segnalazione a sofferenza tale circostanza è solo l' occasione che permette all' istituto bancario di svolgere l'istruttoria per vagliare la situazione economico-finanziaria del debitore. Non sembra quindi necessario che il credito sia certo ed incontestato tra le parti, anche perché altrimenti sarebbe facile per chiunque evitare di essere segnalato a sofferenza, semplicemente contestando il credito». Carenza d’istruttoria. Il mancato preavviso rileva per la responsabilità della banca, ma è marginale in questa sede. Si può fare la segnalazione solo in caso d’insolvenza, ossia laddove la banca dimostri un perdurante inadempimento ed una grave esposizione debitoria. Nella fattispecie non solo non sono stati dimostrati tali requisiti ma dalla documentazione in atti è palese che non sussistano nella fattispecie. Si precisi che l’inadempimento di per sé non è indice d’insolvenza perché il cliente potrebbe contestarne l’esistenza e/o l’ammontare del credito verso la banca come nel nostro caso. Non sono da sottovalutare i rischi periculum in mora che la segnalazione ha fatto correre alla ricorrente l’altra banca gli ha chiuso il rapporto fiduciario. Infatti «ha proprio lo scopo di rendere edotte le banche sull' identità dei soggetti inaffidabili, i quali verosimilmente non potranno più accedere al credito. Trattandosi di società, ed operando questa sul mercato, è evidente che l'impossibilità di accedere ai finanziamenti la pone in una situazione di netto svantaggio rispetto ai concorrenti, gap che verosimilmente andrà aumentando con il passar del tempo, finchè gli effetti della segnalazione impossibilità di ottenere linee di credito permarranno, fino a diventare incolmabile ed irreversibile». Non sussiste quindi nessun elemento che avesse legittimato la segnalazione, sì che la banca convenuta è stata dichiarata soccombente.
Tribunale di Napoli, sez. II Civile, ordinanza 30 novembre - 1 dicembre 2017 Giudice Stravino Osserva Con ricorso depositato in data 5/11/2017 e notificato, insieme al decreto di fissazione dell'udienza, il 7/11/2017, la società omissis ha chiesto di ordinare ad Unicredit spa la cancellazione del proprio nominativo a sofferenza nella Centrale dei Rischi, con efficacia retroattiva . Quanto al fumus boni iuris, parte ricorrente ha dedotto di non essere stata preavvisata della imminente segnalazione a sofferenza da parte della resistente e di averlo anzi saputo da altra banca con cui intratteneva rapporti Monte dei Paschi di Siena , la quale, proprio in virtù di tale segnalazione, avrebbe interrotto il rapporto fiduciario con la ricorrente stessa. La omissis a sostegno della pretesa rileva come tra le stesse parti coinvolte in questo procedimento sia già intervenuta sentenza del Tribunale di Napoli, numero 9688/2017, la quale ha dichiarato nulli, per difetto di forma scritta ad substantiam, i contratti di apertura di credito intercorsi tra le parti. Anche se non esplicitato nel ricorso, nell’ottica della ricorrente dalla nullità dei contratti deriverebbe l’inesistenza del credito vantato da Unicredit e segnalato da questa a sofferenza presso la Centrale dei Rischi della Banca d' Italia. Per altro verso, poi, omissis non avrebbe svolto adeguata istruttoria volta ad accertare che la società segnalata versi in uno stato di grave difficoltà economica che, seppur non coincidente con l’insolvenza, faccia presumere l’infruttuosità delle azioni volte al recupero del credito. Tale stato di difficoltà sarebbe addirittura smentito dalle stesse risultanze di bilancio della società omissis a, depositate in atti. In ordine al periculum in mora, invece, la ricorrente afferma che esso è in re ipsa, poichè da tale segnalazione è noto che discende l’impossibilità per la stessa, e con riguardo all’intero sistema di credito, di accedere a meccanismi di finanziamento. Inoltre tale segnalazione avrebbe impedito la conservazione di altri affidamenti bancari. Parte resistente ha eccepito l’inammissibilità della procedura ex art 700 cpc, perchè esisterebbe già altro strumento giuridico idoneo a soddisfare l'esigenza di tutela del ricorrente. In particolare dal combinato disposto degli articoli 152 D. Lgs. 196/2003, 10 e 5 D.Lgs. 150/2011 emergerebbe un rimedio cautelare tipico che, stante la sussidiarietà di quello previsto dall’art 700 cpc, ne escluderebbe l'applicazione. Nel merito, poi, omissis ha rilevato come i rapporti di garanzia che