Se viene meno l’interesse delle parti ad agire, decade il diritto all’equa riparazione?

Ai sensi della disciplina dettata dalla l. n. 89/2001, il diritto di equa riparazione spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto.

Lo ha ribadito la S.C. con l’ordinanza n. 22971/17 depositata il 2 ottobre. Il caso. I ricorrenti lamentano in Cassazione che la Corte di merito, nel definire il periodo per il quale doveva riconoscersi il diritto alla riparazione a causa dell’irragionevole durata del processo davanti ad un TAR, si era limitata ad un periodo di due anni nonostante il processo sia durato più a lungo. A sostegno della decisione la Corte d’Appello aveva ritenuto non spettante il diritto all’equa riparazione per il periodo successivo perché durante il processo era intervenuta una legge che, come è riportato nella sentenza del TAR, aveva fatto venire meno l’interesse a ricorrere delle parti. Infatti la disposizione legislativa riconosceva il diritto azionato in giudizio dagli appellanti relativo al riconoscimento di un pregresso rapporto di impiego . Venir meno dell’interesse ad agire delle parti ed equa riparazione . I ricorrenti hanno denunciato in Cassazione la violazione delle disposizioni della l. n. 89/2001 in relazione ai parametri necessari, indicati anche dalla CEDU, per il diritto all’equa riparazione e la determinazione del relativo indennizzo. La Corte di legittimità ha ritenuto scorretto il ragionamento posto in essere dalla Corte d’Appello nell’aver considerato che il venir meno dell’interesse delle parti, per effetto di una disposizione normativa entrata in vigore durante il processo, rende irrilevante, ai fini del risarcimento richiesto, il periodo di durata del processo successivo alla normativa. Secondo la Cassazione tale ragionamento è in contrasto con la l. n. 89/2001 da cui si deduce che il diritto all’equa riparazione spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto. Di conseguenza la Corte territoriale non doveva confondere la persistenza dell’interesse dei ricorrenti alla pronuncia del TAR, dopo la legge che riconosceva il diritto azionato, con la persistenza dell’interesse degli stessi alla definizione del giudizio entro un tempo di durata ragionevole. Per questo motivo la Cassazione accoglie il ricorso e rinvia alla Corte di merito per la liquidazione dell’indennità spettante ai ricorrenti a titolo di equa riparazione del danno derivante da irragionevole durata del giudizio presupposto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 28 aprile 2 ottobre 2017, n. 22971 Presidente Petitti Relatore Cosentino Fatto e diritto rilevato che T.V. e gli altri ricorrenti nominati in epigrafe hanno impugnato per cassazione, sulla scorta di due mezzi di ricorso, il decreto della corte di appello di Roma che - pronunciandosi sulla domanda di equa riparazione da loro proposta ai sensi della legge n. 89/2001 per l’eccessiva durata del processo che essi avevano introdotto davanti al TAR Campania il 24.11.1986, definito da tale TAR con sentenza del 5.5.2011 - ha limitato a due anni dal 1989 al 1991 il periodo per il quale doveva riconoscersi il diritto alla riparazione da irragionevole durata del processo che la corte di appello ha ritenuto non spettante il diritto all’equa riparazione per il periodo successivo al 1991 perché in tale anno era intervenuta una legge regionale per effetto della quale, secondo la sentenza del TAR, era venuto meno l’interesse a ricorrere degli attori, essendo stato normativamente riconosciuto il diritto relativo al riconoscimento di un pregresso rapporto di impiego da loro azionato in giudizio giudizio, si riferisce nel decreto qui gravato, riattivato dagli attori medesimi a seguito di dichiarazione di perenzione intervenuta nel 2005 che il Ministero dell’Economia non ha depositato controricorso considerato che con entrambi i motivi di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 2 della legge n. 89/2001 in relazione all’articolo 6 CEDU in cui la corte d’appello sarebbe incorsa sia nel ritenere non spettante il diritto all’equa riparazione per il periodo di durata del processo davanti al TAR successivo al 1991 primo motivo , sia nel liquidare l’indennizzo annuale riconosciuto ai ricorrenti in misura inferiore rispetto ai parametri indicati dalla Corte EDU secondo motivo che il primo motivo di ricorso è fondato, in quanto il ragionamento della corte distrettuale - là dove afferma che il venir meno dell’interesse per effetto della citata legge del 1991 rende del tutto irrilevante, ai fini del risarcimento oggi richiesto, il periodo di durata del processo successivo a tale data, avuto altresì riguardo alla dichiarata perenzione, da cui si desume che il sostanziale venir meno dell’interesse dei ricorrenti per la prosecuzione della causa in esame pag. 2, quinto capoverso, del decreto - si pone in contrasto con la disciplina dettata dalla legge n. 89/2001, alla cui stregua il diritto all’equa riparazione spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto, ad eccezione del caso a cui nel decreto gravato non si fa alcun riferimento di temerarietà della proposizione o prosecuzione della lite Cass. 9938/10, Cass. 18780/10, Cass. 2385/11 che, infatti, il ragionamento della corte distrettuale confonde la persistenza, dopo il 1991, dell’interesse dei ricorrenti alla pronuncia del TAR sul merito della pretesa da loro azionato davanti a quel giudice persistenza accertata negativamente dal TAR con la persistenza, dopo il 1991, dell’interesse dei ricorrenti alla definizione entro una durata ragionevole del giudizio davanti al TAR, foss’anche con una pronuncia che dichiarasse la loro carenza di interesse ad agire che, sotto altro aspetto, risulta inconcludente il riferimento del decreto qui gravato alla declaratoria di perenzione del giudizio amministrativo pronunciata 2005, giacché nello stesso decreto si dà atto che, dopo tale declaratoria, il giudizio amministrativo era stato riattivato a seguito di opposizione dei ricorrenti pag. 2, quarto capoverso, del decreto che pertanto il primo mezzo di ricorso va accolto, con conseguente cassazione dell’impugnato decreto e rinvio alla corte territoriale perché la stessa proceda alla liquidazione dell’indennità spettante ai ricorrenti a titolo di equa riparazione del danno da irragionevole durata del giudizio presupposto tenendo conto dell’intera durata di tale giudizio che il secondo mezzo di ricorso risulta assorbito dall’accoglimento del primo, dovendo il giudice di rinvio procedere ex novo alla liquidazione dell’indennità spettante ricorrenti. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.