Danno comunitario per abuso di contratti a termine, quale parametro utilizzare per il risarcimento?

In caso di abuso di contratti di lavoro a termine, il risarcimento del danno cd. comunitario va liquidato utilizzando il parametro dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010.

Lo chiarisce la Suprema Corte con sentenza n. 19165/17 depositata il 2 agosto. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale di Milano che, accertata la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati fra il Comune e il lavoratore addetto ai servizi cimiteriali, condannava l’Ente al risarcimento del danno cd. comunitario sulla scorta dell’art. 8 l. n. 604/1996. Il lavoratore ricorre per cassazione deducendo, fra l’altro, la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 per la quale il danno è stato liquidato in misura inadeguata sia alla luce dei principi comunitari, sia per il fatto di aver trascurato l’art. 32. Danno comunitario. La Suprema Corte ritiene che il motivo sollevato dal ricorrente sia fondato alla luce della sentenza n. 5072/2016 laddove è stato stabilito che il risarcimento del danno comunitario per abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine va liquidato utilizzando il parametro dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 recante Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 . Nel caso di specie, i Giudici di merito non hanno tenuto conto di tale principio e, nel liquidare il danno, hanno tenuto conto del parametro di cui all’art. 8 l. n. 604/1996. Pertanto, la Cassazione accoglie tale motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata sul punto rinviano alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 luglio – 2 agosto 2017, numero 19165 Presidente Amoroso – Relatore Manna Fatti di causa 1. Con sentenza pubblicata il 12.10.15 la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame di D.M.M. contro la sentenza numero 3327/12 con cui il Tribunale di Milano, accertata la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati fra il Comune di Milano e il D. medesimo per lo svolgimento di servizi cimiteriali, ha condannato il primo a pagare al secondo il risarcimento dei danni quantificato in 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto corretto liquidare il risarcimento del danno c.d. comunitario utilizzando come parametro l’art. 8 legge numero 604 del 1966 anziché l’art. 32 legge numero 183 del 2010 ed ha respinto ogni altra domanda del lavoratore, confermando la declinatoria di giurisdizione del primo giudice in ordine alla domanda di illegittimità della dichiarazione di non idoneità emessa nei suoi confronti dalla predetta amministrazione all’esito di prove selettive finalizzate all’assunzione. 2. Per la cassazione della sentenza ricorre D.M.M. affidandosi a sei motivi. 3. Il Comune di Milano resiste con controricorso. 4. Le parti depositano memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 437 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata ritenuto inammissibile perché nuova la deduzione della violazione dei principi comunitari e del d.lgs. numero 368 del 2001 in tema di conversione del rapporto di lavoro allorquando l’assunzione da parte della pubblica amministrazione sia avvenuta mediante chiamata diretta anziché con concorso obietta in proposito il ricorrente che, in realtà, si trattava di mera argomentazione giuridica, in quanto tale sempre consentita oltre che resasi necessaria alla luce delle difese del Comune di Milano . 1.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 4 legge numero 626 del 1994, nella parte in cui la Corte di merito, così come il Tribunale, ha ritenuto assorbita dalla declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti l’eccepita omessa valutazione dei rischi ai sensi della norma citata, nonostante che - prosegue il ricorso - l’accoglimento di tale motivo d’appello comportasse per altra via la costituzione d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le parti. 1.3. Il terzo motivo prospetta violazione dell’art. 36 d.lgs. numero 165 del 2001 e dell’art. 32, comma 5, legge numero 183 del 2010, perché la sentenza impugnata, pur avendo ravvisato un abuso del ricorso ai contratti di lavoro a termine da parte del Comune di Milano, ha liquidato il risarcimento del danno in misura inadeguata alla luce dei principi comunitari e ha trascurato l’art. 32 cit 1.4. Con il quarto motivo ci si duole di violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 5 d.lgs. numero 368/01 nel testo applicabile ratione temporis per omessa pronuncia sulla domanda di maggiorazione prevista a titolo sanzionatorio da tale ultima norma. 1.5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 63 d.lgs. numero 368/01, 97 Cost. e 16 legge numero 56 del 1987, per avere la Corte di merito confermato la declinatoria di giurisdizione del primo giudice riguardo alla domanda di illegittimità della dichiarazione di non idoneità emessa nei suoi confronti dal Comune di Milano all’esito di prove selettive finalizzate all’assunzione, in base all’erroneo presupposto che si trattasse sostanzialmente di procedure concorsuali, mentre tali prove selettive, lungi dal comportare valutazioni comparative, tendono ad accertare esclusivamente l’idoneità del lavoratore avviato attraverso le liste di collocamento e mobilità. 