accedevano al credito dalla stessa vantato nei confronti della ricorrente siano stati riconosciuti come validi dal Tribunale di Roma sentenza numero 13303/2017 , ciò che comporterebbe, per pregiudizialità, anche la declaratoria di validità del rapporto principale. La resistente infine contesta le deduzioni della E. in ordine alle risultanze di bilancio, facendo notare come dallo stesso emerge una situazione di assoluto pareggio tra attivo e passivo . Inoltre lo stato di insolvenza della ricorrente si desumerebbe dall'ammontare complessivo dei debiti e dal fatto che questa è in notevole ritardo nel pagamento del debito nei confronti della Unicredit. In ordine al periculum in mora, invece, la resistente osserva come non sia provato che la revoca da parte di MPS dei fidi già in atto sia dovuta alla segnalazione, da parte di Unicredit, del credito a sofferenza. La domanda va accolta per quanto di ragione. Innanzitutto l’eccezione di improponibilità non può essere accolta a seguito della modifica normativa del 2011, il codice della privacy e quindi il rimedio cautelare tipico non si applica più alle persone giuridiche, quali la società ricorrente. Occorre considerare che, l’articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196 a seguito della modifica introdotta dal decreto legge numero 201/11, convertito in legge numero 214/11, allo stato dispone che per “dato personale si intende “ qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale ”. A seguito delle modifiche introdotte dall’intervento legislativo del 2011 - le quali hanno interessato le definizioni articolo 4 , l'oggetto e l'ambito di applicazione articolo 5 , le modalità di esercizio dei diritti dell'interessato articolo 9 ed i trasferimenti dei dati verso paesi terzi articolo 43 , norme che fanno ora esclusivo riferimento alle persone fisiche e non già, come prima della modifica, anche a quelle giuridiche, a enti e ad associazioni –, è opinione sempre più diffusa in giurisprudenza che il trattamento dei dati relativo alle persone giuridiche, enti ed associazioni sia stato radicalmente escluso dall'ambito di applicazione del Codice. Per fare chiarezza sul punto è intervenuto il Garante per la Protezione dei dati personali con il provvedimento numero 262/2012 - emanato proprio in ordine alla applicabilità alle persone giuridiche del Codice in materia di protezione dei dati personali a seguito della parziale abrogazione di cui all’articolo 40 comma secondo del d.l. 201/2011 convertito con legge numero 2014 del 22 dicembre 2011. Dalla lettura complessiva di tale provvedimento si ricava una condivisibile interpretazione per cui il Codice in materia di protezione dei dati personali non si applichi più alle persone giuridiche a seguito delle modifiche apportate dal D.L. numero 201/2011, trovando per le stesse applicazione esclusivamente le disposizioni di cui al titolo X Comunicazioni elettroniche . Appaiono poi infondate le deduzioni di parte ricorrente in ordine alla dichiarazione di nullità dei contratti stipulati per facta concludentia tra E. ed Unicredit dalla nullità dei contratti, infatti, non discende l’inesistenza del credito restitutorio, credito che la banca pur sempre vanta in virtù della concessione di linee di credito, di fatto avvenuta. A fronte di una prevedibile rimodulazione delle somme dovute a titolo di interessi, non può essere messa in discussione la debenza della sorta capitale, onde il credito sembra essere certo nell’an e contestato solo nel quantum. Ad ogni modo, la reale sussistenza del credito non sembra essere argomento centrale al fine della decisione in tal sede proposta. Il sistema della segnalazione dei crediti a sofferenza, infatti, risponde ad un'esigenza di ordine generale, volta a tutelare l’intero sistema economico e ad evitare che venga concesso credito a soggetti che non saranno prevedibilmente in grado di restituire quanto ricevuto. L'obbligo della segnalazione è previsto a carico delle banche che, vantando un credito inadempiuto nei confronti di un soggetto, a seguito di adeguata istruttoria si avvedano della sua situazione di difficoltà, simile allo stato di insolvenza, sebbene non così grave. In tale ottica, quindi, è evidente come il vantare un credito non è un vero e proprio requisito di legittimità della segnalazione a sofferenza tale circostanza è solo l’occasione che permette all’istituto bancario di svolgere l'istruttoria per