Spendita del nome altrui e mandato con rappresentanza

Il sottoscrivere per conto di qualcuno, con espressa enunciazione del relativo nome, deve considerarsi come spendita del nome e, quindi, come attività compiuta in sua rappresentanza. Ne consegue che, se il mandato esiste, si è in presenza di un mandato con rappresentanza.

Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza n. 22818/17, depositata il 29 settembre. Il caso. La Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dalla ricorrente contro la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale, dopo aver rigettato la domanda riconvenzionale di accertamento di usucapione, accoglieva la domanda del l’ora convenuto per ottenere il risarcimento del danno da indebita occupazione di un immobile di sua proprietà, sulla base del fatto che le all’ora convenute avevano effettuato una scrittura privata di transazione e si erano impegnate a rilasciare l’immobile. Avverso tale pronuncia la ricorrente ricorreva in Cassazione. Mandato con rappresentanza. Nel caso di specie la Corte di Cassazione, rileva la manifesta infondatezza della doglianza della ricorrente. I Giudici affermano, infatti, che il sottoscrivere per conto di qualcuno, come avviene nel caso in esame, in cui la madre della ricorrente risulta aver sottoscritto un atto con scrittura privata, per se e per conto della figlia, con espressa enunciazione del nome di qualcuno deve considerarsi come spendita del nome e, quindi, come attività compiuta in sua rappresentanza, quindi se il mandato esiste si è in presenza di un mandato con rappresentanza. Nel caso di specie ciò che emerge è che la madre della ricorrente sottoscrisse per se e per conto della figlia e, dunque, con quest’ultimo riferimento per conto della qui ricorrente . Per questi motivi la Cassazione ritiene sussistente l’esistenza di un agire con deduzione di un mandato con rappresentanza e quindi l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 maggio – 29 settembre 2017, n. 22818 Presidente Travaglino – Relatore Frasca Fatti di causa Ga.Do. convenne dinanzi il Tribunale di Bari il sig. V. e la RAS Assicurazioni, premettendo di aver subito un incidente a causa dell’autovettura Alfa Romeo di proprietà del V. che, a seguito del sinistro, erano risultate la distruzione del proprio mezzo e gravissime lesioni personali che in conseguenza del sinistro era stato sottoposto ad intervento chirurgico ed aveva ottenuto l’accertamento del danno biologico per complessivi Euro 104.692,05, di cui chiedeva il risarcimento. Il V. , costituendosi in giudizio, rappresentò che il sinistro si era verificato a causa del comportamento di un soggetto terzo, il sig. L.G. , il quale, violando il codice della strada, aveva urtato in modo violento l’auto del V. che aveva, a sua volta, sbandato, oltrepassato la propria corsia di marcia e investito la Panda del Ga. . Il Tribunale di Bari rigettò la domanda di risarcimento del danno in base alla preminente ratio decidendi che impediva di attribuire al V. la causalità materiale del sinistro in quanto lo sbandamento, il capottamento, l’invasione della corsia opposta di marcia e l’urto con l’auto del Ga. erano stati provocati dall’autovettura di un terzo. Il Tribunale escluse, pertanto, il nesso eziologico strutturale e materiale tra l’impatto subito dal Ga. e la condotta di guida del convenuto. In appello il Ga. ripropose le proprie tesi criticando la sentenza sul punto relativo all’assenza del nesso eziologico materiale o strutturale. Il Giudice ha confermato la sentenza di primo grado ribadendo che, nell’ambito della responsabilità aquiliana, alla causalità materiale o strutturale è assegnato il compito di individuare il soggetto che ha commesso l’illecito sicché il solo impatto dell’auto del V. contro quella del Ga. , atomisticamente considerato, non poteva dirsi fondare una responsabilità materiale, se non facendo riferimento all’intera dinamica del sinistro che aveva coinvolto più autoveicoli. Il giudice ha applicato gli artt. 41 1 e 2 co. c.p. che, in presenza di una molteplicità di cause, antecedenti, contemporanee o sopravvenute, consentono, tuttavia, di individuare se fra tutte le