1.6. Il sesto motivo deduce violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis per non avere la Corte territoriale compensato le spese di lite malgrado la complessità della materia del contendere e le incertezze giurisprudenziali su di essa. 2.1. I primi due motivi di doglianza sono da disattendersi, per difetto di interesse ad impugnare, nella parte in cui tendono a confermare la nullità dei termini apposti ai contratti, nullità già aliunde ricavata dai giudici di merito. Nella parte in cui, invece, mirano a sostenere la conseguente domanda di conversione del rapporto di lavoro a termine in uno a tempo indeterminato alle dipendenze dell’amministrazione controricorrente, essi si rivelano infondati alla luce della sentenza numero 5072/16 di queste S.U., cui va data continuità e alle cui argomentazioni si rinvia , che ha statuito che osta all’invocata conversione il divieto contenuto nell’art. 36 d.lgs. numero 165 del 2001, divieto che non contrasta con i principi comunitari in materia. 2.2. È, invece, fondato il terzo motivo di ricorso, poiché - ancora alla luce della citata sentenza numero 5072/16 - il risarcimento del c.d. danno comunitario per abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine va liquidato non già utilizzando il parametro dell’art. 8 legge numero 604 del 1966, bensì quello dell’art. 32, comma 5, legge numero 183 del 2010 applicabile ratione temporis nel caso di specie , che costituisce fattispecie omogenea, sistematicamente coerente e strettamente contigua a quella di abusivo ricorso alle assunzioni a termine. Si tratta di misura dissuasiva e di rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico quale richiesta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, atteso che - come già evidenziato dalla citata sentenza numero 5072/16 - esonera il lavoratore dall’onere di provare il danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo. La trasposizione di questo canone di danno presunto ha una valenza sanzionatoria della violazione della norma comunitaria, di guisa che il danno così determinato può qualificarsi come danno comunitario sempre secondo la citata sentenza numero 5072/16 ed altre anteriori sentenze di questa S.C., la numero 27481/14 e la numero 13655/15 , nel senso che vale a colmare quel deficit di tutela, ritenuto dalla giurisprudenza della CGUE, la cui mancanza esporrebbe la norma interna l’art. 36, comma 5, d.lgs. numero 165 del 2001 , ove applicabile nella sua sola portata testuale, a risultare lesivo della clausola 5 della direttiva 1999/70/CE e, quindi, ad innescare un dubbio di sua illegittimità costituzionale. 2.3. Il quarto motivo è infondato. L’ipotesi di prosecuzione del rapporto dopo la scadenza iniziale in assenza di formalizzazioni disciplinata dall’art. 5 del d.lgs. numero 368 del 2001 cfr. Cass. numero 1058/16 non è assimilabile a quella - verificatasi nella specie - di prosecuzione del rapporto in base a successivi illegittimi contratti a tempo determinato. La contraria opinione avrebbe l’effetto di aggirare surrettiziamente, sul piano economico, il divieto sancito dall’art. 36 del d.lgs. numero 165 del 2001 di costituzione d’un rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’amministrazione. 2.4. Il quinto motivo è fondato. Queste S.U. hanno già avuto modo di statuire che l’art. 63 del d.lgs. numero 165 del 2001 devolve al giudice ordinario le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, nelle quali rientrano le assunzioni operate con le modalità previste dall’art. 35 cit., fra cui rientrano - v. relativo comma 1, lett. b - quelle effettuate mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento previa verifica del possesso delle specifiche professionalità richieste cfr., per tutte, Cass. S.U. numero 14432/17 Cass. S.U. numero 4229/17 Cass. S.U. numero 23202/09 Cass. S.U. numero 2277/08 Cass. S.U. numero 11722/05 . Né tali procedure implicano lo svolgimento di attività discrezionali nell’accertamento dei relativi presupposti, essendo l’amministrazione chiamata a svolgere soltanto un’attività di mero accertamento tecnico cfr. Cass. numero 11906/17 , come nel caso di specie. 2.5. L’accoglimento del terzo e del quinto motivo, conformemente, da ultimo, ad altra recente sentenza la numero 14432/17 di queste S.U. emessa in fattispecie analoga, assorbe la disamina del sesto. 3.1. In conclusione, merita accoglimento il terzo motivo di ricorso, con conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le corrispondenti spese di lite. Del pari va accolto il quinto motivo e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, con conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale di Milano in persona diversa, anche per le corrispondenti spese di lite. Si rigettano, invece, il primo, il secondo e il quarto motivo e si dichiara assorbito il sesto. P.Q.M. accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata sul punto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le corrispondenti spese di lite. Accoglie il quinto motivo, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Milano in persona diversa, anche per le corrispondenti spese di lite. Rigetta il primo, il secondo e il quarto motivo, dichiara assorbito il sesto.