vagliare la situazione economico-finanziaria del debitore. Non sembra quindi necessario che il credito sia certo ed incontestato tra le parti, anche perchè altrimenti sarebbe facile per chiunque evitare di essere segnalato a sofferenza, semplicemente contestando il credito. Ciò che più conta al fine di vagliare la legittimità della segnalazione, invece, sembrano essere il preavviso all’interessato e l’adeguata istruttoria che la banca deve svolgere e dalle cui risultanze deve emergere la situazione di difficoltà economica del debitore. Mentre la mancanza di preavviso incide sulla responsabilità della banca e per tal motivo non interessa in tale sede , la situazione economica del debitore sembra invece rappresentare il punto cruciale e nevralgico della legittimità della segnalazione se il fine della stessa è pubblicizzare i soggetti insolventi, va da sè che se lo stato di decozione non sussiste, la segnalazione non può essere fatta e, se fatta, deve essere cancellata. Orbene, su questo punto è necessario rilevare come alla deduzione del ricorrente circa il mancato espletamento di istruttoria, la banca non ha dimostrato di averne compiuta alcuna. Ma, a parte questo profilo, l’Unicredit intende dimostrare lo stato di decozione dai seguenti elementi -perdurante ritardo nell’adempimento -rilevante esposizione debitoria risultante dallo stesso bilancio. A tal proposito appare necessario chiarire come il ritardo nell'adempimento non sia, di per sè, indice dello stato di insolvenza, e ciò poichè il debito potrebbe essere non pagato perchè come nel caso di specie il debitore ne contesta l’esistenza o la quantificazione. In secondo luogo, la rilevante esposizione debitoria emergente dal bilancio non può essere isolatamente considerata, ma deve essere letta nel contesto di tutte le risultanze contabili, ed è proprio in tal senso che parte resistente sembra incorrere in contraddizione se essa stessa rileva che dal bilancio emerge una situazione di assoluto pareggio tra attivo e passivo , non si spiega come abbia accertato lo stato di difficoltà economica, tale da far ritenere che il debitore sia incapace a tener fede ai propri impegni. La situazione debitoria è stata iscritta in bilancio e risulta appianata dalle risultanze attive, e la possibilità di esperire fruttuosamente azioni esecutive si desume proprio da poste attive la cui misura è almeno pari a quella del passivo. Da quanto detto deriva che la segnalazione del credito a sofferenza non ha ragion d' essere, poiché non è stato dimostrato, neppure sommariamente, lo stato di insolvenza rectius di difficoltà economico-finanziaria tale da far temere il mancato recupero del credito . Quanto al periculum in mora, e cioè al pregiudizio grave ed irreparabile che il ricorrente subirebbe nelle more del giudizio ordinario va rilevato che esso, più che essere in re ipsa, può essere facilmente desunto da indici presuntivi. La segnalazione ha proprio lo scopo di rendere edotte le banche sull’identità dei soggetti inaffidabili, i quali verosimilmente non potranno più accedere al credito. Trattandosi di società, ed operando questa sul mercato, è evidente che l’impossibilità di accedere ai finanziamenti la pone in una situazione di netto svantaggio rispetto ai concorrenti, gap che verosimilmente andrà aumentando con il passar del tempo, finchè gli effetti della segnalazione impossibilità di ottenere linee di credito permarranno, fino a diventare incolmabile ed irreversibile. Per quanto attiene alle spese, in ossequio all’art 91 cpc, esse seguono la soccombenza e sono poste quindi a carico della resistente omissis . Adottando i parametri di cui al D.M. numero 55/2014 e considerando la facilità della controversia e la limitata attività svolta, esse si liquidano in Euro 1823,00 per compensi ed in Euro 286,00 per esborsi. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, pronunciando sul ricorso ex art 700 cpc qui proposto, così provvede -Accoglie il ricorso e per l'effetto ordina ad Unicredit spa la cancellazione del nominativo della società E. come a sofferenza nella Centrale dei Rischi della Banca d' Italia, con efficacia retroattiva -condanna parte resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite, che si quantificano in Euro 286,00 per esborsi ed Euro 1823,00 per compensi, oltre ad iva, cpa e rimborso forfettario spese generali come per legge, con attribuzione al procuratore anticipatario.