serie causali, ve ne sia una da sola idonea alla causazione del sinistro, interpretando questa sola quale causa del sinistro. Il giudice ha applicato, nel caso in esame, il criterio della causalità adeguata e del più probabile che non in base ad una valutazione prognostica con valutazione ex ante. In altri termini, ha ritenuto il giudice d’appello, l’impatto dell’auto del V. contro quella del Ga. non poteva ritenersi conseguenza normale della condotta di guida del primo. Escluso pertanto il rapporto di causalità, la Corte d’appello ha rigettato il gravame. Sull’appello incidentale del V. , con il quale la sentenza di primo grado era censurata nella parte in cui, nonostante la sollecitazione al Tribunale a chiamare in causa jussu iudicis sia il soggetto terzo sia l’assicurazione, lo stesso aveva omesso di pronunciare sul punto, la Corte d’appello lo ha rigettato in quanto il V. non aveva chiesto la chiamata in causa del proprio assicuratore con una domanda diretta ma si era limitato a sollecitare il giudice in tal senso, non potendo poi dolersi del mancato esercizio, da parte dello stesso giudice, della facoltà discrezionale di esercitare o meno la chiamata del terzo. La Corte d’appello ha accolto invece il motivo di appello incidentale del V. relativo al regolamento delle spese processuali nel primo grado del giudizio, avendo il Tribunale illegittimamente addebitato le spese alla parte totalmente vittoriosa. Avverso la sentenza il Ga. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ragioni della decisione Con il primo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 2054 c.c. - in relazione all’art. 41 c.p. e 2055 c.c. Censura la motivazione dell’impugnata sentenza in punto di valutazione del nesso causale tra il fatto e il danno. Richiamando la giurisprudenza a Sezioni Unite di questa Corte, sulla quale si era basata la sentenza impugnata, viene censurata la stessa nella parte in cui, nel negare la causalità materiale tra il comportamento del V. e il danno arrecato al Ga. , avrebbe escluso qualunque imputabilità del fatto al V. , in spregio degli artt. 40 e 41 c.p. che trovano applicazione anche nel campo civile. Sulla base di tutti i principi ribaditi da questa Corte con la sentenza Cass., U. n. 576 dell’11.01.2008 in tema di causalità, la Corte d’appello avrebbe dovuto concludere nel senso che la causa diretta del sinistro fosse esclusivamente l’impatto con il mezzo del V. sicché, se tale impatto non fosse avvenuto, l’autovettura del Ga. avrebbe continuato a percorrere tranquillamente la propria corsia, indipendentemente da quanto accadeva nella corsia opposta. Vi sarebbero elementi di fatto relativi all’incongruità della velocità tenuta dal V. , sicché tale elemento avrebbe certamente influito in modo diretto e prevalente se non esclusivo sul danno arrecato al Ga. . In base all’art. 2055 c.c. coloro i quali hanno provocato un danno se il fatto dannoso è imputabile a più persone, esse sono tutte obbligate in solido al risarcimento del danno e il fatto che il danneggiato si sia rivolto in giudizio contro uno solo degli autori del fatto dannoso non comporta la rinuncia alla solidarietà. Sulla base di questi presupposti la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare l’art. 2055 c.c. che mira, non ad alleviare la responsabilità dei concorrenti nella produzione del danno, ma a rafforzare la garanzia del danneggiato, consentendogli di rivolgersi, per l’intero risarcimento, a ciascuno dei soggetti responsabili senza doverli perseguire pro-quota. Il motivo è infondato. La giurisprudenza di questa Corte, U. n. 576/2008 ha distinto la responsabilità strutturale o materiale da quella giuridica che collega l’evento al danno in applicazione di tale sentenza la Corte d’appello ha escluso il coinvolgimento del V. nella responsabilità materiale o strutturale dell’evento. È infatti evidente che non è stata raggiunta la prova della causalità adeguata ed indipendente del V. nella produzione del danno, ma piuttosto lo stretto collegamento tra il primo incidente, subito dal V. e lo sconfinamento di quest’ultimo nella mezzeria di percorrenza del Ga. . In base agli artt. 40 e 41 c.p. un evento è causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Nel caso di specie non può ritenersi che il V. avrebbe comunque invaso la mezzeria, provocando l’incidente con il Ga. se non avesse a sua volta subito l’incidente con il terzo danneggiante né può applicarsi la presunzione di cui all’art. 2054 co. 2 c.c. della pari responsabilità dei veicoli nella produzione del danno in quanto, a parte la sussidiarietà di tale presunzione, che è sempre superabile con la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, la presunzione di eguale concorso opera solo nei rapporti tra conducenti dei veicoli entrati in collisione, restando invece esclusa nei rapporti tra i conducenti di altri veicoli Cass., 3, 07/1/1991 n. 61 . Peraltro la giurisprudenza di questa Corte ha altresì escluso la presunzione dell’eguale concorso di colpa di ciascun conducente nello scontro tra veicoli qualora l’incidente stradale si verifichi in due fasi, con un primo impatto tra due veicoli e con una seconda collisione fra uno di essi, distaccatosi dall’altro a seguito di sbandamento con un terzo veicolo, a carico del proprietario dell’ultimo veicolo. Né può ritenersi pertinente la giurisprudenza relativa all’unicità del fatto dannoso richiesto dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della solidarietà tra i diversi autori dell’illecito, perché la stessa presuppone che le singole azioni, ancorché distinte, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno, il che, nel caso di specie deve essere escluso Cass., 3, 12/3/2010 n. 6041 Cass, 3, 24/9/2015 n. 18899 Cass. 3, 25/9/2014 n. 20192 . Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054, 2 co. c.c. Omissione e travisamento di fatti in relazione a punti decisivi delle controversia. La Corte d’appello avrebbe errato nel non considerare che il V. non aveva fornito alcuna prova che potesse escludere il concorso ex art. 2050 2 co. c.c., non avendo lo stesso dimostrato di aver adottato ogni accorgimento per evitare il sinistro. Il V. avrebbe dovuto dimostrare che l’incidente fosse stato causato esclusivamente dalla condotta di guida del terzo. Tra gli elementi di prova vi era la sentenza del Giudice di Pace di Bitonto, intervenuta nel giudizio tra il V. e il terzo, in cui quest’ultimo era stato riconosciuto responsabile dei danni subiti dall’autovettura del V. . Ciò tuttavia non poteva far ritenere superata la presunzione di colpa concorrente del V. . In sintesi il ricorrente afferma che l’infrazione anche grave come l’inosservanza del diritto di precedenza, commessa da uno dei conducenti, non avrebbe dovuto dispensare il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, vi fosse stato o meno, un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso subito dal Ga. . Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte la pretesa violazione dell’art. 2054 2 co. c.c. non sussiste, in quanto esso ha funzione meramente sussidiaria, operando solo nel caso in cui non sono accertabili, mediante indagini specifiche sulle concrete modalità del sinistro, le singole responsabilità. In altri termini la presunzione rileva quando non sia possibile accertare l’incidenza delle singole colpe nella causazione dell’evento e non è possibile stabilire la proporzione tra le colpe concorrenti dei conducenti. Nel caso di specie la Corte d’appello di Bari ha escluso qualunque incertezza sulle modalità del fatto e sulle eventuali colpe dei protagonisti della vicenda ha ritenuto, invece, che l’evento era riconducibile, unicamente, alla condotta di un terzo automobilista. Da ciò consegue anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. ingiusta condanna alle spese. In coerenza con le prime due censure il ricorrente chiede la riforma dell’impugnata sentenza anche in ordine alle statuizioni sulle spese, con annullamento della condanna inflitta al Ga. . Il motivo è infondato in quanto la statuizione sulle spese è consequenziale alla soccombenza. Conclusivamente il ricorso merita di essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese. Si dispone invece il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Dà atto, ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.